I VOLUMI MODERNI: 22-30 ETTOLITRI, OVVERO “LA VENDETTA DELLA VECCHIA BOTTE”.
La battuta gira da alcuni mesi, nell’ astigiano e nel cuneese è tutto un acquisto di botti in rovere. I tecnici scelgono il formato di 25-35 ettolitri.
Il legno ovviamente è di rovere , oggi alcuni tecnici preferiscono quello francese del Limousin rispetto al tradizionale Slavonia.
Secondo alcuni le cessioni di polifenoli da parte del legno francese è minore, inoltre sarebbero di tipo meno aggressivo,sul piano organolettico .
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Ma sarebbe da approfondire.
I vantaggi nell’ acquisto di botti di media capacità : costi di acquisto minori, spazi meglio utilizzati, durata elevata, immagine tradizionale meglio vendibile e altri minori.
Sentiamo anche il parere della ditta Gamba, storica azienda di Bottai di Castell ‘Alfero in provincia di Asti .
“E’ vero, oggi si vendono bene le botti da 25 ettolitri. Per tanti motivi: praticità, comodità nei travasi,venticinque è multiplo di cento; inoltre si adattano bene anche agli spazi ridotti delle piccole cantine.
I costi sono limitati rispetto alla barrique , pur considerando solo un’ età media della botte di 25-30 anni.
Aggiungo che una botte da 25-35 ettolitri si può stasare più volte in quanto le doghe delle nostre botti hanno lo stesso spessore.
(Le cessioni di ” boisè” sono di ottima qualità, in particolare se si utilizza legno francese”)
Recentemente abbiamo chiuso un contratto con un’ importante cantina della zona del Barolo per la fornitura di botti da 35 hl in rovere francese di Nevers.
Forniamo a richiesta botti non verniciate all’eterno , interveniamo solo sui fondi e sul primo cerchio.
Garantiamo stabilità e la durata nel tempo delle botti, in quanto le doghe hanno lo stesso spessore sia sulle testate che a cocchiume secondo la migliore tradizione piemontese . I fondi sono concavi per poter meglio sopportare la pressione interna del vino. Non mettiamo traverse esterne o tiranti interni , ma la solidità della botte e’ garantita dalla nostra plurisecolare esperienza.
Ai nostri clienti garantiamo un rovere francese segato in”QUARTIER o FAUX QUARTIER “ ovvero segato rispettando la fibra del legno ed impiegando doghe provenienti dalla zona dell’ALLIER e NEVER, il tutto con grana molto fine. La stagionatura avviene in modo naturale, ossia lasciando sui nostri piazzali le cataste di legno per quattro o cinque anni, a seconda dello spessore, cosicche’ la neve , la pioggia ed il sole nell’arco degli anni provvedono a trasformare mediante una serie di microrganismi i tannini verdi in tannini dolci e vanigliati. Non possediamo essiccatoio artificiale e non lo possederemo mai! Certo che i costi si ridurrebbero notevolmente e cosi’ pure la qualità!
A richiesta possiamo eseguire la tostatura interna. Non diamo vernice rossa sulle testate per non nascondere la nostra lavorazione priva di mastici, cementite e altro.”
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2–LA MEMORIA DEI TRUCIOLI
Da un colloquio con gli enologi Giovanni Rolla e Beppe Jula
In quante cantine si usano le chips, ovvero i trucioli di rovere, per dare un profumo e sapore legnoso, ricercato dai mercati internazionali ?
Inoltre in certi paesi esteri sono ammesse.
Eppure anziani enologi, mediatori, commercianti restano perplessi, qualche volta ironizzano pure: l’utilizzo dei trucioli non è assolutamente una novità, anzi si tratta di una pratica antica e molto diffusa , la novità sta nel risultato che si vuole ottenere , oppure non ottenere .
Una volta si usava solo legno di pioppo considerato assolutamente neutro , non doveva cedere nulla, oggi si usa solo legno di rovere in quanto deve cedere tutto.
