Il mercato del vino presenta valenze diverse rispetto a pochi anni fa.
Il consumatore è più attento e consapevole.
Finita, per fortuna, l’epoca dei vini internazionali che raccontavano nulla, se non la loro potenza sensoriale, oggi le attese sono rivolte verso prodotti con una precisa identità.
In particolare: un vitigno di pregio e un territorio altamente vocato.
Sotto questi aspetti il Roero rappresenta un terrior unico per dei grandi vini, sia bianchi che rossi.
Si tratta di una realtà collinare situata in Piemonte, accanto alle Langhe e al Monferrato.
Comprende 25 territori comunali, per una superficie complessiva di 375 kmq ed oltre 75.000 abitanti.
Il paesaggio di origine marina è legato allo spostamento del fiume Tanaro che cambiò in gran parte il suo alveo.
Conseguenze furono lunghi processi di erosione che portarono alla formazione di fenditure rocciose, (le famose “Rocche del Roero” che partono da Pocapaglia per terminare a Monta d’Alba; lunghe 13 km presentano un habitat di alto interesse geologico e naturalistico) che attraversano e caratterizzano tutto il territorio.
L’ ambiente è poliedrico: a boschi e prati si susseguono orti e frutteti. Citiamo presenze importanti di coltivazioni: dall’asparago alla fragola, dalla pesca alla pera Madernassa, ma il vigneto specializzato è sempre dominante. Gli ortaggi da tempo caratterizzano il paesaggio alla periferia di Bra.
Roero significa, anche, un terrior caratterizzato da tradizioni vitivinicole antiche, ove famiglie nobili hanno lasciato castelli, torri e opere d’arte, oltre consistenti superfici vitate, ove leggende medioevali sono ancora presenti nell’immaginario collettivo.
Roero, un territorio in crescita che cerca adeguati spazi e immagine ottimale sul mercato globale, proponendo vini doc e docg, correlati ad una gastronomia di eccellenza, ad una viticoltura di alto profilo, ad un habitat ancora, in gran parte, incontaminato.
Un po’ di storia
Roero: una storia molto antica. Già in epoca Romana la vite era coltivata in zona. Una stele funeraria, infatti, parla di un “Merkator vinarius”, ovvero mercante di vini in Pollenzo.
Invece a Monticello d’Alba c’era una fabbrica di “Anforianum”ovvero di calici citati da Plinio.
Gli ordini religiosi, tra monasteri e vigne adiacenti, svilupparono la coltivazione della vite; abbazie famose, come quella di Novalesa in Piemonte, possedevano fondi vitati nel Roero.
Nell’alto medioevo cresce la superficie coltivata, documenti di archivio citano spesso vocaboli relativi alla vite e al vino: “da pistare” ovvero pigiatura delle uve, a “loyra” che era il vinello destinato alla servitù. Era l’antesignano della famosa piquette, – leggi picheta ndr, – un lessico imposto dai francesi all’inizio del sec XIX.
Nel 1478, in un documento del comune di Canale, compare il nome Renesium, meglio bricco Renesio.
Seppur con qualche dubbio, è l’origine etimologica del nome Arneis. La denominazione specifica di questo vino compare solo nell’ottocento. I conti di Roero lo imbottigliano nelle loro cantine.
Il vino nebiolo è citato nel 1303 in un contratto d’affitto. Esisteva nelle tipologie dolci, amabile, chiaretto e secco.
Alla fine del sec X1X è citata la Favorita , forse “l’uva bianca” dei documenti d’archivio dei sec XVI-XVII.
La viticoltura del Roero, tra alti e bassi correlati all’arrivo dei tre flagelli a fine 800, alle due guerre mondiali, è segnata da una precisa svolta a partire dagli anni settanta del sec XX.
Si effettuano le prime vinificazioni in purezza di Arneis e di Favorita con metodi razionali, ovvero la classica vinificazione in bianco (Vedi finestra).
La doc del Roero è del 1985, mentre la docg è del 2004.
Nel frattempo nascono le prime iniziative promozionali.
L’Enoteca Regionale del Roero nasce nel 1994, con sede a Canale. Svolge importanti iniziative per valorizzare l’immagine e la qualità dei vini del Roero.
Il territorio del Roero
L’intero territorio del Roero occupa una superficie totale vitata di oltre 1000 ettari, con un clima tipicamente continentale e tendenzialmente poco piovoso.
Il sottosuolo è caratterizzato da caratteri geologici non sempre netti, sta di fatto che l’eterogeneità e la mescolanza del suolo, unita ad un microclima leggermente diversificato, originano prodotti diversi, seppur di elevato valore qualitativo. Costante è la presenza di sabbia cui si sommano percentuali limitate di calcare e humus: compare anche l’argilla frammista a banchi di gesso, con buona presenza di calcare.
Schematizzando abbiamo quattro tipologie di terreno, precisamente:
1)Astiano: con prevalenza di sabbia. Domina incontrastato in molti comuni del Roero, praticamente tutti quelli con le cosiddette “rocche”. E’ caratterizzato dalla presenza di numerosi fossili marini, quali pettini e ostriche, talora disposti in banchi, si trovano pure echinodermi e crostacei.
2) Piacentino: con tufo e argille bluastre – comuni di Piobesi, Vezza, Priocca.
3) Messiniano: con sabbie e marne calcaree – comuni di Santa Vittoria e Govone.
4) Tortoniano con marne argillose – calcaree grigio – bluastre ben stratificate – comune di Piobesi (1).
I vitigni e i vini
Quattro sono i vitigni maggiormente coltivati nel Roero:
1 – Arneis
Un vitigno a bacca bianca, citato sin dal XV° secolo. Per molti anni usato come uva bianca da tavola o vinificato con altri uvaggi, ha visto, a partire dagli anni settanta, un forte ampliamento della sua superficie vitata.
