Valgono molte norme già riportate per i vini bianchi.
Aggiungo che è importante iniziare subito l’attività fermentativa nel mosto, soprattutto in caso di annata cattiva, altrimenti si sviluppano troppi lieviti selvaggi e batteri dannosi al vino. Si avranno inoltre troppe ossidazioni al mosto. ( Vedi periodo latenza inizio articolo )
Se si utilizza un pied de couve dovrà essere rinnovato ad ogni inoculo, è molto difficile riprodurre in cantina i lieviti,figuriamoci in vendemmia; inevitabilmente al secondo – terzo passaggio si perde la purezza del ceppo. Ma per ovviare in parte si può anche tagliare il mosto prima della fermentazione con altro mosto/ vini in piena fermentazione, soprattutto in caso di vinificazioni di grandi masse omogenee.
Volume interessato almeno 10%.
Attenzione al grado alcolico della massa in fermentazione, dovrà essere inferiore a otto gradi
, in quanto se piu’ elevato i lieviti si sono già adattati ad alti valori alcol e il conseguente trasferimento in un mosto a zero di alcol puo’ portare a latenza del lievito.
Se necessario i primi giorni si riscaldino i mosti sui 23-25 gradi, soprattutto con notti fredde e prima dell’aggiunta del pied de couve.
Per il razionale andamento della fermentazione rimando a Vigne Vini n. 10 /2003 – speciale “ La vinificazione in rosso”.
Aggiungo solo che oggi si pone molta importanza alla temperatura del cappello di vinacce che non dovrà raggiungere temperature elevate ( 40 gradi e oltre ) causa eccessivo sviluppo di batteri e inibizione del lievito stesso.
Problemi particolari
1 I lieviti inclusi o immobilizzati
Da circa 20 anni per la produzione di spumanti sono diffusi in enologia i lieviti inclusi o immobilizzati, ovvero fissati ad un supporto, in genere alginato di calcio a doppio strato.
Si producono piccole sfere dal diametro di circa 2 mm che contengono le cellule di lievito, in genere Saccharomyces o Schizosaccharomyces- vengono in seguito essicate e conservate a 4 gradi, sino al loro utilizzo.
L’applicazione maggiore di queste preparazioni è la produzione di spumanti con metodo classico.
I vantaggi nelle operazioni di remuage erano enormi, di fatto basta rivoltare la bottiglie affinché le sfere cadano sul tappo metallico.
Ma non hanno avuto molto successo tra i produttori di spumanti e per vari motivi Sentiamo il collega Franco Brezza da alcuni anni responsabile settore spumanti Martini e Bacardi: “ Abbiamo usato lieviti inclusi nel metodo classico, il remuage era perfetto, ma al momento del degorgement quando “si sparava” il tappo di ghiaccio all’esterno, alcune palline ritornavano nel vino, altre venivano disperse nell’aria e talora entravano in altre bottiglie gia stappate e in attesa sulla apposita macchina rotatrice .
In vero occorreva dosare bene le palline in bottiglia, a tale scopo ci consigliarono un’apposita macchina dosatrice.
Ma il risultato non sempre era ottimale c’era troppa difformità di lieviti in bottiglia, a volte la stessa macchina rompeva le sferette contenente i lieviti.
Una particolare attenzione era stata rivolta alla preparazione delle sferette perché fu necessario “rinforzare” l’alginato in quanto alcune cellule erano riuscite a fuoriuscire dall’involucro, anche per questo ci fu perplessità sull’efficacia del sistema.
E’ stato abbandonato
Abbiamo sperimentato anche le “ candelette “.
Ovvero lieviti immobilizzati in un piccolo contenitore a forma di candeletta .
Sembrava un piccolo siluro che si infilava nel collo bottiglia
Tutto era in regola senonche’ erano molto care e in certi casi lasciavano passare il lievito e il vino di conseguenza si intorbidiva” .
