Interessante convegno in tema di viticoltura a Taggia (Im).
L’accogliente convento dei Domenicani ha ospitato, dal 6 all’8 maggio scorso, i lavori del “Convegno internazionale “La vite e il vino in Liguria e nelle Alpi marittime dal Medioevo ai nostri giorni. Studi in memoria di Giovanni Rebora”.
Organizzato da Asso Lab StArT AM, in collaborazione con Università di Genova e Società Ligure di Storia Patria, ha prodotto risultati scientifici e promozionali di grande interesse per la Liguria.
- Da un punto di vista storico è emerso come detta regione sia stata da sempre una terra produttrice di grandi vini esportati oltretutto in vari paesi europei sin dal sec XV (primi fra tutti il Moscatello di Taggia e la Vernaccia delle Cinque Terre).
- Da un punto di vista ampelografico, si assiste ad una riscoperta dei vitigni autoctoni, come ad esempio lo stesso moscatello di Taggia, ma anche il rossese bianco, il croetto, la massarda o la granaccia, alcuni e in specie il primo di grandi potenzialità (vedi finestra).
- E’ ancora carente la valorizzazione e promozione dei vini e in genere dei prodotti della filiera agroalimentare ligure.
L’eccessiva frammentazione delle DOC, dove entrano in conflitto disciplinari non sempre chiari, alcuni strumenti di sviluppo, ormai realizzati dagli enti scientifici, non vengono utilizzati per il miglioramento qualitativo della produzione e la salvaguardia del paesaggio,
Le ricerche sulla fertilizzazione dei terreni portati avanti negli appezzamenti del Ponente e Levante ligure dall’Università di Piacenza, importanti per il miglioramento qualitativo della vigna, sono praticamente ignorati nella regione; gli studi sul moscatello di Taggia, che vede attivo il CNR-Istituto di Virologia Vegetale di Torino, unitamente al Consorzio Tutela Asti sono praticamente pronti, ma non vengono utilizzati.
In sostanza la Liguria, vista soprattutto con gli occhi dei forestieri e degli addetti ai lavori del settore viti-vinicolo, appare una regione dalle grandi potenzialità enologiche, decisamente però poco sfruttate, lo stesso dicasi riguardo alla promozione dell’immagine turistica delle due riviere e attraverso i suoi prodotti tipici
Ai lavori congressuali hanno partecipato relatori di altissimo profilo citiamo tra Allen James Grieco dell’Università di Harvard, Anna Schneider del CNR di Torino, Elizabeth Gabay, Master of Wine e giornalista delle principali riviste di settore inglesi e americane, Alberto Vercesi dell’Università Cattolica di Piacenza, Gabriele Archetti dell’Università Cattolica di Brescia, Antonello Maietta, presidente nazionale dell’Associazione Italiana Sommeliers.
Il convegno era dedicato alla memoria del prof Giovanni Rebora, il compianto titolare della cattedra di storia contemporanea dell’università di Genova (vedi finestra).
Antichi vitigni liguri
Sulle coste della penisola Italiana, immersa nel mar Mediterraneo, grazie ai commerci marittimi, furono portate, sin dal VIII sec. A.C., molte varietà di vite di diversa provenienza. Coltivate per millenni ebbero larga diffusione in molti altri territori Europei. Oggi sono in gran parte estinte, oppure restano, soltanto, nella memoria orale di anziani viticoltori. Nomi sconosciuti, non sempre riportati in testi di viticoltura, oppure negli elenchi di qualche collezione ampelografica. In Italia, a metà ottocento, si contavano nei vigneti oltre 4000 vitigni, oggi ne sono rimasti soltanto 450. La tutela della biodiversità è un problema di rilevanza internazionale, con forti risvolti culturali, sociali ed economici: quante specie di animali o vegetali sono andate purtroppo perse per sempre? Vediamo due casi concreti, seppur diversi, di scoperta, salvaguardia e valorizzazione di rari e antichi vitigni.
A) Quiliano nel Savonese
In un vigneto a Quiliano nel Savonese si trova una vite sconosciuta. Dino il viticoltore l’ha sempre chiamata “granaccia bianca”, ma è un nome che le hanno dato nella vigna dove era in precedenza coltivata. Enologi, viticoltori, ricercatori, storici, botanici hanno visto e valutato con attenzione foglie e grappoli. Non capiscono cosa sia, non sanno darle un nome, paragonarla a qualcosa. E’ bene ripercorrere la storia di questa strana vite. Ormai si trova solo nella vigna di Dino, per quanto ci è dato sapere. In pochi esemplari, al massimo venti. Pertanto a rischio.
Molti anni fa, in un vigneto di Quiliano, in una grossa tenuta a conduzione colonica, di proprietà di Mario Isetta, furono prese delle gemme da una vite chiamata da tutti “granaccia bianca”. L’innesto, su base americana, attecchì; in seguito altri innesti furono effettuati sempre con lo stesso metodo.
Dino, in seguito, seppe, da suo padre, fattore nella medesima tenuta, che, ad inizio ‘900, c’erano nelle vigne di Quiliano, più viti di granaccia bianca che di granaccia nera.
