Se un anziano enologo apre frammenti di memoria sul vissuto professionale non ha molti riferimenti al lievito. E’abbastanza recente la percezione dell’importanza del lievito in cantina, come elemento prioritario correlato alla qualità del vino.
Sino a non molti anni fa, gli studenti, nelle varie scuole enologiche, non consideravano la zimotecnia, ovvero lo studio del lievito, tra le materie piu’interessanti.
In cantina i primi interessi erano verso la bentonite e la stabilità riguardo a ferro e rame. Il ceppo di lievito da usare era relativo, molto aggiungo.
In vero, per anni molti gli enologi avevano saltuari rapporti con il noto Laboratorio Zimotecnico Italiano. L’istituto, già negli anni ‘50 del secolo scorso, forniva lieviti, selezionati dal prof. Castelli, dapprima in soluzione di mosto e in seguito su supporto di agar.
Oggi, per fortuna aggiungo, tutto è cambiato: lievito e qualità del vino sono imprescindibili.
In questo articolo, lasciando da parte le questioni teoriche, affrontiamo specifici problemi, correlati all’utilizzo del lievito, che l’enologo si trova ad affrontare in cantina. In specie nel periodo vendemmiale. Ma i problemi correlati al lievito saranno presenti in tutta la filiera produttiva, anche quando le bottiglie, inscatolate, sono in magazzino, pronte per la spedizione
Ecco di seguito alcune problematiche di sicuro interesse, affrontate sul piano pratico in base all’esperienza di 40 vendemmie. Non mancherà il contributo di un ricercatore universitario.
La scelta
La scelta del lievito sarà correlata alla qualità e alla tipicità del vino da ottenere?
Concetti del tutto opinabili.
Precisato questo, evidenziamo subito che oggi l’industria del lievito ha fatto passi notevoli e i ceppi presenti sul mercato presentano caratteri ottimali sul piano merceologico.
I produttori di lieviti selezionati affiancano, alla tradizionale tecnica di selezione clonale basata sull’isolamento – individuazione dei ceppi con le migliori caratteristiche enologiche, altre procedure di genetica classica. Intendiamo ibridazione e mutazione, tecniche che non determinano la creazione di Organismi Geneticamente Modificati (OGM!).
Oltretutto l’ibridazione può avvenire anche in natura come nel caso del ceppo naturale S. cerevisiae x S. uvarum.
Un lievito selezionato per uso enologico si caratterizza sul piano della qualità riguardo alla specie ( solo Saccaromices Cerevisiae), buon vigore fermentativo, adattamento a condizioni difficili, scarsa formazione di composti solforati, acido acetico, alcoli superiori e acetaldeidi. Importanti la rapidità di sedimentazione e assenza di modifiche al quadro acido, in pratica non deve interferire con la fermentazione malolattica.
L’enologo non ha che l’imbarazzo della scelta riguardo al ceppo da utilizzare, precisando che trovare un lievito con tutti caratteri ottimali citati è, in pratica, impossibile.
Il vero problema è un altro: lieviti selezionati o naturali?
Il lievito naturale presente sulla buccia dell’uva è espressione di qualità e di identificazione territoriale, può essere inoltre facilmente riprodotto in cantina per preparare adeguati piede de couve e garantisce, nel metabolismo del complesso processo fermentativo, profumi e sostanze varie correlati all’origine e alla tipicità del vino.
Oltretutto non costa nulla.
E’ così semplice? E’tutto vero quanto sopradescritto?
No! E molto piu’ complesso.
Innanzitutto non è chiaro cosa significhi esattamente il termine ”lievito naturale” (vedi box).
Ma il problema è piu’ complesso: quale è la differenza tra lievito selezionato e naturale?
Solo maggiori possibilità per il selezionato nell’ottenimento di particolari pregi nel nostro vino? Oppure il lievito naturale caratterizza il vino in quanto espressione di terroir?
Autori quotati sostengono che non c’è nell’uva una flora specifica che si possa ricondurre ad un territorio specifico, ma solo un’eterogenea varietà di ceppi in competizione una sull’altra.
