Un tronco d’albero scavato all’interno e riempito in qualche modo con del vino: ecco l’antica botte. Nata, forse, forse due millenni fa, sulle montagne ai confini tra il Piemonte e la Francia. Sostituì i recipienti un terracotta ed in otri di pelle animale, i contenitori del vino dell’antichità irrazionali e poco adatti. Il nuovo recipiente proteggeva meglio il prodotto ed era pure resistente agli urti e di facile maneggio. I francesi e gli spagnoli preferiranno la piccola botte da 225 litri, la cosiddetta barrique, mentre gli italiani la botte di maggior volume. Al di la della capacità e della forma, da 2000 anni, la botte conserva una precisa identità e svolge importanti funzioni, nonostante l’evoluzione ed i cambiamenti che hanno investito il settore enologico. Ampliamo qualche conoscenza, in particolare i problemi correlati alla materia prima e sua lavorazione.
Con l’aiuto di alcuni esperti del settore.
La materia prima
Quale essenza usare? “Rovere ! Rovere”! Dicono i vecchi cantinieri.
In vero si potrebbero usare altre essenze legnose: il castagno, che ha la struttura delle fibre meno compatta, il vino invecchia prima, passa troppo ossigeno. Costa anche meno. Anni fa, i moscatisti cercavano la gaggia, raccontano che, forse, aveva un antifermentativo naturale, probabilmente il legno era sottile, di fatto, il moscato non rifermentava.
Anche il gelso aveva la doga sottile, passava il freddo bloccava fermentazione, talora arrivava il congelamento e successiva concentrazione.
Ormai si usa quasi solo il rovere.
Motivi ? Sintetizzando possiamo dire che lascia passare poco ossigeno e dura molto tempo, grazie alla struttura del legno molto compatta e di alto peso specifico.
Ecco le specie di rovere usate per ottenere le doghe per le botti.
-Francese (Q. petreaea) nei territorio di Allier, Argonne, Borgogna, Nevers, Alvernia (Tronçais) e sui Vosgi. Dona cessioni bilanciate in tannini e aromi.
-Caucaso (Q. petraea), simile al francese, costa meno.
-Slavonia (Q. robur), per chi scrive il migliore. Dona abbastanza tannini ma pochi aromi.
-Portogallo (Q. garryana), molto economico
I problemi correlati al processo produttivo: l’opinione della ditta Gamba di Castel Alfero – Asti.
Quale origine del legno?
“ Tradizionalmente le due grandi aree di approvvigionamento di rovere in Europa possono essere individuate in Francia e l’attuale Croazia.
Si parla per entrambe di due specie di rovere in particolare: Quercus petraea-sessilis e robur-peduncolata.
La sessilis preferisce generalmente terreni aridi e silicei mentre la peduncolata terreni di pianura umidi e calcarei.
Possiamo notare notevoli differenze tra le due specie.
Infatti la quercus sessilis:
- Ha una crescita meno rapida
- E’ generalmente assai più povera in tannini.
- E’ più ricca in sostanze aromatiche
Ovviamente è difficile individuare aeree precise per la distinzione delle due tipologie, questo tanto in Francia, quanto in altre parti d’Europa, in quanto normalmente coesistono le due tipologie in tutte le foreste.
Potremmo indicare però il centro della Francia come l’aerea con la concentrazione massima di quercus sessilis, mentre nell’est Europa possiamo trovare una concentrazione maggiore della Quercus robur.
Altro elemento importante è sicuramente il terreno dove queste particolari varietà di piante crescono, l’esposizione alla pioggia vento e sole, fattori che vanno ad incidere sulla grana e sugli aromi del legno.
Ogni foresta ha le sue peculiarità, e tra le più famose in Francia possiamo citare Tronçais (nel dipartimento dell’Allier), Bertranges (nello Nièvre) Saint Palais (nello Cher), solo per citarne alcune tra le più note.
