La descrizione dei caratteri organolettici dei vini, spesso, segue le mode: quando ero un giovane enologo, tutti parlavano del famoso “goudron”, poi è arrivato il momento dei vini con il “frutto”, in seguito tutti percepivano il profumo “erbaceo” dei vari Cabernet Sauvignon o dei Traminer (le note pirazine).
Oggi?
In qualunque luogo o momento si assaggi un vino, vuoi in un convegno tecnico o in una sala d’assaggio aziendale, in una commissione camerale o in un Wine Bar di tendenza è d’obbligo ascoltare la parola magica: “minerale”.
Anche quando nei bicchieri sono in bella vista le nuances rubino – granato dei Barolo e Barbaresco, l’udito è subito invaso da un termine di grande risonanza: “minerale”.
Parola che, preciso subito, c’entra meno di niente riguardo ai due vini citati.
Perché “minerale” è così citato, ripetuto, osannato?
Quasi fosse un profumo raro o particolare. Il motivo è molto semplice e non è di carattere tecnico o organolettico.
Oggi il termine fa tendenza, in poche parole aiuta a vendere.
In quanto dà un valore aggiunto in termini di qualità e immagine ai vini che di conseguenza raggiungono, in certi casi, prezzi più elevati sui listini.
Come sempre quando si esagera nel settore vinicolo, pensiamo all’esagerato utilizzo del legno sul finire del secolo scorso, il tempo fa giustizia o ridimensiona molto le cose.
Il minerale
Cerchiamo allora approfondire cosa significa il termine “minerale” riguardo al vino.
Nei classici di saggi di analisi sensoriale la parola è correlata ai sentori di pietra focaia, di cemento, di conchiglia marina.
Fin qui d’accordo, spesso ho avvertito nei vini bianchi piemontesi il sentore di pietra focaia al termine della fermentazione malolattica.
Dove invece gli esperti sono divisi è quando si correla il profumo di “minerale” al terreno ove è posto il vigneto. Il cosiddetto terroir.
In sostanza si dice che noi percepiamo i minerali presenti nel sottosuolo specifico ove crescono le viti? Per cui il classico profumo “minerale” del Riesling del Reno è correlato allo scito, la sottile pietra minerale che caratterizza i ripidi vigneti della Germania?
Ma secondo molti scienziati la percezione di un profumo può essere dovuta, anche e soprattutto, a fenomeni di suggestione, oppure a impressioni puramente emotive.
Cito un episodio: in un viaggio in Mosella un collega tedesco esaltando i caratteri minerali dei Resling li correlava al terreno pietroso dei vigneti. E’ lo stesso materiale con cui sono stati costruiti, secoli fa, anche i tetti della bellissima città di Bernkastel, ove eravamo ospitati.
Perplessità generali in vero da parte di tutti i colleghi.
D’accordo: suolo e sottosuolo sono importanti per la vite e per il vino che ne deriva. Ammettiamo pure che alcune sostanze minerali passino nelle uve e di conseguenza nel vino.
A parte che le quantità sono infinitesimali, occorre tener presente che qualunque minerale per natura è inodoro.
Un esempio: una pietra di zolfo puro non ha alcun odore, solo se bruciata emette anidride solforosa.
Non dimenticando che il terreno per la vite cambia o si modifica nei secoli: piogge, concimazioni, lavorazioni, trattamenti vari modificano sensibilmente la natura delle sostanze assorbite dalla vite.
Resta la domanda iniziale: il sentore che noi definiamo “minerale” esattamente a cosa è dovuto? Alle pietre o alle rocce presenti nel suolo dei filari? Ad altri fattori?
La percezione sensoriale non sempre è legata ai principi odorosi presenti nel vino: sono importanti i fattori culturali ed emotivi. Alla fine spesso il nostro naso sente quello che ci raccontano, magari in maniera esaustiva e coinvolgente.
Occorre anche tener presente che il riconoscimento di un profumo durante l’assaggio di un vino o di un qualunque cibo è un percorso molto complesso. Scoperto nei suoi aspetti neurologici ed essenziali solo 40 anni fa.
Nella degustazione in genere è bene mai avere certezze assolute. Tanto meno quando sentiamo qualcuno, magari convinto di essere nel giusto, pronunciare dopo aver assaggiato un Roero – Arneis o un classico “Alta Langa” il termine “minerale”.