La buccia dell’uva, anche sana, presenta una grande quantità di microrganismi, non certo solo lieviti ma anche muffe, batteri e altro
Inoltre come possono esse correlati ad un territorio geografico questi esseri unicellulari?
La domanda è soltanto questa: il lievito ha geografia?
Eppure l’industria del lievito selezionato ha immesso sul mercato il lievito del Brunello, del Barolo, ect.( ovvero correlati a vini che sai identificano a terrior molti specifici).
In genere, se la vendemmia è di basso livello, se nelle uve di qualità cattiva, prevalgono lieviti dannosi, in particolare non saccaromices, è palese l’utilità dei lieviti selezionati.
Di contro l’utilizzo in vendemmie eccellenti, in particolare nella vinificazione delle uve a bacca nera può essere usato il lievito naturale.
Nella eccellente vendemmia 1997 prove, condotte nelle cantine Fontanafredda, su uve nebbiolo atte a Barolo con utilizzo di leviti selvaggi a confronto con lieviti selezionati confermarono la migliore qualità del vino ottenuto con lievito selvaggio.
Preciso che la prova su masse di 300 hl fu condotta -nonostante le note difficoltà -con assoluta razionalità, l’unica discriminante era il tipo di lievito.
Un vantaggio dei lieviti naturali poterebbe essere quello che evitano la formazione di profumi standard tipica dei selezionati. Purtroppo molti vini bianchi, seppur di vitigni e territori diversi, si assomiglino in tutto o quasi!
Questo è vero in parte, ma è sin troppo facile rispondere che ci sono in enologia pratiche più invasive e pericolose.
In certe cantine, infatti, si usano i lieviti selezionati del tipo varietali, perché donano (o dovrebbero) profumi particolari al vino, ma, forse, si perde in tipicità.
Altri dovrebbero donare al vino profumi, chiamati “di frutto”, ma non capisco bene che cosa significhi?
Acquisto e controllo del lievito selezionato
Riguardo all’acquisto precisiamo che l’industria di produzione del lievito è ben evoluta sul piano della ricerca scientifica e ha migliorato sensibilmente gli standard qualitativi.
Tutti o quasi tutti i lieviti selezionati in commercio sono esibiti nella tipologia essiccata, sotto forma di filamenti di tipo “vermicelli” o di particelle arrotondate, in pacchi da 500 grammi. Sono chiamati LSA ovvero levurs sec active.
Inoltre è stato colmato un vuoto legislativo. Oggi un lievito selezionato in commercio deve rispondere a precise leggi e normative.
Quali controlli potremmo effettuare, in cantina, sui lieviti acquistati?
Seconda la norma OIV l’etichetta deve riportare tra l’altro:
il genere, o la specie, insieme all’indicazione del ceppo;
il numero minimo di cellule rivivificabili per grammo di polvere.
L’Oiv prescrive una concentrazione minima di 10 miliardi di cellule per grammo.
Un fattore importante, spesso trascurato riguarda la purezza del lievito.
Sempre l’Oiv fissa valori di soglia su batteri lattici, acetici, muffe e lieviti non saccaromices.
Sono importanti il numero di lotto, insieme alla data di scadenza, le condizioni di conservazione.
Nei casi in cui si applica, l’indicazione che i lieviti secchi attivi sono stati ottenuti con modificazioni genetiche e le loro caratteristiche modificate.
Riguardo alla conservazione in cantina precisiamo che il lievito secco può essere conservato a lungo grazie alla modesta umidità 7-8% e non modifica le loro caratteristiche col tempo. La temperatura ambiente è di circa 20. Le confezioni vanno sempre conservate in luoghi freschi e asciutti, – circa 20 gradi gradi.- verificando la scadenza (in genere 18-24 mesi) – e l’integrità della confezione.
Lievito autoctono: quale significato?