Sentiamo un anziano enologo:”In un recipiente vasca o serbatoio si mettevano dei trucioli di pioppo.
Sul pavimento del recipiente erano stati sistemate precedentemente assi ad un’ altezza di 5 cm
I trucioli erano semplicemente trecce di legno di 50 cm di lunghezza,1 cm di larghezza e 0,1 -0,2 mm di spessore.
Si riempiva il recipiente sino a tre quarti del volume facendo attenzione a pestare bene i trucioli, evitando pericolose sacche d’aria, infine si copriva il tutto con delle assi e delle pietre di Luserna.
Il tempo di contatto del vino con i trucioli variava, in genere non era superiore a tre-quattro giorni giorni.
I vantaggi ?
Innanzitutto si depositavano sui trucioli lieviti e batteri, per cui si completava l’eventuale fermentazione alcolica con esaurimento di zuccheri residui, si avviava la fermentazione malolattica grazie all’ambiente anaerobico.
L’abbassamento dell ‘acidità fissa-anche 1,5 gr. per lt – la formazione di acido lattico rendevano il vino più morbido ed armonico, la leggera presenza di anidride carbonica-dovuta alla fermentazione malolattica ne esaltava la fragranza.
Il vino inoltre subiva una filtrazione con omogeneizzazione e migliore limpidezza, grazie anche alla combinazione delle proteine- cedute dall’autolisi del lievito- ed i tannini del vino.
C’era anche un’azione stabilizzante in quanto sui trucioli si formava bitartrato di potassio,che catalizzava la precipitazione di questo sale, se in eccesso”.
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Racconta un altro enologo :” Iniziò mio padre a produrre trucioli, era il 1935, nel cortile dell’antico mulino di via Vivaro in Alba.
Con una macchina in legno costruito in proprio lavorava pioppi nostrani ed in seguito i primi ibridi canadesi,le “Caroline”, ma non l'”arbrun” qualità di pioppo che dava cattivo odore al vino.
Sino agli anni sessanta, poi cambiavano i tempi , da un lato l’introduzione dei primi filtri pressa Dalcin e Gasquet, dall’altro l’indifferenza, se non l’opposizione del mondo accademico in particolare la scuola enologica di Alba, che consideravano tale pratica quasi da imbroglioni, favorirono l’abbandono graduale di questo sistema”.
Le botti della Marchesa
Da un colloquio con il dott Ernesto Abbona – contitolare cantine marchesi di Barolo
Sono ancora chiamate così le cinque botti situate nelle storiche cantine della Marchesi di Barolo.
Non se ne conosce la precisa età, nè il produttore , la valutazione tecnica del recipiente ci riporta a tempi lontani, certamente nella seconda metà dell’ottocento.
Il legno è il castagno nostrano, essenza usata in Piemonte anche per costo più limitato, i cerchi sono sei e in origine dette botti erano provviste solo di portella rotonda a chiusura dall’esterno con corona di tiranti e posizionata a circa 20 dal fondo.
C’era una sola valvola sotto la portella, un semplice canotto in bronzo con tappo a vite e paletta interna che chiude per forza di gravità.
Le doghe non sono curvate, ma incise a metà e leggermente piegate a V.I fondi sono piani, mentre la controspinta è assicurata da due traverse applicate all’esterno e da due tiranti interni. Praticamente sono quasi cilindriche.
Il volume è di 120 ettolitri, la misura classica utilizzata delle aziende medio –grandi per l’invecchiamento dei vini.
Sono ancora piene di vino, una scelta che fa onore alla Marchesi di Barolo, ovviamente occorre un’attenta manutenzione e rigore nell’igiene trattandosi, in particolar modo,di vecchie botti .
I processi di ossidazione e cessione del legno sono ridottissimi o nulli, ma le “botti della Marchesa” restano eccellenti contenitori per una scelta prima culturale e anche promozionale che salvaguardia una cantina e valorizza un ‘azienda che hanno fatto la storia del Barolo.