Il dipartimento dell’Allier è forse quello più noto per il legname e Tronçais è la più grande foresta di rovere d’Europa. Il terreno è argilloso, siliceo e poco fertile, comportando quindi uno sviluppo lento della pianta, con un fusto non troppo grande, una grana fine e con cessioni dolci e vanigliate.
Quel legno si presenta rosa e con una fibra compatta.
Non solo nell’Allier, ma anche nel resto del centro della Francia, le piante ad alto fusto e grana fine, sono molto fitte e vicine le une alle altre, in maniera tale che crescono molto dritte per cercarsi il sole e senza rami fino anche a 15-20 metri di altezza.
Diciamo che la nostra esperienza con diversi tipi di origine di legname ci ha portato alla conclusione di utilizzare esclusivamente il rovere Francese per due motivi fondamentali:
- Una maggiore presenza di quercus sessilis nei vari dipartimenti francesi rispetto all’est europa.
- Una maggiore costanza di qualità del legname in termini di età della pianta
Possiamo, infatti, notare come ci siano grandissime foreste in tutta Europa, dall’Ungheria all’Ucraina, dalla Polonia alla regione Caucasica, fino alla Slavonia nell’ex- Jugoslavia, ma purtroppo solo in Francia, anche se alcuni cambiamenti stanno avvenendo anche nei paesi dell’est, si può notare un’effettiva gestione sostenibile della foresta, con l’abbattimento programmato solo delle piante più vecchie, quindi non perseguendo un’abbattimento a tappeto.
La quantità di legname all’asta è, infatti, predeterminato, e in caso di maggiore richiesta, ovviamente vige la legge della domanda-offerta, per cui l’unico elemento che sale è il prezzo di acquisto (come peraltro abbiamo notato tutti negli ultimi anni).
Nell’Est si nota di più un’offerta che per anni ha sempre pareggiato la domanda con un disboscamento che in Slavonia è evidente”.
Come si ottiene una doga?
“Per quanto riguarda le barrique un altro passo importante per la loro realizzazione è sicuramente lo spacco del legname.
Il merrandier (colui che spacca il legno) seleziona le piante, che devono avere una fibra dritta, assenza di nodi e un diametro superiore a 50 cm.
Il tronco viene segato alla lunghezza della successiva doga e poi spaccato in 4 o 6 parti (a seconda del diametro della pianta iniziale), e poi ulteriormente spaccato per ottenere la doga finale. In questo modo non si interrompe la fibra, che deve essere compresa nella larghezza per tutta la lunghezza della doga, in modo che non ci siano perdite.
Possiamo notare come il costo della barrique sia in gran parte dovuto al costo della materia prima, in quanto per ottenere 1 metro cubo di doghe servono 5-5,5 metri cubi di tronco con la restante parte che è solamente scarto. Di conseguenza oggi si può spendere per del rovere francese a grana fine anche 3500 – 3600 Euro al metro cubo, cifra che è notevolmente superiore al rovere segato (usato per le botti grandi) a causa dell’enorme scarto per l’ottenimento della materia prima.
Fondamentali sono poi le due fasi successive e cioè la stagionatura e la tostatura.
Noi consideriamo essenziale una stagionatura lunga e soprattutto naturale, e non utilizziamo metodi quali l’essiccazione artificiale in forni per accelerare il processo, in quanto pensiamo che solo il freddo, l’aria, la pioggia e il sole rendano possibile una stagionatura ottimale.
Durante questa fase si verificano cambiamenti importanti nella composizione del legno, quali fenomeni di polimerizzazione dei tannini e l’eliminazione delle componenti fenoliche verdi, che solo un tempo che noi stimiamo ottimale in tre anni per le barriques e quattro – cinque anni per le botti può realizzare.
