La vinificazione è il processo più importante e più antico delle pratiche enologiche. Per millenni è rimasto praticamente inalterato, almeno nelle sue linee essenziali.
Se a Pasteur va il merito di aver scoperto nel sec XVIII il fondamentale ruolo del lievito, la necessità di migliorare processi e pratiche di cantina, con conseguente miglioramento della qualità del prodotto, ha portato nel secolo diciannovesimo a molte innovazioni a carattere tecnologico.
Vediamo innanzitutto com’era lo storico processo in una cantina piemontese negli anni ’50 del sec. scorso.
Alba – 1934 – Cantine Calissano
C’è odore di gas dappertutto. Si è iniziato stamane a svinare il Barbera; dai rubinetti in bronzo enologico, veloce scende il vino, le bolle si rompono subito contro il setaccio in ferro dalle maglie larghe.
Due uomini di Luis scendono con cautela nella grande tina, prima hanno acceso una candela. Luis con difficoltà toglie lo sportello e il cestino di vimini, si aiuta con un tridente.
Finalmente escono le prime vinacce miste a vino nuovo. Due operai veloci le buttano nella gabbia di un torchio. Si sente il tintinnio continuo dei saltarelli dei vecchi torchi Negro, ci sono i profumi intensi della vinaccia torchiata e del vino nuovo, c’è il gas a cui tutti i cantinieri devono abituarsi, c’è il sudore di uomini accaldati e affaticati.
È la svinatura della grande tina, da 600 brente, un momento bello, pieno di fatica e di tanti significati, un lavoro difficile, c’è tanta professionalità e un po’ d’apprensione tra gli uomini di Luis. Al mattino si sa quando si inizia, non si sa quando si finisce.
Due operai a torso nudo escono dal passo d’uomo, hanno i tridenti in mano, chiedono il cambio. Luis manda altri due cantinieri, il loro viso è sporco di vinaccia e denota l’enorme difficoltà e fatica del lavoro svolto.
(Dal racconto “Luis e la grande fabbrica” in Barolo & Co – 1991).
Serralunga d’Alba – cantine Fontanafredda – 1972 – I primi vinificatori (fermentini) automatici
A partire dagli anni 70 vennero sviluppati dalle aziende enomeccaniche vari processi per estrarre la vinaccia in maniera rapida e automatizzata, con conseguente necessità di minor manodopera.
Infatti nel 1972 vennero installati i primi due vinificatori verticali che automatizzavano i vari momenti del processo di vinificazione.
Per i rimontaggi con distribuzione del mosto sul cappello di vinaccia si utilizzavano pompe fisse a girante che entravano in funzione automaticamente; anche la svinatura era semplificata, mentre l’estrazione della vinaccia avveniva tramite barre metalliche rotanti che la convogliavano automaticamente verso un foro, oppure grazie ai fondi obliqui, detti “a becco di luccio”.
La vinaccia dal fondo dei vinificatori cadeva per gravità verso una apposita coclea distributrice.
I vantaggi erano numerosi: un solo cantiniere in meno di un’ora poteva effettuare la svinatura di un tino da 300 hl, senza alcun rischio a causa della presenza di anidride carbonica.
Rappresentava anche un consistente risparmio di ore di lavoro, infatti la medesima operazione, effettuata con sistemi tradizionali, avrebbe richiesto almeno tre cantinieri impiegati per circa 90 minuti.
Albese -1990 – I rotovinificatori e altri metodi
Una successiva innovazione del processo di vinificazione furono i rotovinificatori utilizzati nell’Albese verso il 1990.
Rispetto al metodo tradizionale venivano ridotti drasticamente i tempi di fermentazione e di macerazione, onde evitare l’estrazione di tannini dalle parti solide dell’uva.
L’uva pigiata – diraspata veniva messa in contenitori orizzontali provvisti di dispositivi interni meccanici, che in poco tempo “premevano “sulla vinaccia estraendo velocemente gli antociani dalle bucce. Ciò avveniva rapidamente in 4-6 giorni. Nel tino la massa in fermentazione era tenuta periodicamente in movimento con sistemi automatizzati.
Le temperature erano abbastanza elevate, ma si ricorreva quasi sempre all’enzimaggio.
Si svinava un prodotto ormai secco o quasi, ricco di materia colorante o meglio si era estratta tutta quella presente nell’uva. Si lasciavano decantare le fecce grosse, in seguito si travasava in barrique per lunghi periodi – anche 24 mesi – onde avere il massimo di struttura del vino con caratteristiche di boisè.
Vinificatori particolari: “Ganimede”
Una vinificazione particolare è stata introdotta sempre negli anni ’90, con il nome originale: “Ganimede”.
