1787 – 2017
Il vitigno moscato è di antica origine, le prime citazioni con il nome Muscatellum appaiono nel secolo XIV.
In epoca medievale il vino ottenuto si presentava torbido, più o meno dolce, di scarsa durata. Gli aromi della buccia erano scarsi nel prodotto finale.
Si devono a un gioielliere di casa Savoia, Giambattista Croce, i primi studi su un diverso metodo di produzione. In un testo comparso nel 1606 dal titolo Delle eccellenze diversità dei vini che nella montagna torinese si fanno.
L’autore descrive le pratiche per la pulizia del mosto, evidenzia il ruolo dei travasi delle filtrazioni ripetute, onde eliminare ulteriori impurità.
Secoli XVII – XIX
Prende il via nel secolo 17º la produzione di un vino moscato che, sotto certi aspetti, ricorda l’attuale tipologia.
Sul successo dei Champagne presenti alla corte sabauda di Torino prendono il via alla fine del sec. XVIII in Piemonte i primi esperimenti per produrre vini spumanti italiani.
Vennero utilizzati vari vitigni, in particolare nebbiolo e moscato bianco. In modo del tutto empirico, viste le scarse conoscenze in quel periodo sul processo produttivo in uso in Francia. Infatti non vi fu alcun seguito produttivo e commerciale.
Il merito di aver iniziato la produzione di spumanti su basi razionali spetta a Carlo Gancia.
Erede di una dinastia vinicola presente a Chivasso (To) si reca in Francia a Epernay per imparare le regole del mestiere di champagnista.
Grazie a questa importante esperienza, inizia a Canelli a produrre il primo spumante italiano a base di vino moscato, chiamato “Moscato Champagne”. Intorno al 1865-70.
La scelta del vitigno è legata alla disponibilità sul territorio. Non in purezza, ma con cortese e soprattutto passeretta o passulla al 15-20%.
Chiaramente il processo di produzione era empirico, non era possibile il controllo del residuo zuccherino, frequenti gli scoppi di bottiglie, le chiusure sono ancora instabili, l’ancoraggio al vetro è garantito da un semplice filo di ferro, la gabbietta nasce soltanto in quegli anni (1968 – in Francia).
Ma è l’inizio di una grande avventura che oggi ha un solo nome: la grande filiera dell’Asti e del Moscato d’Asti.
Per migliorare il processo di produzione Gancia manda in Francia un suo operaio specializzato, un certo Giuseppe Gallese. Sarà il capostipite d’intere famiglie di champagnisti piemontesi.
Nel frattempo, grazie agli studi di un tecnico associato a Gancia, Arnaldo Strucchi, migliorano alcune fasi del processo. Verso gli anni 1880 – ‘90 vedono la luce i primi macchinari.
Il Moscato Champagne inizia ad affermarsi, dapprima in fiere e manifestazioni e in seguito sui mercati internazionali.
Il prodotto finito presentava circa 6 gradi alcol svolto, un tenore zuccherino di oltre 100 grammi per litro, acidità su livelli medi -5-6 gr x lt- un colore paglierino carico, la pressione è variabile, ma non elevata stante le difficoltà nella sboccatura. Soprattutto con valori diversi da bottiglia a bottiglia.
Alla fine del sec XIX un’importante innovazione avviene nel settore. L’autoclave sostituisce la bottiglia come recipiente di fermentazione.
Il recipiente in metallo a tenuta stagna garantiva maggiori livelli di produzione, costi più limitati, processi più rapidi.
Dalle rime applicazioni francesi nella seconda metà del 19º, si arriva a Federico Martinotti che progetta ad Asti nel 1895 un sistema di autoclavi in serie per la produzione di spumanti secchi e dolci.
Purtroppo non ha sbocchi commerciali, mentre in Francia un brevetto simile, a cura dell’ing. Eugenie Charmat, sfonda sul mercato.
Secolo XX
Le prime autoclavi francesi originali arrivano in Italia (Cora – Fontanafredda – Martini e Rossi) negli anni ‘20-‘30 del sec. scorso.
Chiaramente migliora anche il prodotto ottenuto, grazie al controllo della temperatura di processo con il freddo si ottiene un residuo zuccherino omogeneo, un miglior equilibrio zucchero – alcol.
Migliorano sensibilmente i processi di stabilizzazione e filtrazione del vino base e del prodotto finito.