Il vino ottenuto, Roero Arneis docg, ha colore paglierino-verdolino, profumo delicato, con note erbacee e fruttate, sapore fresco e asciutto, con una gradevole nota di mandorla.
Adatto ad antipasti in genere e formaggi freschi.
Origina anche il Langhe Arneis doc. Alcuni produttori propongono il vino Arneis anche nella versione passito.
2 – Favorita
Agli inizi del secolo XX era utilizzata soprattutto come uva per la mensa.
Era coltivata nella zona intorno a Bra, occupandone il trenta per cento della superficie vitata.
Nel 1963 i prof. Dalmasso e Dell’Olio identificano la zona di produzione esclusivamente nella sinistra Tanaro quantificandone la produzione, ovvero 1000 hl.
“Il D.P.R. 21 11 94 riconosce la doc Langhe e tra i vitigni permessi c’è anche la Favorita, ma la zona di produzione aumenta in modo macroscopico, estendendosi a ben 94 comuni della sinistra e della destra Tanaro.
Il vino ha un profumo molto delicato e di alta finezza.
3 – Nebbiolo
Il Nebbiolo, uno dei piu’ importanti vitigni italiani, trova adeguato habitat in tutto il Roero.
E’ gia citato in documenti d’archivio nel 1303 a Canale, ove un affittuario deve ai conti Roero due carrate di vino, una “de Bono, puro vino moscatello” e l’altra “de bono, puro vino nebiolo”.
Origina il vino Roero docg, ottenuto per il 95-98% da uve Nebbiolo cui possono essere aggiunti Arneis (2-5%) o vitigni raccomandati per la provincia di Cuneo fino ad un massimo del 2%.
Il vino si presenta colore rosso rubino più o meno carico con riflessi granati se invecchiato, il profumo è sempre fruttato e molto intenso; con l’evoluzione in bottiglia prevalgano, invece, note eteree.
Il gusto secco e pieno, armonico e ben strutturato fa del Roero un vino di grande attrazione già nel primo anno di vita che ben si sposa con le ricette a base di carne della cucina regionale. Adatto anche a risotti e altri primi piatti.
Origina anche il Nebbiolo d’Alba e il Langhe Nebbiolo.
4 – Barbera
La “rossa e purpurea” Barbera cantata da poeti e scrittori esprime alte valenze qualitative nelle colline del Roero.
Grazie alla facilità nella lavorazione, alla buona resa nel vigneto, i viticoltori, sino al 1950, avevano molti motivi per utilizzare detto vitigno nel reimpianto delle vigne. Nel Roero era senz’altro preferito al nobile Nebbiolo.
Altri vitigni minori sono coltivati seppur in superfici più limitate.
Citiamo innanzitutto il Brachetto presente da molti anni anche nel Roero.
Ma si tratta di vero Brachetto, bensì di ”Brachettone”, ovvero un’uva a grappolo grande che trova habitat specifico su queste colline.
Valorizzato con il nome Birbet, nelle versione secco e amabile.
Il Dolcetto: la sua facile adattabilità all’ambiente e la precoce maturazione dell’uva ne hanno reso possibile la coltivazione anche in questo territorio.
La Bonarda, ovvero il vitigno Bonarda Piemontese limitato a pochi vigneti in alcune zone, in particolare tra Canale e Monteu Roero
Il Moscato bianco, ben presente a Santa Vittoria d’Alba (detto comune fa parte della zona d’origine prevista dal disciplinare docg del Moscato d’Asti e dell’Asti).
Rare vigne di Freisa sono presenti in alcuni paesi, citiamo Canale, Castellinaldo, Govone.
Inoltre a partire dagli anni ’80 del secolo scorso anche i cosiddetti vitigni “internazionali” sono presenti nel Roero.
Ci riferiamo a Cabernet Franc e Sirah nella zona di Pocapaglia, Riesilng e Merlot a Canale, Montà e Monteu Roero.
Interviste
Emanuela Negro – Export Manager Negro – Monteu Roero.
“L’Azienda Negro è prima di tutto una Famiglia. A me piace sempre partire da questo concetto perché è da qui che nasce tutto: l’amore, il rispetto, la passione e quando si parla di questi valori ecco il filo diretto con la nostra terra e il vino, parte integrante del nostro dna.
La nostra ricchezza risiede sicuramente nei vitigni autoctoni come l’Arneis e il Nebbiolo, se aggiungiamo poi la nostra storia, la complessità del terroir del Roero e una famiglia forte e radicata da cui abbiamo ereditato importanti vigneti su stupende colline e pendii…ecco che allora si hanno tutte le carte in regola per ottenere prodotti con una spiccata personalità, struttura e longevità, per farli conoscere a tutto il mondo.
L’eccellenza e il successo dei nostri vini sono dunque legati profondamente ai luoghi di produzione, e alle vigne storiche dei nostri nonni, curate oggi come dei veri e propri giardini!
La nostra Azienda ha da sempre avuto un’attenzione particolare ai mercati esteri, pur amando e curando sempre l’Italia. Già agli inizi degli anni ‘80 mio padre aveva iniziato ad esportare soprattutto in Germania e Svizzera. Oggi possiamo dire che il 50% della produzione è destinata all’estero, tra i paese principali troviamo: Germania, Svizzera, Olanda, Norvegia, Inghilterra, Giappone, Stati Uniti, Tailandia, Hong Kong.
Sempre di più i nostri vini incontrano il piacere di ristoratori importanti e affermati di tutto il mondo, sempre alla ricerca dell’eccellenza e soprattutto di un prodotto che sappia parlare da sé, che sappia emozionare e raccontare un po’ della propria terra.