La parola “autoctono”, oggi è molto utilizzata. Se ne parla in occasione di selezioni regionali, zonali o aziendali, si evoca quando ci si riferisce a fermentazioni spontanee, oppure in alcune promozioni commerciali.
Ma la definizione si può prestare a diverse interpretazioni e, anche, ad un uso improprio.
Ecco un contributo del prof. Giovanni Antonio Farris
Docente di Microbiologia Enologica e Presidente del Corso di Laurea in Viticoltura ed Enologia, Università degli Studi di Sassari.
Dipartimento di Scienze Ambientali Agrarie e Biotecnologie Agro-alimentari, Università degli Studi di Sassari.
Presidente del Gruppo “Microbiologia del Vino” dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino (AIVV).
Ceppo vinario autoctono
“A seguito di numerosi incontri e discussioni del Gruppo “Microbiologia del Vino” dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino (comprendente la maggior parte del Microbiologi delle Facoltà di Agraria italiane che si occupano della Microbiologia del Vino), è stato possibile definire (almeno come tentativo) il termine “ceppo vinario autoctono”:
“Un ceppo vinario autoctono (lievito o batterio lattico) è un ceppo selvaggio (non commerciale) isolato in una cantina specifica (nicchia ecologica), nella quale è dominante, persistente nell’arco di una vendemmia e ricorrente per più annate. Tale ceppo, utilizzato nella stessa cantina di isolamento, è in grado di conferire al vino caratteristiche peculiari rispondenti alla tipologia del prodotto programmato”
In questa definizione, quindi, vengono considerate sia implicazioni di ordine ecologico che tecnologico.
1) Un punto importante che è stato chiarito durante la discussione, e che rappresenta un fattore di forte confusione nell’uso del termine autoctono, è la definizione della nicchia ecologica. Considerato che la nicchia ecologica è l’ambiente in cui avviene la selezione del ceppo autoctono e che tale termine si riferisce a ceppi fermentativi, non si può considerare come nicchia ecologica il terreno, la vigna, l’acino d’uva o il mosto appena giunto in cantina. Tutti questi elementi possono essere definiti come un serbatoio di biodiversità. La selezione avviene, invece, nella cantina, intendendo con essa l’ambiente in cui avviene la trasformazione del mosto secondo un determinato protocollo biotecnologico.
2) Altri elementi essenziali nella definizione di autoctono sono i concetti di dominanza, persistenza e ricorrenza. Infatti, un ceppo autoctono, perché possa effettivamente influenzare le caratteristiche di un vino, deve essere in grado di guidare, anche in associazione, la fermentazione. Dato che la cantina ove avviene la trasformazione del mosto in vino è la nicchia ecologica ove si attua la selezione, questa deve procedere favorendo il ceppo più adatto allo stile o alla tecnologia impiegata; il ceppo più adatto è verosimilmente destinato a diventare quello numericamente più rappresentato, tanto da divenire dominante e, se non avvengono cambiamenti drastici nello stile o nella tecnologia, anche persistente durante diverse fasi della fermentazione in uno stesso tino o in processi fermentativi in tini diversi. Infine, il termine ricorrente si riferisce alla possibilità di isolare il ceppo autoctono individuato nel corso di annate diverse (consecutive ma non solo).
3) Ovviamente durante la fermentazione possono essere presenti diversi ceppi di lievito, i quali possono essere dominanti e persistenti a seconda della fase della fermentazione che si considera (inizio, metà, fine). Per questo motivo è importante definire con precisione il momento in cui effettuare le analisi microbiologiche sul mosto. Considerata la necessità di legare il termine autoctono alle caratteristiche del prodotto finito, questa selezione andrà fatta da metà fermentazione in poi se si considerano i lieviti del genere Saccharomyces e in altri momenti della fermentazione o della vinificazione in genere se si considerano i lieviti non-Saccharomyces e i batteri lattici
4) Ultimo elemento considerato è relativo alla influenza del ceppo autoctono sulle caratteristiche di qualità del vino. E’ possibile, infatti, legare il termine autoctono alle caratteristiche del prodotto finito e non al territorio di produzione. Ne deriva che l’equazione ceppo = territorio è impossibile da dimostrare. È inoltre difficile dimostrare che il miglior ceppo per la fermentazione di uno specifico mosto deve necessariamente essere un ceppo isolato da quello stesso mosto. Infatti, è possibile e molto probabile, che i caratteri in grado di valorizzare una produzione possano appartenere anche ad un ceppo alloctono.