Il legno viene bagnato durante le annate più siccitose per aiutare a dilavare via i tannini più amari, portando quindi ad una diminuzione dei tannini ellagici e ad un minor astringenza nei vini.
quanto riguarda le botti grandi il processo produttivo è totalmente diverso, in quanto non esiste il legname di spacco delle barriques con una lunghezza tale da permetterci di utilizzarlo anche per le botti grandi, per cui abbiamo optato per cercare di replicare con la sega quanto più possibile quel tipo di taglio, utilizzando la tecnica del quarto e falso quarto, in modo tale da ottenere solo legname segato per vena. Questo comporta una minore tendenza agli incoppamenti e torsioni del legname e all’utilizzo esclusivo della parte più centrale della pianta, che è quella più vecchia e senza dubbio migliore dal punto di vista enologico in quanto nella parte più esterna sono presenti i tannini più giovani ed amari.
In seguito avviene poi la lavorazione delle botti con piegatura uniforme delle doghe in testa e in pancia e fondi concavi in senso orizzontale e verticale dei fondi per avere una robustezza maggiore dei recipienti.
Effettuiamo questa piegatura ad acqua in maniera tale che poi il cliente possa scegliere se tostare o no le botti grandi”.
Quale tostatura?
“Con detta operazione si riscalda l’interno della barriques tramite l’esposizione ad una fiamma libera, generata unicamente dal legname di scarto delle lavorazioni precedenti delle doghe.
Si divide in tre fasi:
- Riscaldamento di circa 20’
- Piegatura di circa 5’
- Tostatura vera e propria di circa 55’
Con al tostatura cambia la composizione chimico fisica del legno, in particolare i composti correlati alla celllulosa, alla lignina e ai tannini.
Aumentano aldeidi furaniche, fenoli volatili, lattoni e vanillina, altri si degradano es.
(eugenolo).
Se la temperatura e i tempi sono elevati, si creano cari composti affumicato (guaiacolo) speziato (4 vinil guaiacolo), mandorle (furfurale) e legno bruciato (4 metil guaiacolo), mentre perdiamo un po’ di vanillina e noce di cocco e legno (β metil-γ ottalattone).
Inoltre crolla il patrimonio fenolico del legno, già in parte rimosso causa la stagionatura naturale all’aperto.
Oggi si tende ad una tostatura più delicata ed elegante in maniera tale da avere il legno come una componente che non vada a coprire il vino.
Si utilizza fuoco molto basso (praticamente solo brace) per un periodo molto lungo (55’) in modo tale da avere una penetrazione più in profondità del calore all’interno del legname senza sprecare i primi millimetri superficiali di legno, ed evitando così un’eccessiva degradazione del patrimonio fenolico del legno e la conseguente perdita di molte sostanze aromatiche.
E’ messo un coperchio con un foro di circa 18 cm sulla barriques durante la tostatura in maniera tale da permettere al fumo di fuoriuscire dalla barrique, e si controlla la temperatura con un pirometro ottico in maniera tale da rimanere in un range di 190-210 °C. Il rischio durante la tostatura è il verificarsi di esplosioni di sacche di vapore acqueo all’interno del legno, che poi porterebbero a notevoli problemi di pulizia in cantina, e al possibile conseguente sviluppo di contaminazione di Brettanomyces.”.
E’ questa una tecnica che si basa sulla consapevolezza delle trasformazioni che il calore innesca e da una corretta gestione del rapporto calore – legno per ottenere il miglior risultato possibile in termini qualitativi.
Oggi il protocollo sopraesposto è utilizzato anche per la tostatura delle botti grandi con notevole successo”.
Altri problemi
Il 2010 sul piano commerciale: attualità e prospettive?
“Possiamo dire che il 2009 è stato un anno caratterizzato da un fatturato stabile rispetto agli anni precedenti (contrassegnati dai record degli anni 2007-2008), segnato, però da una contrazione degli ordinativi, dovuti all’incertezza economica che affligge le aziende vinicole un po’ in tutto il mondo.