Ecco quello che vogliamo essere, ambasciatori del nostro Roero”.
Angelo Negro – Enologo Cantine Negro – Monteu Roero
L’Arneis è sicuramente uno dei vitigni italiani più interessanti. E’ una varietà molto intrigante, posizionato su suoli adatti, possiede caratteristiche uniche.
Il Roero è il territorio in cui si esprime al meglio ed è qui che è nato. Vitigno autoctono presente già dal 1400.
I suoli alluvionali silicei di trama calcarea, uniti ai diversi micro-climi presenti sul territorio, originano vini diversi ed unici.
L’Arneis è sicuramente conosciuto come vino bianco secco, ricco di aromi come il biancospino, i fiori di acacia ma, in particolare, sono queste colline ad offrire un grande vino ricco di sapidità e lunghissima mineralità.
E’ preferibile berlo in gioventù, anche se con l’invecchiamento si ottengono dei risultati interessanti. Solo quest’anno siamo usciti con un Arneis del 2001, chiamato “7 anni”, vino dai profumi intensi, eleganti e dall’inaspettata freschezza acida.
L’Arneis è per me espressione del nostro territorio, le diverse composizioni del suolo del Roero ci permettono di offrire questo vino in diverse tipologie: metodo classico, passito e vino bianco di inimitabile piacevolezza, sia giovane che da invecchiamento.
Giovanni Negro è stato tra i primi a vinificare, nel 1971, l’Arneis in purezza per produrre un vino bianco secco. Da allora l’enologia è fortemente cambiata.
Oggigiorno si lavora nel pieno rispetto dell’uva di partenza. Tutte le fasi di ammostamento e pressatura sono gestite in atmosfera protetta per rispettare i profumi primari dell’uva che, altrimenti, andrebbero persi con l’ossidazione. Inoltre viene praticata una macerazione pellicolare in pressa che va dalle 6 alle 24 ore. Il mosto viene decantato a freddo staticamente, poi messo a fermentare con ceppi di lievito selezionati alla temperatura di 17-18 gradi.
Il vino feccioso rimane “sur lies” per almeno 4 mesi con batonnages settimanali, dopo di che viene chiarificato unicamente con bentonite, senza aggiunta di proteine o quant’altro per non smagrire il prodotto e non creare allergeni per i consumatori. Il vino così ottenuto non viene stabilizzato a freddo per mantenere al massimo tutti i sali minerali presenti sull’uva di partenza. Si imbottiglia filtrando in modo sterile per ovviare a possibili fermentazioni malolattiche indesiderate. L’Arneis così ottenuto rimane in bottiglia almeno un mese prima della vendita. Nelle selezioni più particolari come l’Arneis “Perdaudin”, “Gianat” e il “7 Anni”, il vino rimane “sur lies” oltre 6 mesi.
Giovanni Negro – titolare cantine Negro – Monteu Roero
“Sono nato nel 1949 a Perdaudin, in frazione di Sant’Anna di Monteu Roero.
Mio padre aveva 2 ettari di terra e una stalla con 2 mucche e tre vitelli.
Andavo a scuola a piedi distante tre chilometri tra il freddo e la neve.
A otto anni davo il verderame con la macchia sulle spalle, mentre a 11 anni lavavo le bonse.
Con me c’era il fratello gemello, ora sacerdote.
Nel 1962 rimasi solo.
Che fare?
Divenni segretario del “club 3P”, emanazione giovanile della Coldiretti.
Allora da noi era ben organizzata
Feci i primi corsi di frutticoltura. Iniziai un pescheto e un vigneto sperimentali.
Ero anche curioso: nell’archivio comunale, trovai un vecchio libro con il nome della mia famiglia e un disegno.
Stilizzato, rappresentava un angelo. Divenne il nostro simbolo.
Alla fine degli anni ‘60 il vigneto rendeva poco, vendevamo la frutta direttamente ai consumatori, sui mercati. Ricordo ad Asti, la prima volta, in seguito a Torino.
Iniziai la nuova casa e in seguito misi a dimora qualche vigna; presto, con 7 viticoltori amici, nei nuovi locali, iniziammo a vinificare l’Arneis.
Le uve arrivarono da 7 viticoltori, ma non riempimmo una bonsa da 14 brente.
Per completare acquistammo uve a Canale.
Ricordo il mio primo comizio per avere un po’ di uva per vinificare.
Trovai 50 casse, era la vendemmia 1970.
Il primo anno imbottigliammo 2000 bott, era il 1971.
Non c’era doc, né identità precisa, né tecnica collaudata di cantina. C’era solo la nostra determinazione e un po’ di coraggio.
Era uno dei primi Arneis in commercio.
Ma due anni dopo eravamo già a Torino ad esporre al castello medioevale.
Sette pioneri per valorizzare un grande vino.
Continuammo sino al 1976, poi ognuno andò per la sua strada. Io continuai come azienda Negro.
Nel 1988 iniziai a costruire l’attuale cantina”.
Ornella Correggia – cantina Matteo Correggia – Canale.
Matteo Correggia, vignaiolo del Roero, ci ha lasciati.
Improvvisamente, nove anni fa.
Matteo continua a vivere nelle immensità celesti, grazie a un asteroide che porta il suo nome.
Matteo continua ad assisterci dallo spazio divino.
“Una sera con delle amiche andai a ballare al Dixie. Una discoteca tra Alba e Asti.
Incontrai Matteo.
Nel 1990 ci sposammo.
Gli inizi della nostra avventura vitivinicola furono caratterizzati da due fattori: paura e incertezza.
In cantina non c’erano neppure i biglietti da visita.
Era un’azienda familiare. Si imbottigliava e etichettava a mano.
Era un mondo così: era il Roero.
Avevamo otto ettari con terreni ben diversi.