Comunque, a parità di prestazioni, sarebbe opportuno utilizzare, per condurre le fermentazioni alcoliche, lieviti starter isolati negli stessi luoghi di utilizzazione (prevalentemente per motivazioni di natura sia ambientali che di marketing)”.
Gli additivi per il lievito
Anni fa in aiuto all’azione del lievito c’erano solo i sali di ammonio. Oggi, a tal fine, l’industria chimica mette a disposizione dell’enologo numerosi additivi e coadiuvanti.
Vediamoli
Solfato e fosfato d’ammonio
I classici apportatori di azoto prontamente assimilabile – apa.
Le dosi comuni di impiego variano da 10 a 20 grammi per hl in base alle necessità nutritive dl lievito.
In genere bastano per arrivare a 200 a.p.a .
Ma non si deve esagerare nei dosaggi – anche in vendemmie difficili – per evitare formazione di carbammato etile (vedi box).
In caso di spumantizzazioni o rifermentazioni o arresti di fermentazione le dosi potrebbero aumentare sino a 23-40 grammi x hl.
Convengono aggiunte frazionate nel corso della fermentazione, evitando comunque che il lievito vada in sofferenza.
Scorze lievito
Composti ottenuti dalla parete cellulare del lievito, sono da oltre venticinque anni proposti come rimedio efficace onde evitare arresti di fermentazione e conseguente formazione di odori anomali.
Un classico esempio: la spumantizzazione con ciclo Charmat – Martinotti.
Dovrebbero assorbire le tossine ( acidi grassi inibitori) emesse dal lievito in condizioni di stress.
Apportano anche acidi utili al lievito, quali linoleico e oleico.
Molti enologi non usano scorte per problemi di deviazione dei profumi.
Ma oggi sono migliorate sensibilmente con l’immissione sul mercato delle cosiddette scorte purificate.
Dosaggi: 5- 10 grammi x hl a metà fermentazione
Estratto lievito
L’estratto della cellula del lievito è certamente un utile additivo. Ma da usarsi con moderazione aggiungo.
Dosaggi – max 10-15 grammi x hl in fermentazione.
Occorrono garanzie precise sulla sua purezza.
Tiamina
Ottimo sostegno per il lievito, la vit. B1 detta comunemente tiamina va usata nel limiti legali: 60mgr. per hl.
Dosaggi medi 40- 50mgr. x hl ad inizio fementazione.
Si usa, in genere, associata ai sali d’ammonio.
Cellulosa e altri
Varie sostanze per assorbire le tossine del vino, provocate da un lievito in sofferenza, sono state proposte, sino dagli anni settanta del secolo scorso. Onde evitare rallentamenti o arresti di fermentazione.
In genere erano prodotti a base di cellulosa, carbone o altre sostanze assorbenti.
Grande risonanza commerciale, scarsi risultati pratici in vero.
Per esperienza diretta ho sempre ottenuto buoni risultati prevenendo sofferenza lievito con dosaggi razionali e combinati di ossigeno e azoto.
Curare un lievito “a disagio” è molto difficile.
Dosaggio medi di tali prodotti commerciali: 30 grammi per hl.
Dominanza del ceppo
Un problema di non facile soluzione: come far prevalere il lievito selezionato aggiunto sugli altri ceppi selvaggi? Meglio: possiamo controllare che ci sia dominanza del ceppo aggiunto?
Se un normale mosto ha una carica microbica di 400.000 cellule x cc, la regola è soltanto questa: il classico 1: 10.
Per cui con 4 milioni di cellule di lievito selezionato per cc, avremmo prevalenza di questi ultimi.