Ultimamente i lieviti inclusi hanno avuto altre applicazioni: nella disacidificazione dei mosti ( utilizzo di Schizosaccharomices a funzione demalicante), nel trattamento degli arresti di fermentazione e nella produzione dei vini da dessert
Per questa ultima tipologia è possibile bloccare la fermentazione in modo semplice, senza inibitori e soprattutto al momento opportuno
2 Il lievito e il problema ridotto
Uno dei problemi piu’ rilevanti del’enologia mondiale.
Anche qui la cura è difficile, occorre prevenire
Come è noto all’esame olfattivo il vino che “sa di ridotto” presenta odori diversi: feccia, fondo, di verdura cotta, di cavolo, di bruciato, per terminare nel classico odore di “uova marce” o acido solfidrico e nei casi più gravi “l’agliaceo-cipolla” di un composto molto pericoloso detto mercaptano.
Da un punto di vista chimico si tratta di composti a base di zolfo, infatti alcuni enologi parlano di ” odori solforati”.
Citiamo i più importanti: metantiolo, etantiolo, di metidisolfuro, di etilsolfuro,s-etil tioacetato, metionolo.
Cosa possiamo fare in cantina per prevenire il ridotto?
E ‘ insostituibile il ruolo della degustazione: bisogna assaggiare tutti giorni, se compaiono accenni di odori di ridotto –il classico vegetale dovuto a disolfuri –occorre travasare subito e aggiungere altro azoto – 10 grammi per hl di sali d’ ammonio e ossigeno-almeno 10 mgr litro. Gli shock termici per raffreddamento, uve poco sane, mosti poco puliti, competizione lieviti- batteri, eventuali residui di fitofarmaci, scarsità microelementi, sono senza dubbio alcune delle cause che inducono i lieviti a produrre odori di ridotto.
In cantina le pratiche preventive contro il ridotto prevedono innanzitutto una razionale condizione della fermentazione evitando i rallentamenti o peggio arresti (vedi sopra).
In particolare arieggiare bene il mosto, valutare bene i residui di trattamenti sull’uva e razionalizzare l’utilizzo della solforosa. Se necessario usare, preventivamente nel mosto, ad inizio fermentazione, da 5 a 15 grammi di solfato di rame per 100 quintali di prodotto.Ma il trattamento non è privo di rischi e va valutato caso per caso con molta attenzione.
Le recenti ricerche sono di grande aiuto all’enologo: Il meccanismo di azione dell’azoto è il seguente: si formano nel mosto-vino composti amminoacidi in particolare cisterna e metionina che bloccano lo zolfo impedendogli di dare il via al composto solforato indesiderato.
Come è noto 150-200 mg/lt.di A.P.A oppure 1/gr./ lt. di amminoacidi sono i parametri da rispettare per un buon metabolismo azotato, detti valori sovente si riescono ad ottenere nel mosto con una buona concimazione azotata nel vigneto.
Come già detto i risultati curativi sono dal risultato incerto, anche per il fatto che il chimismo preciso di questi composti è ancora in parte sconosciuto. Il pericolo maggiore si presenta quando si interviene in ritardo, essendosi ormai formato mercaptano che è un composto solforato molto stabile.
Per fortuna altri composti a base di zolfo –come i disolfuri –sono molto meno stabili, spesso sono sufficienti una chiarificazione ben fatta oppure una rifermentazione per fare scomparire –in modo sensibile e definitivo il difetto organolettico.
Aggiungiamo che, sovente all’inizio dell’ estate con i primi caldi e soprattutto per vini bianchi, il fenomeno–come osservato più volte a Fontanafredda e confermato da altri colleghi – regredisce naturalmente.
Per terminare un accenno all’utilizzo del solfato di rame.
Spesso viene usato male, specie a livello preventivo e con risultati dubbi.
Occorre conoscere possibilmente la causa per cui si forma il ridotto.