Ma Matteo ebbe i contatti giusti, inizialmente con Roberto Voerzio che acquistava l’uva Arneis qui nel Roero e in seguito con Elio Altare. Due noti barolisti. Grazie a loro arrivarono le prime barrique che abbonimmo per fare piacere alla mamma di Matteo.
In seguito effettuammo nel vigneto i primi diradamenti. Ben ricordo i patemi dei famigliari e dei vicini che lo consideravano un sacrilegio.
Con il tempo ho compreso meglio il comportamento della mamma di Matteo. Ha dedicato, con suo marito, tutta la sua esistenza a far crescere la cantina. Se oggi siamo una realtà del Roero, il merito è soprattutto loro.
Matteo fece alcuni viaggi in Borgogna e a Bordeaux, fu impressionato da come i francesi valorizzassero i loro terroir.
Cercò emulazione da noi.
Nel 1989, al Vinitaly, i giornalisti non ci chiedevano Nebbiolo, bensì Marun. Era il nome della nostra vigna più bella.
Matteo era innanzitutto un contadino. Aveva solo il diploma di media inferiore e gestiva le vigne lasciate dal padre.
Ma accudiva il vino come si accudisce ad un bambino.
Dormiva in vendemmia in un locale accanto alla cantina, lo vedevo poco.
Una persona divenne un preciso punto di riferimento per Matteo: lo chef Renato Dominici del famoso ristorante” Le Carmagnole” a Carmagnola.
“Colpire un cuoco con il mio vino era il massimo”, sosteneva Matteo. A Dominici piaceva in particolare il nostro Brachetto secco, poi battezzato “Anthos” proprio su consiglio di Renato; guai se un cliente andava via senza averlo assaggiato.
Il periodo 1993 – 2001 fu caratterizzato da una forte crescita della qualità e dell’immagine per la nostra cantina; di fatto restavamo sempre senza scorte, con vino venduto spesso en primeurs.
Una sera arrivò a casa contentissimo, aveva acquistato un cru: “Rocche d’Ampsej”.
Tra Canale e Montà; mi portò a vederlo.
Ricordo la sua gioia unitamente alla bellezza unica di quel luogo tra boschi e viti: quattro ettari tutti da valorizzare.
Un successo enorme. Iniziammo con 1000 bottiglie, Nebbiolo in purezza, in legno per 18 mesi, oltre un anno di affinamento in bottiglia.
Cosa posso ancora dire di Matteo? Era se stesso, sempre.
Gli mancavano un po’ gli studi, metteva al loro posto la sincerità e l’onesta, poi l’entusiasmo e l’enorme passione per la vigna.
Con i suoi figli era stupendo: nel 1992, quando nacque Giovanni era felicissimo e nel 1994 quando nacque Brigitta la felicità raddoppiò. In vero lui avrebbe voluto ancora altri figli.
E’ mancato giovane a 39 anni.
Giovanni studia alla scuola enologica e quest’anno ha fatto uno stage da Voerzio.
Anni fa ha aiutato Matteo, ora aiuta suo figlio.
Giovanni assomiglia molto a suo padre”
Giovanni Almondo – cantine Almondo – Montà d’Alba
“Avevo otto anni, quando venni qua dalla frazione Vareglio di Montà d’Alba.
Mio padre aveva cinque giornate di vigneto con Barbera, Nebbiolo, Croatina e la vigna delle uve bianche con Arneis, Favorita ed Erbaluce.
Allora il pesco rendeva più dell’uva.
Infatti, sino al 1976, vendevamo le uve a un ristorante locale che faceva cantina; dopo qualche anno iniziai a imbottigliare.
Preciso che gia il mio bisnonno faceva del vino; oltre 400 brente; lo vendeva ai ristoranti che ospitavano cacciatori in stagione.
Nell’80 mi laureai in agronomia.
Ma il reddito della vigna era troppo basso, iniziai allora a produrre vini.
Né 1978, vendetti 400 bottiglie di Nebbiolo alla festa del paese.
Nel 1981 un incontro importante: ero insegnante supplente alla Scuola enologica e casualmente conobbi Gian Bovio, noto ristoratore del Belvedere della Morra.
Assaggiò il mio Arneis, gli piacque e ne acquistò 200 bottiglie.
In seguito clienti del ristorante vennero nella mia cantina per acquistarlo.
Ecco i miei inizi.
Ho ancora pressato con torchio meccanico mosso a mano, ho portato il vino all’aperto perchè il freddo aiutasse la sua stabilità. Ho conservato i lieviti nella feccia gelata da un anno all’altro.
Oggi sono arrivato a 90.000 bottiglie; vendo in Usa, Germania, Olanda e Giappone.
In Italia ho ottimi clienti nel canale Hhoreca, cito le Pergole dell’Hilton a Roma e Peck a Milano.
La mia è stata una crescita lenta, ma continua, legata soprattutto al passaparola tra i clienti.
Il problema più grosso del Roero è la sua identità territoriale: spesso la confusione lessicale non aiuta.
Roero Arneis, Langhe Arneis, Nebbiolo Alba, Roero, Langhe Nebbiolo, Langhe Rosso, Langhe Favorita. Mi fermo qui. Può il consumatore capire il significato preciso di tutte queste denominazioni?”.
Roberto Costa – sindaco di Castellinaldo d’Alba e produttore
“Il vino Arneis ha risvegliato il Roero.
Se le pesche hanno permesso di vivere negli anni ‘40 – ’50, è stato il successo dell’Arneis ad evitare la fuga dalle campagne negli anni ‘60.
Molti giovani si sono fermati e il prezzo delle uve nelle ultime vendemmie è stato buono, se rapportato alle altre uve Piemontesi.