Gli obiettivi, una volta stabilizzatasi la situazione economica internazionale, sono quelli di continuare la crescita negli Stati Uniti, Australia e Cile (cresciuti in modo considerevole negli ultimi 10 anni), e mantenere il fatturato attuale sull’Italia”.
I volumi e le forme richiesti?
“I volumi richiesti sono principalmente da Hl 25 – Hl 30 e Hl 50, anche se abbiamo realizzato parecchie botti da Hl 90 – Hl 100.
Per quanto riguarda il rovere francese di quarto e falso quarto (spiegato in precedenza) non è possibile ottenere del legname con lunghezza superiore a 250 cm, per cui non possiamo costruire con quel tipo di legname botti di dimensioni superiori a Hl 110.
Non c’è comunque richiesta di botti superiori a quest’ultima capacità.
Notiamo una buona richiesta dei tini di legno, in particolare nel formato chiuso con il fondo superiore e una portella da 600 – 800 – 1000 mm, in modo tale da abbinare l’utilizzo del medesimo per la fermentazione e per l’affinamento. Abbiamo inoltre realizzato dei tini ibridi legno acciaio, per sfruttare i benefici in termini tecnologici dell’acciaio con quelli tipici della fermentazione di legno”.
Barrique sempre in calo ?
“C’è stata una contrazione della domanda di barriques in Italia, bilanciata comunque da un netto aumento della richiesta da parte dei paesi esteri. Sottolineerei un uso più consapevole della barrique rispetto a 10 anni fa.
Per esempio possiamo denotare uno spostamento dei produttori di Nebbiolo verso contenitori un po’ più grandi (siano essi 500 litri o botti più grandi), mentre invece rimane sempre alta la richiesta di barrique per Cabernet, Merlot, Syrah. In generale tanto in Italia quanto all’estero è in deciso calo la richiesta di tostature molto forti, mentre invece prevale l’interesse nel perseguire l’obbiettivo di mantenere il legno come una componente bilanciata nel vino, con tostature più equilibrate e rispettose del vitigno.
Per quanto riguarda le foreste, ognuna ha le sue peculiarità e tra le più famose in Francia possiamo citare Tronçais (nel dipartimento dell’Allier), Bertranges (nello Nièvre) Saint Palais (nello Cher), solo per citarne alcune tra le più note.
Il dipartimento dell’Allier è forse quello più noto per il legname, e Tronçais è la più grande foresta di rovere d’Europa. Il terreno è argilloso, siliceo e poco fertile, comportando quindi uno sviluppo lento della pianta, con un fusto non troppo grande, una grana fine e con cessioni dolci e vanigliate”.
Trent’ anni con le botti e i vini dell’Albese
Incontro a 360 gradi con Paolo Fenocchio, l’enologo delle cantine Pio Cesare di Alba
Un eccellente punto di osservazione tecnico- pratica sui problemi correlati al legno e ai fenomeni dell’invecchiamento. E parliamo di vini di alto profilo: Barolo e Barbaresco.