Il forte ridimensionamento della viticoltura nell’entroterra Savonese, portò alla scomparsa di questo vitigno. Della falsa “granaccia bianca” è rimasta soltanto la memoria orale, oltre alle venti viti salvate da Dino, figlio del fattore della famiglia Isetta.
B) Ceriana nell’Imperiese
In Liguria è in atto un progetto, per realizzare delle vigne sperimentali di“Moscatello di Taggia”, finalizzate alla conservazione, all’incremento e alla valorizzazione di questa antico vitigno. Il territorio interessato al momento è il Comune di Ceriana (IM).
L’assistenza tecnica è curata dall’enol. Lorenzo Tablino.
Nel progetto, sono cointeressate le aziende agricole Mammoliti, Barucchi e Rodi, del Comune di Ceriana. Mettono a disposizione porzioni dei propri terreni e materiali da innesto.
Nel corso dell’annata agraria 2002/2003 è stato eseguito uno studio di massima avente ad oggetto l’osservazione e la catalogazione di rare piante del vitigno in oggetto, rinvenute nel territorio del Comune di Ceriana. Lo studio è stato effettuato dalla dott. Schneider Anna del C.N.R. di Torino.
E’ stato contattato il vivaio F.lli Obice di Santo Stefano Belbo (Cn), specializzato nella produzione di barbatelle di vitigni della famiglia “moscato”, al quale è stata affidata la riproduzione delle barbatelle a partire dalle potature delle piante assenti da patologie.
Ottenute le prime uve, si passava negli anni seguenti alla fase successiva, ovvero alla valutazione del mosto e del vino ottenuto mediante particolari microvinificazioni. Le vendemmie interessate sono state al momento sette.
Le prime analisi –sul mosto a zero e a quattro gradi – dei quadri aromatici è molto interessante.
Sono state effettuate dal dr. Bezzo, direttore del laboratorio Consorzio Tutela dell’Asti.
Ecco qualche dato: il valore del diendolo 1 è elevato = 1205 ppb, se riconfermato e’ superiore ad altre zone vocate. Il valore linaiolo 211 ppb riferito a zone vocate è comunque interessante:
Attualmente sono in produzione circa 4000 mq di vigneto specializzato, il progetto prevede un consistente ampliamento della superficie vitata, coinvolgendo altre aziende viticole dell’Imperiose.
Al convegno citato sono state presentate tre tipologie del Moscatello di Taggia , precisamente secco , dolce e vendemmia tardiva. Consensi unanimi tra il numeroso pubblico.
IL PROFESSORE DI TUTTI
Un ricordo del professor Giovanni Rebora
Aveva la rara capacità di farsi ascoltare. Appena iniziava a parlare ti colpiva il suo enorme spessore culturale, ma subito prevaleva la sua grande umanità, l’enorme disponibilità nel rendere semplici e facilmente comprensibili i vari concetti, correlati alla storia dell’uomo e di suoi alimenti nel tempo.
Aveva la titolarità della cattedra di storia contemporanea dell’Università di Genova ed era considerato uno dei massimi esperti internazionali di storia medioevale e anche di cucina ed alimentazione. Ma l’accademico che si era confrontato con i grandi della storia e della cultura del novecento, da Braudel a Lèvi Strauss, da Le Goff a De Felice, ben volentieri parlava, discuteva, insegnava a cantinieri, spumantisti, viticoltori, impiegati.
Con molto interesse ha raccolto nei suoi numerosi libri testimonianze e racconti di umili panettieri, formaggiai, carradori, pescatori.
Ci ha insegnato a rispettare il cibo: “ Potete mangiare tre volte il giorno, siete fortunati, considerate il cibo parte di voi “, ci diceva, “almeno conoscetelo bene”.
A riguardo metteva in guardia verso i tuttologi e gli snob, non capiva la ” nouvelle cousine”, le elaborazioni eccessive, le tecnologie invasive nelle cucine, le lunghe, ampollose descrizioni di piatti “con molto effimero e poca sostanza”.
Ottimo cuoco, eccellente gourmet, si emozionava per un piatto di sardine fritte o di lasagne al pesto.
Era amante del buon vino. Con il bicchiere in mano, durante l’assaggio di un giovane nebbiolo giovane o di una vecchia barbera, rivelava meglio il suo carattere: informale, dissenziente, un po’anarchico, molto libero.
Non cercava etichette celebri, griffe prestigiose dai prezzi eccessivi che, assolutamente, non capiva, si era innamorato di piccoli produttori, cercava il vino che raccontasse qualcosa in termini di umanità, territorialità, passione, impegno.
Amava la storia del vino e la raccontava come nessun altro.
Ci ha lasciato alcuni anni fa, resta immutato, anzi cresce il suo ricordo.
Se non altro per quella stupenda e rara ironia, fatta di battute fulminee, di dissacrazioni spontanee, quasi sempre evidenziate in puro dialetto genovese, quella continua ricerca del ragionamento critico, quel suo vedere oltre i miti e i luoghi comuni.
Rimarranno, per sempre, un alto esempio di educazione morale.