Castellinaldo d’Alba è anche una sottozona del Roero, anzi abbiamo istituito il marchio “Castellinaldo Barbera d’Alba” che presto sarà regolamentato. Al momento i produttori associati utilizzano un’etichetta consortile.
L’obiettivo è garantire al consumatore una precisa impronta territoriale sui vini che acquista.
Per me è la scelta strategica vincente di tutto il Roero, inteso come territorio ad alta vocazione.
La crescita deve essere collettiva per tutti i terrior Piemontesi.
Parlando come produttore, il fatto che mi ha dato piu’soddisfazioni è stata la produzione di vino in assenza di anidride solforosa. Senza il tradizionale supporto di questo additivo, abbiamo dovuto mettere a punto un protocollo produttivo molto rigido, che impone un lavaggio accurato delle uve prima della vinificazione, per eliminare ogni residuo di antiparassitari, una rigorosa igiene di cantina, un attento controllo dei tempi di fermentazione e l’impiego di lieviti indigeni appositamente selezionati. Inoltre la vinificazione avviene in ambiente ridotto, praticamente in completa assenza di ossigeno.
Lo stesso riguardo, sia per la conservazione, sia per l’imbottigliamento.
Oggi produco circa 65000 bottiglie senza solforosa aggiunta”.
Renato Chiesa – contitolare azienda agricola Chiesa Carlo – Santo Stefano Roero
“L’Azienda Agricola Chiesa Carlo nasce nel 1700 a Santo Stefano Roero, in frazione Sant’Antonio.
Comprende circa 10 ettari di vigneto. E‘ a conduzione familiare, con me collaborano due fratelli: Carlo e Beppe.
Insieme seguiamo direttamente ogni fase della filiera: dalla lavorazione delle vigne, alla cantina, utilizzando ancora metodi tradizionali senza particolari tecnologie innovative o pesanti interventi fisico – chimici.
Seguiamo direttamente la commercializzazione del prodotto finito.
Coltiviamo i vitigni classici del Roero, in vigneti distribuiti sui versanti a migliore vocazione e con diversa natura dei suoli.
La resa per ettaro è contenuta grazie a potature ridotte e, quando necessita, ad abbattimento dei grappoli ad inizio agosto.
La produzione media annua in vino è di circa 350 ettolitri: Alcuni cru sono evidenziati in etichetta.
I nostri vini sono distribuiti principalmente nel Nord Italia e a privati esteri (Germania e Svizzera).
Produciamo ogni anno circa 40000 bottiglie”.
Piero Giachino – enotecnico e responsabile tecnico della Cantina Sociale del Nebbiolo di Vezza d’Alba Soc. Coop. a r.l.
“Vezza d’Alba è per il Roero la culla della cooperazione; ha dato i natali alla Cooperativa di consumo, alla Cassa Rurale Artigiana di Vezza d’Alba e alla “Cantina Sociale Parrocchiale” nel lontano 1901 grazie all’interessamento di Don Vigolungo.
La Cantina del Nebbiolo, è stata fondata, sulle ceneri della vecchia Cantina, nel 1959, per opera di 13 soci fondatori, tra cui l’allora parroco Don Mulasso.
Cooperazione, mutualità e solidarietà sono il fondamento della Cantina del Nebbiolo, attiva da mezzo secolo, con conferenti totali per la vinificazione delle uve e la vendita dei vini ottenuti. Fornisce anche un supporto tecnico in vigneto, indirizzando il viticoltore verso scelte mirate al mercato.
Annovera 184 soci che conducono 240 ettari di vigneto dislocati su 15 comuni del Roero e con alcune propaggini nelle Langhe.
I terreni da cui nascono i vini della Cantina del Nebbiolo sono formati a volte da sabbie quasi prive di calcare, per la maggior parte da sabbie di origine marina ricche di fossili e di marne brune; danno origine a vini sciolti, freschi, a volte minerali e a volte complessi e longevi.
Trasformiamo tutte le uve caratteristiche del Roero, ottenendo i relativi vini doc e docg.
Nel 2009 abbiamo vinificato quintali di uva 23000 quintali di uva”.
Cinque domande a Luciano Bertello – Presidente Enoteca Regionale del Roero.
1) Cosa rappresenta il territorio del Roero?
“Il Roero, oggi, è una realtà viticola matura e ambiziosa, che non soffre più di alcun complesso di inferiorità nei confronti delle vicine colline del Barolo e del Barbaresco.
Infatti, con il conseguimento della “DOCG” (vendemmia 2005) il “Roero” e il “Roero Arneis ” sono entrati nell’olimpo dei grandi vini, segnando un ulteriore passo sulla strada della qualità. Una strada che – il Roero sa bene – non ha mai un punto di arrivo, bensì una meta che ogni volta si sposta più avanti, richiedendo una continua crescita di imprenditorialità, determinazione, responsabilità, impegno”.
2) In questo contesto quale importanza assume il Roero Arneis Docg?
“Il “Roero Arneis” è l’alfiere del più recente rilancio viticolo del Roero e rappresenta sicuramente il nerbo della viticoltura Roerina. Il “vigneto-Roero Arneis” è esteso su una superficie di oltre 550 ettari, con una produzione annua di oltre 4 milioni di bottiglie presenti su tutti i mercati nazionali ed internazionali.
Un’importanza che va oltre l’ambito strettamente economico, giacché si è tradotta in cultura, in valorizzazione del paesaggio agrario, in orgoglio di appartenenza”.
3) L’immagine dei vini del Roero è in crescita dunque?
“Si! Hanno ormai maturato il giusto orgoglio, che nel linguaggio enologico significa sapersi proporre con una ben definita personalità, capace di marcare le caratteristiche di eleganza e di bouquet che i sabbiosi terreni di origine marina conferiscono loro. Vini che seguono e inseguono un loro specifico percorso, senza pensare a inutili paragoni con i fratelli di Langa.