Grazie soprattutto all’opera di un ricercatore di valore: Carlo Mensio, vice direttore della Stazione Sperimentale di Enologia di Asti.
Effettua numerosi studi sull’influenza dell’azoto sul metabolismo dei lieviti, per regolamentare il processo fermentativo, evitando i rischi di continue riprese fermentative. Un moscato più dolce in definitiva.
Anche riguardo alla stabilità finale del prodotto sul piano biologico si iniziano a fare i primi esperimenti. Il parametro utilizzato è la temperatura, ma si utilizzano solamente locali riscaldati, ove si posavano i cestoni con le bottiglie nude.
Alla fine degli anni ‘30 l’Asti è presente sul mercato con questi parametri: alcol svolto 6 gradi, zuccheri 90-100 grammi x lt, acidità circa 6 grammi x lt.
Chiusura con tappo di sughero quadrato e con gabbietta a corona fissa.
Arrivano i primi capsuloni e le confezioni diventano più belle. Grafici di valore danno il loro contributo.
Viene messo in po’ di ordine nelle denominazioni (1931). Forse erano troppe: Moscato di Canelli, Moscato di Strevi, Strevi Spumante, Asti Champagne oltre quelle già citate. Solo tre sono ammesse:
- Asti Spumante
- Moscato d’Asti Spumante
- Moscato d’Asti
Nelle grandi cantine nascono le prime linee produttive automatiche con le tireuse della Colombo di Torino e le Girondine francesi per le confezioni.
Il dopoguerra
Il dopoguerra segna una forte innovazione nel processo di produzione degli spumanti.
Nel 1943 s’installano a Mondovì e poi a Canelli le prime autoclavi italiane (Gianazza). Anni dopo è il turno dei primi filtri a piastre (Gasqet) e dei primi pastorizzatori a immersione in acqua calda (Aliberti).
La stabilità chimica e biologica dell’Asti Spumante è un dato acquisito, il direttore della Stazione Sperimentale di Enologia di Asti, Ettore Garino Canina, indica nei famosi tre 7 l’equilibrio perfetto per il vino base moscato: sette gradi alcol svolto, 7 % in zuccheri residui, 7 gr x lt di acidità fissa.
L’Asti spumante in bottiglia per oltre 50 anni avrà questi parametri: alcol svolto 8,0 gradi, zuccheri 75-85 gr x lt, acidità sui 6,5 -7,0 gr x lt, ph 3,1 -3,2.
Mentre il Moscato d’Asti Spumante presenta un residuo zuccherino più elevato e un minor grado alcolico. Le due tipologie in sostanza si fronteggiano sul mercato.
Arrivano DOC e DOCG
Nel 1967 arriva la DOC per Asti spumante, Moscato d’Asti Spumante e Moscato Naturale d’Asti.
Finalmente si ha un controllo contabile sull’origine dell’uva, mentre l‘Asti consolida la sua immagine sui mercati.
Inizia ad affermarsi un nuovo tipo di moscato con l’etichetta “Moscato Naturale d’Asti doc” caratterizzato da un limitato grado alcol svolto – sui 5° -, da un alto contenuto zuccherino oltre 120 gr x lt di zucchero e da una discreta acidità.
Prodotto in quantità limitate sul finire degli anni ’60, diventa con il tempo un vero e proprio vino di tendenza in tutto il mondo.
Nello stesso periodo alla Contratto di Canelli si continua a produrre l’Asti con il tradizionale sistema della fermentazione in bottiglia – “Asti metodo Champenoise”- si potrebbe definire.
Un prodotto di nicchia con aromi più complessi e un gusto leggermente più dolce. Molto difficile da elaborare.
Mentre nelle cantine ci sono interessanti innovazioni: bottiglie maggiormente resistenti alla pressione, arrivano i tappi in sughero agglomerato, migliorano le gabbiette.
Aggiungo i nuovi impianti di microfiltrazione e per l’imbottigliamento sterile, nei laboratori i nuovi controlli per la stabilità biologica del prodotto finito.
Nel 1993 arriva la DOCG. Non è prevista per il Moscato d’Asti Spumante. Il termine “Spumante” nella denominazione Asti si può omettere.