“Per quanto riguarda l’affinamento di legno dei nostri vini derivanti dal nebbiolo, intendendo quindi il Nebbiolo d’Alba, il Barbaresco e il Barolo ti posso dire che le mie idee e di conseguenza quindi anche il modo di procedere adottato da quando sono entrato alla Pio Cesare, ormai quasi trent’anni fa, non sono cambiate di molto, sicuramente un po’ variate ed affinate per seguire le annate e la tecnica enologica anche quella affinatasi in questi anni. Siamo quindi sicuramente passati dalle grandi e vecchie botti di essenze anche diverse dal rovere presenti in azienda allora, alle botti e alle barrique che utilizziamo attualmente. Per quanto riguarda le botti posso dire che la mia esperienza mi fa sicuramente indicare la botte di dimensione medio – piccola -sui 25 – 35 hl – la più idonea a maturare i nostri nebbioli, ma anche la barbera, in quanto ritengo che il rapporto tra la superficie del legno e il volume del vino in loro contenuto sia quello ideale per un valido scambio sia di ossigeno che di sostanze al fine di avere una buona maturazione del vino senza avere un arricchimento troppo forte di sapore di legno. Sono quindi convinto che per potere adempiere a questa funzione il legno non debba essere bonificato all’interno e nemmeno trattato troppo pesantemente all’esterno se non con il minimo indispensabile per preservarlo dall’ambiente umido della cantina. Per quanto riguarda poi la provenienza del legno posso dire che le nostre botti sono state tutte costruite con rovere di provenienza francese, alcune in Italia, altre acquistate direttamente in Francia e la scelta del rovere francese è stata dettata dal convincimento che detto rovere fosse più gentile e più idoneo ad affinare un vino come il nebbiolo, già di per se abbastanza rude, mentre sono dell’idea o comunque non ho sperimentato che possano esserci grosse differenze sulla forma, rotonda od ovale, anche perchè si deve anche sempre fare i conti con l’ambiente che si ha a disposizione e quindi anche alla necessità di sfruttarlo comunque al meglio sia con forme ovali anziché tonde, che con dimensioni anche un po’ maggiori di quelle indicate sopra arrivando comunque a non superare i 50- 55 hl. Non ti so dire niente sulle essenze dell’est usate nella costruzione delle botti perchè non ho avuto modo di provarle, la mia conoscenza di questo tipo di rovere è al momento limitata ad alcune barrique acquistate alcuni anni fa e costruite con legno dell’est e posso dire che in quell’occasione tale tipo di rovere non mi aveva entusiasmato, se non per il costo allora senz’altro più conveniente, in quanto lo stesso vino provato in barrique di legno francese aveva dato risultati molto più soddisfacenti in termini di piacevolezza e di completezza di gusto. Parlando di accessori posso dirti che le nostre botti hanno semplicemente il preleva campioni di acciaio inox ed una valvola, anch’essa in acciaio inox, per il riempimento – svuotamento non totale e la portella è, per scelta, in legno, ciò che crea qualche difficoltà in più, quando si devono effettuare tali operazioni, ma fidiamo dell’abilità dei nostri cantinieri alle prese con il mastice per la migliore tenuta, ed in alto sono provviste di foro di cocchiume chiuso con tappo di silicone alimentare. Mi chiedi ancora del tino ma purtroppo anche su questo non ho esperienza come, penso, recipiente di fermentazione, posso dire che la mia idea rimane ancora quella che una buona fermentazione di acciaio inox, dove è forse più facile controllare tutto il processo, sia per quanto rigurda le temperature, che per quanto riguarda i rimontaggi e le follature, sia ancora preferibile.
Magari abbinando poi a questa fermentazione di acciaio un pronto passaggio di legno per terminare i processi biologici di fermentazione alcolica e malolattica. Arrivando all’ultimo argomento, la barrique, ritengo che in questo momento economico particolare, una grossa difficoltà a mantenere il parco barrique di una cantina al meglio sia essenzialmente il costo delle barrique stesse, perchè la mia esperienza mi dice che la barrique, o il fusto da 500 litri suo eventuale sostituto anche per il costo/litro più contenuto, sia ancora, se usata bene, non come dispensatore di aromi più o meno intensi di legno, vaniglia, tostatura, tra l’altro neanche più, pare, molto amati e ricercati dai consumatori, un valido catalizzatore di processi ossidativi e fissativi del colore e di tutto il corredo polifenolico del vino in esse contenuto”.
1 – Un nuovo metodo per piegare le doghe: acqua calda
La ditta Gamba, in collaborazione con l’Università di Torino, stiamo sperimentando la tecnica della piegatura a vapore e acqua calda sulle doghe di rovere per barrique. I primi successi ottenuti sull’affinamento di alcuni vini come il Pinot nero, lo Chardonnay e il Nebbiolo confermano che la strada intrapresa è quella giusta. Affinare vini con aromi più delicati senza abbandonare i vantaggi tecnici dell’uso della barrique.