Vini che parlano il linguaggio dell’internazionalità e che riflettono, pertanto, tutti i problemi economici delle società complesse e il momento di grave recessione”.
4) Il futuro di questo territorio?
“La candidatura delle nostre colline della vite e del vino a Patrimonio dell’Umanità può rappresentare, a mio avviso, un’opportunità di crescita. Comunque vada a finire. E, beninteso, nonostante le perplessità che personalmente nutro sul metodo seguito per l’individuazione delle aree da inserire nel progetto.
Mi spiego.
Sono convinto che il nostro paesaggio viticolo sia stupendo e meriti il timbro dell’Unesco: è la titanica costruzione di generazioni di eroi-contadini; è espressione concreta di una civiltà e di specifiche categorie culturali (i criteri di ripartizione ereditaria, l’esasperata parcellizzazione, i sistemi di conduzione, i vitigni autoctoni …); è artefice dei vini più pregiati al mondo. Qui, tra noi, possiamo discutere sul “troppo” e sulle tensioni della monocoltura, ma sta di fatto che chi arriva sulle nostre colline non può non riconoscerne l’unicità, la maestosità e la bellezza.
Trovo però assurda la proposta a “macchia di leopardo”, che, più che rimarcare le nostre eccellenze, evidenzia le nostre debolezze (fondovalle completamente rovinati, sensibilità diverse da paese a paese, mancanza di una visione generale).
Detto questo, rimango dell’avviso che il progetto di candidatura abbia svolto e possa ancora svolgere un ruolo positivo, tanto più se sapremo tener vivi gli insegnamenti che ne derivano. In ogni caso, si è trattato di una cartina al tornasole che ha evidenziato positività e criticità paesaggistiche, ha costretto le amministrazioni comunali a pronunciarsi rivelando le diverse sensibilità sulla gestione del territorio, ha confermato che sui temi della tutela del paesaggio i nostri viticoltori sono portatori di istanze più mature di quelle della politica”.
5) Il ruolo istituzionale dell’ Enoteca?
“L’Enoteca Regionale del Roero ha svolto un ruolo determinante nel più recente processo di crescita e di affermazione della viticoltura del Roero. Infatti, essendo il mondo del vino del Roero costituito in gran parte da piccole e piccolissime aziende, singolarmente incapaci di affrontare in modo organico e su vasta scala i temi della promozione, sull’Enoteca sono confluite tali esigenze. Ma, oltre a dar voce all’ambizione e al desiderio di affermazione del territorio, l’Enoteca ha saputo accompagnare la sua attività con un’impostazione culturale, facendo maturare fra i viticoltori una maggiore sensibilità sui temi del paesaggio agrario. Temi che nel futuro saranno sempre più centrali”.
Claudio Rosso – Presidente Consorzio Tutela Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Roero.
“Il Roero è sempre stato molto importante per il mondo del vino Albese perché sulle sue ripide colline e sui suoli marmosi ma sciolti per sabbie antiche, il Nebbiolo d’Alba ha sempre prevalso. Si coltiva anche Barbera e un vitigno aromatico simile al Brachetto (il vino ha preso il nome di Birbet). C’è la Favorita e, dopo le dovute selezioni clonali, ha avuto un grande successo l’Arneis. La sinistra Tanaro ha man mano preso coscienza della sua antica identità arrivando alla Doc Roero che comprende la tipologia “rosso” derivata dal Nebbiolo e la tipologia “Arneis”. Questa Denominazione ha ottenuto recentemente il riconoscimento della Docg che ora si staglia sul panorama locale, dove si rivendica ancora il “Nebbiolo d’Alba” doc e il “Langhe” doc nelle sue varie declinazioni. Tutta questa storia è stata accompagnata e sostenuta dal Consorzio di Tutela Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Roero cui i produttori sono rimasti fedeli consacrando l’unità di quel contesto collinare definito “l’Albese” che è diviso solo per il famoso “basculamento” del fiume Tanaro che in epoche remote lasciò il percorso verso la pianura Torinese per riversarsi verso Alba e poi defluire fino ad Alessandria.
Canale, enclave Visigota, è la capitale di questo territorio ed ospita l’Enoteca Regionale del Roero che collabora con il Consorzio su tutte le questioni legate alle Denominazioni dei Vini.
Con la nuova normativa nazionale che sostituirà il Decreto legge 164 si apre la strada ad un ruolo più importante per il Comitato della denominazione “Roero”.
1 – Le prime moderne vinificazioni dell’Arneis e del Favorita
La testimonianza di Umberto Ambrois
Umberto Ambrois è stato enologo e insegnante alla scuola enologica di Alba. Da decenni è un appassionato studioso di viticoltura ed enologia del Roero. Ha pubblicato “Roero-Vite e Vino” nel 1978 per le edizioni Gribaudo – premio internazionale O.I.V.1978.
Sentiamo la sua testimonianza: “Siamo a metà anni sessanta. A Montaldo Roero si produceva un po’ di uva bianca chiamata Arneis. Era vinificata insieme alle altre uve, oppure utilizzata come uva da tavola, sovente messa ad appassire per Natale.
In realtà qualcuno produceva qualche brenta di Arneis; la prima volta che mi offrirono un bicchiere, mi sembra fossi a Montaldo Roero, notai subito il colore ambrato, quasi un Marsala. Il sapore era dolce, allora non si conoscevano ancora i principi della vinificazioni bianco, ma soprattutto non c’era tecnologia nelle piccole cantine.
In Lazio avevo acquisito una certa esperienza nella produzione dei bianchi. Nella vendemmia del 1966, alla Carretta, nacque il vino” bianco di Alba”. Utilizzai allo scopo un uvaggio di Arneis e Favorita.