La ricerca di nuove tipologie
Verso al fine del secondo millennio e l’inizio del terzo gli sforzi della ricerca scientifica e le procedure di cantina sono orientati alla ricerca di nuove tipologie dei due prodotti, onde far fronte alla tendenza di un mercato sempre più dinamico e diversificato.
Alcune piccole cantine commercializzano il “Moscato secco” pur con diverse denominazioni avendo perso la DOC. Di fatto è un vino bianco. Spesso si utilizzano altri vitigni in melange con il moscato bianco: es cortese o chardonnay.
Il prodotto finale conserva in parte agli aromi del moscato, ma è poliedrico a tavola essendo privo o quasi di zuccheri.
Altre sperimentazioni cercano di valorizzare al massimo le specificità organolettiche del vitigno moscato.
“Asti a vendemmia tardiva”, proposto dalle cantine Terre da Vino, sfrutta la maturazione avanzata dell’uva moscato, onde evitare aggiunta di zucchero, per ottenere un prodotto di miglior corpo, la ditta Gancia con “Asti Modo Novo” cerca un maggior sviluppo in alcol durante la spumantizzazione, con utilizzo di un vino base conservato anche in fusti di legno. Per una migliore complessità e persistenza di sapori.
Fontanafredda con l’”Asti adatto a lunga conservazione” ha ottenuto un prodotto con buona presenza di polisaccaridi, mamnoproteine e glutadione, al fine di una migliore evoluzione del prodotto.
Vigne Reali di Strevi propone un “Asti in processo di riduzione”, caratterizzato da aromi agrumati.
Siamo ormai nell’ultimo decennio. Si propone da molte parti un “Asti premium”, da alcuni chiamato “Dom Perignon dell’Asti”. Ovvero un prodotto di elevata qualità e grande prestigio in fatto di terroir di origine, caratteri organolettici e packaging. In grado di elevare l’immagine del prodotto. Non ha avuto seguito al momento.
Anni 2000
Prende invece forma nel 2015 la produzione di un Asti con una precisa identificazione territoriale, correlata ai cosiddetti “Sori del Moscato”.
Fautore la cantina cooperativa Terre Nostre di Cossano Belbo che immette sul mercato l’Asti di due Sorì di viticoltori associati. La ricchezza aromatica è notevole, purtroppo la lodevole iniziativa non è seguita da altri produttori.
Nel frattempo – anche a seguito di alcune ricerche storico-culturali sui cosiddetti “Sori del moscato”- molte cantine valorizzano tali vigneti in etichetta, Citiamo: Moncucco, Sant’Antonio, Galeisa, Terre Bianche.
A fronte della crisi che colpisce settore dell’Asti, che vede un calo di vendite nel 2016, la filiera del Moscato progetta una nuova tipologia di Asti chiamata “Asti Secco”.
Il 1 marzo il comitato vinicolo del ministero delle politiche agricole ha dato il via libera alla modifica del disciplinare dell’Asti (ammesse tipologie demi-sec, secco ed extra secco).
Mentre scrivo è imminente la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale.
Il nuovo prodotto, ormai in fase di produzione, è stato oggetto di una vasta sperimentazione condotta in questi ultimi due anni dal Consorzio Tutela Asti in collaborazione con il prof. Rocco Di Stefano – ex direttore della sez. chimica dell’Istituto Sperimentale di Enologia di Asti.
Coinvolte alcune cantine associate: Giovanni Bosca, Toso, Capetta per citarne alcune.
Si è riusciti grazie all’aiuto di preparazioni enzimatiche e di alcuni additivi a evitare la formazione in sede di rifermentazione in autoclave dei classici sapori amari. Problema storico del Moscato quando diventa secco. Mantenendo inoltre gli aromi primari a base fiorale – fruttata.
Il nuovo prodotto, che a mesi entrerà in commercio, dovrebbe avere detti parametri: alcol svolto 11,5 -12 gradi, zuccheri residui 17-22 gr x lt, acidità fissa sui 6,5 gr x lt . ph sui 3,2-3,3 e un quadro aromatico che ricorda la base terpenica della materia prima.
Un nuovo Asti con ridotto contenuto di zuccheri in grado di rispondere alle diverse esigenze di mercato, sia come aperitivo, oppure a tutto pasto. Anche per fasce di consumatori più giovani.
Continua la storia dell’Asti e del Moscato d’Asti, iniziata nel 1865.
Lorenzo Tablino