In teoria aggiungo. Occorre valutare bene la temperatura e la qualità dell’uva in arrivo.
Soprattutto limitare al minimo lo sviluppo dei lieviti selvaggi e attuare la massima detergenza e igiene negli impianti trasporto uva – pigiatura-vinificazione.
Avere un milione di cellule lievito selvaggio per cc di mosto non è poi cosi raro.
Spesso dette cellule partecipano alla fermentazione arrivando anche al 40 -50% dei lieviti presenti
Occorre poi tenere conto che sono molto importanti i lieviti che si trovano in cantina, nei locali, e sulla superficie delle attrezzature e degli impianti. Microflora, ovviamente diversa da quella dell’uva.
Comunque sul piano pratico aggiunte preventive di metabisolfito di potassio (grammi 10 x qle) sulle uve ammalate in fase di carico in vigneto e trasporto nei cassoni sono utili.
Invece lunghi trasporti o soste prolungate sui piazzali cantine invece sono fattori negativi.
La criomacerazione, il raffreddamento dei mosti in sede di illimpidimento statico e anche la pulizia eccessiva dei medesimi possono causare ritardi nella partenza della fermentazione. Idealmente un lievito inoculato a 20 gradi e con presenza di un numero di cellule di 2 mil /cc dovrebbe essere in piena attività entro le 48 ore. Minore è il periodi di latenza maggiori le possibilità di prevalenza.
E possibile conoscere a grandi linee la natura dei lieviti selvaggi e predisporre adeguate aggiunte di selezionati.
In particolare quando si rilevano lieviti dannosi tipo delkkera /brettanomices.
Inoltre con le nuove tecniche dei controlli microbici con metodiche molecolari ( P.C.R. ) si possono fare ricerche piu’approfondite su qualità e quantità lieviti presenti nel mosto e nel vino in fermentazione.
Ma al di là del dato numerico ( per alcuni autori un ceppo è dominante, quando il numero delle sue cellule supera il numero di quelle di tutti gli altri ceppi) è importante l’analisi sensoriale per valutare se il lievito ha risposto alle attese in termini di qualità del prodotto.
In pratica oggi la dominanza del lievito selezionato aggiunto è facilmente ottenibile e soprattutto verificabile.
Il piede de couve
Un ottimo piede de couve è un elemento importante per una buona fermentazione.
Ma occorre seguire alcune semplici regole.
Per riattivare il lievito secco occorre valutare temperatura e durezza dell’acqua, concentrazione in zucchero, tipo di agitazione, durata della reidratazione.
Parametri ottimali potrebbero essere: 37 gradi, bassa durezza, assenza di zucchero, agitazione lieve. Il tempo sarà sui 25 -30 minuti.
Aggiungere quindi il vino che era stato precedentemente microfiltrato.( meglio pastorizzato, se possibile).
Il metodo che ho sempre usato a Fontanafredda prevede di moltiplicare per 3 volte il volume iniziale ( per un massimo di tre – quattro volte e, importante, per brevi periodi max 5 –6 giorni in totale).
Un esempio: 1000 grammi di lievito reidratato va in 20 litri di vino.
Dopo 24 ore si aggiungono 100 litri.
Per altre due volte si moltiplica tre volte il volume iniziale ottenendo in tutto circa 1000 litri.
L’aggiunta al vino sarà pari al 5% del volume per cui con 10 hl di piede de couve potrò utilizzare un volume di vino o mosto pari a 200 hl circa.
Alcune avvertenze: è fondamentale l’igiene in questa fase, anche solo per pompe e tubazioni, inoltre sarebbe opportuno utilizzare piccoli “nutritori” ovvero serbatoi speciali dotati di strumenti adeguati( termometri, agitatori, candele per riscaldamento, valvole sanitizzazione). Se ne trovano in commercio già predisposti.
Va sostenuta in modo ottimale l’attività del lievito. Le aggiunte di nutrimento saranno molto curate. Sali ammoniacali = fosfato e solfato ammonio 30 gr x hl, con un po’ di estratto di cellula di lievito = 5 grammi X hl e tiamina = 50mgr. ammi X hl.