Ricordo anche l’importante ruolo dei viticoltori di Montaldo Roero; alla fine anni sessanta in sette si associarono fondando la P.M.A -“ Produttori Montaldesi Associati”. Grazie a loro furono salvati alcuni filari di Arneis destinati alla distruzione; fatte le marze, si iniziò ad innestare e impiantare altri vigneti. Dopo qualche anno, con loro, iniziai a produrre il vino. Non c’era tecnologia, ne freddo, né caldo, altro che microfiltrazione! Facevo la coperta e chiarificavo.
Il prodotto era buono anche perchè nella vigna si produceva poco”.
All’inizio degli anni settanta nacque la” Libera Associazione del Roero” allo scopo di valorizzare le potenzialità del territorio, vini inclusi; cresce l’interesse dei viticoltori per l’Arneis: appena 20 ettari coltivati nel 1978, 200 nel 1989, 573 nel 2007.
In vero la prima vinificazione in purezza dell’uva Arneis, fu effettuata dall’enotecnico Alfredo Currado nelle cantine Vietti a Castiglion Falletto.Eravamo nel 1967 e l’etichetta riportò per la prima volta stampato il nome Arneis. Ricorda Currado: ” Alla pesa della valle dei Longhi tra Canale e Santo Stefano Roero acquistammo un po’ di uva Arneis, ma era difficile, in quel 1967, nel Roero c’era veramente pochissimo Arneis ; per riuscire a produrre mille bottiglie, se ben ricordo acquistammo da quarantatré viticoltori”.
2 – I ricordi di Armando Cordero
Uno dei piu’appassionati enologi Piemontesi, da sempre Presidente Commissione Idoneità docg Barolo e Barbaresco. Ha avuto il merito di vinificare per primo in purezza l’uva Favorita.
Nel 1976 presso le cantine Franco Fiorina in Alba.
“Il vino Favorita conosce un certo successo ad inizio ‘900 grazie all’intraprendenza di un parroco della zona, Don Vigolungo, che nel 1901 sollecita la fondazione della Cantina Sociale Cattolica della Vezza.
Il Favorita, vino per la Santa Messa si fa conoscere e apprezzare in tante parrocchie del Piemonte e della Liguria.
Anche la Cinzano, data l’abbondanza, se ne serve per la produzione del vermouth.
In seguito le due guerre mondiali e la recessione degli anni trenta mettono anche in ginocchio l’economia del Roero.
Negli anni Settanta la sua produzione è talmente ridotta che si può considerare un’uva rara.
Infatti, per poterci permettere la soddisfazione di fare rivivere il suo vino, dovemmo ricorrere alla produzione di una trentina di vignaioli sparsi per tutta la zona.
Alla “Franco Fiorina”, in Alba, dove svolgevo il mio lavoro di Enologo, li definimmo “vignaioli storici”: tutti abbastanza avanti negli anni, alcuni più vicini agli ottanta che ai settanta, ricchi di ricordi, di voglia di vivere e d’entusiasmo. Erano orgogliosi di quei pochi filari che continuavano a coltivare, forse anche a dispetto dei figli e dei nipoti, che non capivano come si potesse continuare ad amare e produrre dell’uva che da decenni nessuno più voleva acquistare.
E così, da Pocapaglia, Monticello, Sommariva e Cornegliano, arrivarono puntuali nella cantina di via della Liberazione, in vecchie ceste di vimini, quei primi settanta quintali di uva, perfettamente matura, scelta grappolo per grappolo sul “tavolaccio”.
Vinificata in purezza e senza adottare tecnologie esasperate, si ricavò quel primo vino che stupì tutti per il suo magnifico colore giallo pallido con riflessi citrini, il suo profumo ricco ed intenso, con ricordi floreali e di frutta esotica, il suo sapore secco, gradevolmente acidulo, fresco e invitante.
Il compianto prof. Garoglio, maestro insigne di tanti enologi e altri esperti ricercatori, lo giudicarono eccellente. Ristoratori e consumatori lo accolsero favorevolmente e ne decretarono il successo.
La Favorita e il suo vino, dopo tanti anni di oblio tornarono a rivivere!
L’azienda vitivinicola Tenuta Carretta in Piobesi, Gianni Gagliardo ed altri intraprendenti produttori ne iniziano con successo la coltivazione e la produzione. Sulle colline del Roero e della Langa Albese la Favorita riprendeva il suo cammino verso la celebrità.
Oggi sulle colline sabbiose del Roero, accanto ai vigneti di Nebbiolo e di Arneis, la Favorita ha ripreso il suo posto d’onore. La sua coltivazione è in continuo incremento, e numerose cantine si dedicano con entusiasmo alla produzione e alla commercializzazione del suo vino che è presentato in tipologie diverse: secco tranquillo, leggermente frizzante e, secondo la moda, anche “barricato”.
3 – Baldassarre Molino: lo storico del Roero
Nato nel 1935 a Vezza d’Alba (CN), è un appassionato cultore della ricerca storica sul territorio. Al suo attivo ben 14 testi sulla conoscenza di varie realtà geografiche e sociali del Roero. Tutti elaborati con assoluto rigore storico e su accurate fonti archivistiche.
“ La passione per la storia e lo studio del territorio hanno origine in età giovanile, tuttavia all’inizio non erano finalizzate alla ricerca d’archivio ma rivolte al Piemonte in generale e, in seguito, alle aree scelte per le vacanze, in particolare Etruria, Magna Grecia e Provenza.
Circa il metodo di lavoro, credo di poter annotare che fu soprattutto influenzato dalle linee di ricerca indicate dagli storici francesi dei decenni centrali del secolo scorso.