Il progetto consiste nel provare a piegare le doghe delle barrique utilizzando un sistema a vapore e d’acqua calda diverso dalla tradizionale piegatura a fuoco delle doghe
L’utilizzo di vapore ed acqua calda permette l’estrazione di più composti idrosolubili durante la fase di riscaldamento, portando così ad una quantità minore di composti volatili, mentre comporta minori differenze rispetto alla tecnica tradizionale per la componente polifenolica (tannini ellagici importanti per fissare il colore) rispetto alla piegatura a fuoco.
Questo dovrebbe portare a barriques probabilmente più adatte a vini bianchi e vini rossi delicati, dove l’obbiettivo dell’enologo è di avere un legno più rispettoso del frutto del vino, senza sovrastarlo con la potenza delle componenti volatili (vanillina, furfurale, ecc.).
Abbiamo cercato con questo nuovo sistema di raggiungere quest’obbiettivo senza variare in modo significativo l’apporto di tannini, importanti soprattutto nei rossi per fissare il colore, grazie alla loro combinazione con gli antociani, e mantenendo la stessa ossigenazione data dal legno al vino.
2 – Un nuovo processo di abbonamento: Aquaflash
La ditta Seguin Moreau con sede a Cognac– Francia ha messo a punto un nuovo processo di abbonamento delle doghe al fine di attenuare l’impatto del legno sul vino. La tendenza attuale nel mondo vitivinicolo e di elaborare vini affinati in fusti con un sapore complesso, fruttato e poco marcato dal legno.
Questa tendenza e la più sentita dai produttori vinicoli che cercano nei loro vini l’espressione vera.
di una terra viticola piuttosto di un sapore universalizzato.
Per rispondere ai bisogni dei propri clienti, Seguin Moreau , in collaborazione con l’Istituto Universitario della Vite e del Vino (Digione, Borgogna) ha elaborato il procedimento, denominato AQUAFLEX, che viene proposto per i fusti Bordeaux (225l), Borgogna (228l) e 300l. Questo procedimento consiste nell’immergere i fusti, dopo aver assemblato le doghe sul cerchio di assemblaggio formando la rosa nell’acqua calda, per poi cerchiarli rapidamente prima di effettuare una tostatura prolungata, lenta e penetrante.
I trasferimenti di massa e di energia del sistema legno-acqua creati con l’immersione del fusto
nell’acqua calda, poi con la tostatura effettuata su un legno caratterizzato da un’elevata umidità,
conducono a modifiche chimiche diverse da quelle che si operano dopo una cerchiatura
tradizionale su fuoco di legno. L’impatto boisè e quindi attenuato.
Le analisi chimiche e sensoriali caratterizzano l’impatto del nuovo procedimento. I vini affinati in fusti che hanno beneficiato del procedimento AQUAFLEX si caratterizzano per il debole tenore di tutte le sostanze date dalla torrefazione,
comparativamente a quelli affinati in fusti che hanno beneficiato del processo di cerchiatura e di
“bousinage” (tostatura) tradizionale. La diminuzione più notevole concerne la quantità di fenolivolatili, che e da 3 a 5 volte piu debole nei vini affinati in fusti AQUAFLEX rispetto alla cerchiatura tradizionale.
3 – Invecchiamento artificiale
Anni fa erano in atto tecniche per invecchiare artificialmente il vino.
Gli alti costi del legno e i tempi lunghi con un elevato capitale immobilizzato favorirono specie nel secolo scorso la sperimentazione e successiva attuazione di numerosi processi alternativi all’invecchiamento naturale
Un testo classico di enologia, il Carpentieri, nel 1948, riporta sistemi antichi che, oggi fanno un po’ sorridere: sottoporre il vino a vibrazioni creata da apparecchi musicali, oppure l’unione combinata dell’ossigeno del freddo e del caldo
Vecchi barolisti ricordano le damigiane senza paglia sui solai: piu’ sottile era il vetro, miglior l’effetto.