Ad ogni aumento di volume si arieggia per 5 minuti. Temperatura sui 25 gradi.
Evitare assolutamente che il piede de couve resti senza zuccheri, in pratica vada a secco.
Il lievito in stress emetterebbe tossine.
Se possibile si può usare un vino dolce, es Moscato, altrimenti mcr o concentrati. Questi ultimi occorre siano preventivamente ben solforati e acifidicati onde evitare inquinamenti batterici
Come si controlla lo stato di vitalità dei lieviti prima dell’aggiunta: visivo (torbidità elevata ) e organolettico. Se voglio usare il microscopio con bleu di Metile o altre tecniche di contrasto verificherò stato di gemmazione e vitalità cellule, nonchè loro quantità se si possiede il contalieviti.
L’osservazione, in vero dice poco; è indispensabile che il lievito abbia la parete la cellulare spessa e questo si raggiunge solo con dosaggi adeguati di azoto –tiamina – ossigeno gia in fase di preparazione pied de couve.
Sono opportuni dei controlli in questa delicata fase.
Il cantiniere verificherà presenza continua di schiuma e soprattutto che il liquido sia in movimento.
Il piede de couve andrà, anche, valutato sul piano organolettico, a tal fine non dovrà presentare assolutamente sensazioni, anche minime, di ridotto.
lI carbammato di etile
Usando sali d’ammonio in dosaggi normali -ovvero 10 -20 grammi. x q.le di solfato / fosfato ammonico- e 50mgr. x q.le di tiamina si avrà un apporto di 40-60 APA.
Calcolando quello naturale presente mediamente nel mosto l’aggiunta è quasi sempre sufficiente.
Solo in annate piovose, botritizzate, comunque particolari, si può aumentare del 20 –30 per cento.
Ma l’uso eccessivo di sali di ammonio porta a rischi di formazione di carbammato di etile.
Si tratta di un composto prodotto dal lievito, soprattutto per reazione tra alcol etilico e urea.
Quest’ultima deriva dalla degradazione dell’arginina ( composto azotato naturale dell’uva) ed è un composto intermedio, ovvero viene consumata in gran parte dal lievito.
Considerato il potere cancerogeno dell’etil carbammato, alcune legislazioni fissano limiti: esempio Canada 30 ppb, USA 15 ppb riferiti a vini normali. Preciso che in genere i valori nel vino sono piu’ bassi. Anni fa una dato medio francese era intorno agli 8 ppb.
Eccesso di concimazioni azotate nel vigneto, forti aggiunte di sali ammoniacali a metà fermentazione ( quando il lievito ha già formato urea e quindi non la metabolizzerebbe più, a causa nuove aggiunte di azoto ), lunghe macerazioni a caldo, possono portare ad alti valori di carbammato, peggio in caso di aggiunte dirette di urea al mosto.
Scienziati propongono l’uso di lieviti selezionati a bassa produzione carbammato, altri ipotizzano utilizzo lieviti transgenici.
Il vero problema sono i limiti legali, qualora la FDA americana diminuisse sensibilmente i valori, allora il tecnico in cantina dovrà fare alcune scelte riguardo la conduzione della fermentazione.
In particolare per i vini rossi da conservazione.
L’ureasi è un enzina specifico, oggi autorizzato dopo lunga sperimentazione per abbattere valori alti di urea, possibili responsabili di formazione di carbammato etile in vino.
Se il valore in urea supera i 2mgr. x lt conviene intervenire.
Dosaggi medi: 25-40mgr. .x lt. Legalmente max 75mgr. . x lt.
Il trattamento enzimatico dura 3-4 settimane e l’ureasi residua va eliminata con filtrazione molto stretta.
Si riduce oltre il 70% di urea, il trattamento non lascia odori residui deviati al vino (qualche dubbio comunque rimane sugli aromatici).
la competenza è un bene per tutti quelli che la cercano, grazie