Il desiderio di proseguire la ricerca d’archivio mi portò poi a indagare nella mia zona d’origine, il Roero, che stava timidamente cercando una più marcata identità.
Nel 1980 uscì il volume su “Vezza”, che mise a profitto l’ottimo archivio locale e il prezioso archivio nobiliare del casato dei Roero, custodito nel castello di Guarene.
Seguirono poi altre pubblicazioni, per le quali – se risultato valido c’è stato – il merito va anche all’aver potuto accedere ad altri archivi nobiliari grazie alla disponibilità dei relativi proprietari. Fra le diverse pubblicazioni, vorrei segnalare soprattutto la riedizione nel 2005 del Repertorio storico del Roero, nel quale i dati tratti dai diversi archivi tracciano un affresco che delinea tutti i comuni dell’area e la loro identità storica. Accanto alle ricerche sul Roero (che continuano), si è affiancata anche quella sulla diocesi d’Alba, ad esempio con la trascrizione del Minutario del beato Alerino Rembaudi (1439-1443) e de La visita pastorale del vescovo Vincenzo Marino (1573-1580)”.
4 – Tenute nobiliari nel Roero
Il territorio del Roero è stato per secoli caratterizzato dalla presenza di numerose famiglie di nobili o di ricchi proprietari terrieri.
I numerosi castelli medioevali esistenti ne sono l’esempio visibile.
Citiamo tra gli altri i Malabaila di Canale, i Roero di Monticello, gli Alfieri – Sostegno di Magliano, i Provana di Collegno, i Mirafiore a Sommariva Perno.
Dai loro archivi, da documenti ingialliti, da vecchi atti notarili si possono ricavare molte notizie utili sul vino e sulla vite.
Con particolare riferimento ai vitigni coltivati, ai vini prodotti, alle tipologie in uso, ma anche su antiche pratiche in vigna o in cantina, sui contratti d’affitto o sui capitolati di mezzadria o su toponimi o termini lessicali antichi, ora scomparsi.
La famiglia Botto-Micca rappresenta la classica espressione della ricca borghesia del Roero, con molti beni patrimoniali, proprietà terriere incluse. Risiedono, tuttora, a Corneliano in una bellissima casa del secolo XVII, posta al termine della piazza principale.
L’origine del nome risale al secolo XVII, anche se in origine con il nome diverso e non unito: “Botto” e “Micha”. Quest’ultimo pare risalga all’antica Roma.
Impressionante la ricchezza terriera tra le colline del Roero e dell’Albese:
Nei paesi di Corneliano, Monticello, Roddi e Alba sono citati nei secoli scorsi vigneti, campi, prati, pioppeti, terreni irrigui coltivati a foraggio e cereali. Si documentano con precisione località, superficie, esposizione.
Esempio: in località Malapiscina, proprio di fronte al Santuario di Nostra Signora di Castellero, grandi vigneti di Nebbiolo e Favorita, insieme a campi e prati per una superficie totale che superava i 5 ha in un corpo unico; poco oltre il Santuario ancora 2 ha di bosco; e in frazione Reala, campi e prati per poco meno di 1 ha.
I vitigni coltivati: Moscato (meglio, Muscatel) già segnalato nel sec. XVII; poi Favorita, Nebbiolo e Barbera, raramente Dolcetto e Neirano nel secolo XIX. Il fatto che il Moscato risulti coltivato in buona misura a Corneliano alla fine del secolo XIX è significativo; chiaramente era un terroir vocato. Peccato che negli anni ‘60, questa valenza non fu utilizzata per rivendicare la doc Moscato in questo territorio comunale.
Ci riusciranno i comuni di Serralunga d’Alba e Santa Vittoria ove il Moscato era anche coltivato, magari in misura minore; determinante fu il fatto che i due paesi erano sedi di due grandi cantine.
Un’occasione persa per sempre.
Nel 1949, con il matrimonio della signora Giovanna Botto-Micca con il conte Vittorio Sclopis di Salerano (antica famiglia nobile del Torinese, le cui origini si perdono nel sec. XIV) la proprietà terriera cresce in modo considerevole, arrivando a sfiorare i 60 ettari di superficie totale a cavallo degli anni cinquanta del secolo scorso.
5- I Giovani e il Roero vitivinicolo
Federico Almondo
“Penso che essere un giovane enologo in un territorio viticolo come il Roero sia una delle situazioni lavorative più stimolanti nel panorama enologico piemontese. Il mio entusiasmo si fonda su tre ragioni.
La prima è di origine agronomica: il Roero è un mosaico di suoli profondamente diversi fra loro, con caratteristiche peculiari e talvolta estreme; ognuno di loro ha un’affinità precisa con ciascun vitigno coltivato. Le combinazioni suolo – vitigno che può offrire il Roero sono innumerevoli. Se a questo si aggiunge la variabilità microclimatica che concede la morfologia del territorio si ottiene un potenziale agronomico enorme, esplorato per ora solo parzialmente, che sarà nel prossimo futuro una fonte di stimolo e sfida per noi viticoltori.
Il secondo motivo è enologico e riguarda l’amplissimo panorama di vinificazioni che l’enologo del Roero ha la possibilità di realizzare: dalla lunga e sapiente elaborazione del Nebbiolo, a quella molto tecnologica del Brachetto, passando per lavorazione delle uve bianche, vero meccanismo propulsore del territorio. Poche regioni enologiche italiane offrono tali opportunità!
L’ultima motivazione è quella più difficile da spiegare ed è davvero comprensibile solo per chi vive nella mia zona. Riguarda la voglia di crescita, di miglioramento che coinvolge moltissime cantine locali. È un’ambizione che parte dai giovani enologi, passa attraverso la ricerca e la sperimentazione, e porterà ad un concreto progresso per il territorio”.