Crollava il colore ( che in vero non era mai elevato ) e il sapore assumeva il gusto di “vecchia Marsala”.
A Fontanafredda e alla Calissano ho sentito dire da vecchi cantinieri di vino Barolo e Barbaresco posto in autoclave per qualche giorno al caldo (35 gradi) e, in seguito, al freddo (zero gradi).
In pratica si imitavano le stagioni dell’anno.
Un collega mi ha inviato un testo nel quale leggo che un professore dell’Università di Tecnologia del Sud Della Cina (a Guangzhou), di nome Xin An Zeng, ha trovato un procedimento per invecchiare il vino in maniera artificiale e in poco tempo.
Come? Facendo passare “il vino attraverso un tubo che scorre tra due elettrodi in titanio. I campi elettrici, infatti, come altri principi della fisica, sono in grado di modificare gli elementi costitutivi del vino e, nel caso specifico, di alterarne l’età”. Xin An Zeng ha già fatto un esperimento su un cabernet sauvignon di tre mesi della Suntime Winery. Quindi, ha proposto il vino che ne è venuto fuori a dodici degustatori. Cosa è successo? Questi hanno avvertito nel corso della degustazione sapori e odori che di solito vengono a galla solo con il passare del tempo, quindi con l’invecchiamento. Per il momento cinque cantine cinesi già stanno sperimentando la tecnica dei campi elettrici. E sembra anche che il vino, oltre ad essere “accelerato”, subisca anche delle migliorie dal punto di vista qualitativo” (Cosa della quale ci permettiamo di dubitare ndr ). Soprattutto niente di nuovo sul fronte orientale, parafrasando un celebre titolo. Il testo citato, ovvero il Carpentieri, riporta il metodo Catadin, che consisteva nel far passare il vino tra due elettrodi di argento. Applicato sul Raboso e altri rossi Veneti. Ma eravamo negli anni tra le due guerre mondiali.
Caro dottore
L’articolo e’ molto interessante ,vorrei chiederle come si può venire a conoscenza di quanto O2 ha bisogno un vino quindi una volta terminata la malolat a prescindere affin in legno oppure no come faccio a sapere quando tirar via il vino dal legno al di la del boise’ come so quando l attività oss rid e giunta in una fare terminale o sufficiente per poi poter andare in bottiglia
Grazie e a presto
Pierangelo
DOMANDA MOLTO COMPLESSA SOPRATTUTTO NON SI PUO RISPONDERE A
“a prescindere affin in legno oppure no” COME RICHIESTO. MA SONO VINI BIANCHI O ROSSI?
COMUNQUE IN BASE ALLA MIA ESPERIENZA QUARANTENNALE A FONTANAFREDDA POSSO RISPONDERE IN SENSO GENERALE CHE
IL FABBISOGNO DI OSSIGENO E A LIVELLO DI
A – MACROSSIGENAZIONI: PER I MOSTI-VINI IN FASE DI FERMENTAZIONE
B – MICROSSIGENAZIONI PER I VINI IN FASE DI CONSERVAZIONE IN LEGNO
C -NANO OSSIGENASZIONI PER I VINI IN FASE DI CONSERVAZIONE IN BOTTIGLIA
DOSAGGI GENERICI
A 10 ML UNA TANTUM
B 5-10 PPM AL MESE
C 2-3 PPB AL MESE
UN VINO VA IN BOTTIGLIA QUANDO HA COMPLETATO I PROCESSI DI INVECCHIAMNETO
COLORE, PROFUMO E SAPORE AL PUNTO GIUSTO
CI SONO ANALISI SUL FRAZIONAMENTO POLIFENOLI ES RAPPORTO ANTOCIANI TANNINI O LETTURE A 420 E 520 MM ..MA è COMPLESSO
SE NECESSARIO INDICO AL LETTORE LA BIBLIOGRAFIA