Sfruttava una procedura elementare che consentiva nell’estrarre il massimo da bucce e vinaccioli sfruttando solamente l’enorme potenziale del gas di fermentazione.
Durante la fermentazione, infatti, per ogni litro di mosto si sviluppano dai 40 ai 50 litri di gas e questo incredibile potenziale energetico veniva sapientemente utilizzato per rimescolare le vinacce.
All’interno del fermentatore vi era infatti, un diaframma ad imbuto che creava un’intercapedine nella quale si andava ad accumulare il gas di fermentazione; saturata l’intercapedine sotto il diaframma, il gas in eccesso raggiungeva la superficie, attraverso il collo del diaframma, sotto forma di grosse bolle che rimescolavano costantemente la massa di vinacce, impedendone l’indurimento.
Le vinacce, ben sgranate e sature di liquido per l’azione del gas, si abbassavano repentinamente di livello a causa dell’allagamento della sottostante intercapedine, andavano a distribuirsi in quantità sulla superficie conica del diaframma interno, dove restavano a sgocciolare, cedendo le sostanze in precedenza estratte.
Vinificatori particolari: Metodo Gimar
Il vinificatore fondamentalmente era costituito da un serbatoio cilindrico verticale diviso in due comparti sovrapposti e comunicanti attraverso una valvola di grosso diametro.
Si ottenevano ripetute disaggregazioni della massa di vinacce presente nella vasca in fermentazione, anche una buona ossigenazione del mosto.
Il metodo era poliedrico, infatti programmando la valvola di chiusura della vasca superiore di accumulo, impostando un definito numero di cicli successivi di apertura e chiusura, con la pompa di rimontaggio continuamente in funzione, si potevano ottenere vinacce ammorbidite, preparate nel migliore dei modi alla successiva potente azione della cascata di disgregazione. Con vantaggi sensibili nell’estrazione delle sostanze dalle parti solide dell’acino.
Tendenze e nuovi problemi
Una lunga querelle ha coinvolto tecnici e produttori di Barolo sul finire del secolo XX. Il processo fermentativo doveva avvenire con macerazione breve o lunga?
Una tradizione ben consolidata nella zona del Barolo raccomandava di “Steccare i nebbioli sino a Natale ed oltre”, a significato di una lunga macerazione, ovvero il contatto vino-vinaccia prolungato, anche 60 giorni.
A partire dagli anni settanta i tempi furono limitati e in seguito, da parte di alcuni barolisti, vennero ridotti a pochi giorni.
Si svinava presto, dopo avere estratto la materia colorante dalle bucce con vari mezzi.
Detta pratica presentava forti limiti per i vini da conservazione: il colore aveva una certa intensità, ma non si creavano le condizioni per la sua stabilità, infatti la mancanza di legami duraturi del tipo tannini-antociani limitava la tenuta del colore, inoltre la struttura del vino era molto carente per mancata estrazione dalle materie solide del mosto.
Il dubbio di molti enologi era soltanto questo: “La durata di questi vini nel medio e lungo periodo?”.
Dopo alcuni anni, questo metodo, che in vero era stato considerato quasi una “Rivoluzione nel mondo del Barolo” da molti “esperti”, nonché critici italiani e internazionali, è stato del tutto abbandonato.
Finestra: oggi – domani – il controllo globale
Come sono, oggi i moderni impianti di vinificazione? Forse è il settore, con le linee di imbottigliamento, che ha avuto maggiori innovazioni.
Oggi un moderno recipiente per la vinificazione è interamente automatizzato nei vari processi: non solo dal carico di uva ammostata alla svinatura, bensì per le pratiche di sanificazione e di controllo.
Inoltre si stanno abbandonando termometri, manometri, aste di livello ed altri dispostivi di controllo meccanici – fisici. Oggi domina l’informatica, quindi tutto viene visualizzato, stampato anche sul video del pc in ufficio o su un grafico giornaliero.
Da vari anni sono disponibili sensori che evidenziano la densità del mosto grazie alla pesatura continua ed automatica di un campione di mosto.
Alcuni vinificatori, di ultima generazione, evidenziano in appositi display anche gestione, tracciabilità, sanitizzazione e storico del processo di fermentazione, vinificatori particolari integrando dati di più recipienti.
In futuro sofisticati sensori nel mosto terranno sotto controllo l’intero ciclo fermentativo, in tutte le sue varianti (ph-rame-azoto ammoniacale-composti solforati ect…).
Di fatto dalla scrivania l’enologo avrà sotto controllo l’’intero processo di vinificazione.