E’ opportuno che la parete cellulare ispessita del lievito impedisca allo zolfo di uscire nel mezzo e dare luogo poi ai numerosi composti solforati.
Prevenire con dosaggi razionali di N e O è meglio che aggiungere rame.
L’aggiunta di solfato di rame è utile,comunque,quando si inizia ad avvertire presenza di idrogeno solforato = 50-100 mgr x Hl.
Per gli altri composti solforati cha danno luogo a ridotto il trattamento è quasi inutile.
Aggiungo che spesso i risultati sono aleatori.
Il ridotto sembra scomparso nel vino nuovo.. . …e poi… ricompare in bottiglia.
3 Il lievito e l’aggiunta di rettificato –MCR
Spesso i mosti rettificati contengono quantita’ elevate di microrganismi patogeni che possono creare antagonismo nei lieviti Sacchacromyices e/o creare problemi in fermentazione e anche in seguito nel vino.
E’ ’ opportuno all’arrivo del MCR in cantine e prima di utilizzarlo per l’ arricchimento dei mosti “sterilizzarlo” con metabisolfito in dose di 100 gr per hl e acido tartarico il dose di 100 grammi per hl.
Nei casi dubbi si puo ‘ ricorrere all’analisi microbiologica.
Interventi
Alberto Poletti –
Responsabile scientifico società Lallemand Italia
“Quale futuro per Saccharomyces cerevisiae ?
La biodiversità della natura risulta molto elevata per cui la selezione di ceppi con caratteristiche adatte alla produzione dei vini moderni non si può dire terminata e il contributo qualitativo attribuibile ai lieviti non è stato sfruttato completamente.
In questa situazione si possono ipotizzare diverse linee di ricerca, alcune per la verità non del tutto nuove, per lo sviluppo futuro della selezione dei lieviti enologici. Alla tradizionale tecnica di selezione clonale basata sull’isolamento di un gran numero di lieviti seguito da un laborioso processo di individuazione dei ceppi con le migliori caratteristiche enologiche si affiancano tecniche di genetica classica quali ibridazione e mutazione. Queste tecniche, conosciute da molto tempo nel mondo scientifico, non determinano la creazione di Organismi Geneticamente Modificati (i famosi OGM). L’ibridazione comporta l’incrocio tra due lieviti enologici, selezionati naturalmente, con caratteristiche enologiche peculiari, al fine di ottenere un lievito che racchiuda il meglio di entrambi i genitori
L’ibridazione può avvenire anche in natura come nel caso del ceppo commerciale Lalvin S6U selezionato alcuni anni fa dall’Istituto di Velletri (Ciolfi, 1994) riconosciuto come ibrido naturale S. cerevisiae x S. uvarum, con comportamento intermedio per quanto riguarda le principali proprietà tecnologiche delle due specie.
Ceppi selezionati di cui sono già conosciute ed apprezzate le caratteristiche enologiche possono essere impiegati sfruttando la cosiddetta “sinergia dinamica”: concetto basato sull’impiego di due ceppi di lievito selezionati compatibili tra loro e in grado di esprimere le proprietà sensoriali e fermentative in perfetta sinergia.
L’esperienza Lallemand nel formulare miscele nelle giuste proporzioni, da usare in un singolo inoculo, e gli approfonditi studi di compatibilità cinetica ed organolettica tra i vari ceppi fornisce agli enologi un nuovo strumento per la gestione delle vinificazioni combinando al meglio le qualità dei diversi lieviti.
Una innovativa tecnica produttiva messa a punto e brevettata da Lallemand ha permesso, grazie all’approfondita conoscenza della fisiologia dei lieviti enologici, di aumentare la resistenza di alcuni lieviti alle difficili condizioni della fermentazione alcolica riducendo il rischio di deviazioni organolettiche e migliorandone le performance cinetiche. Questi lieviti possiedono una maggior sicurezza di terminare la fermentazione in condizioni di elevata produzione di alcool oppure in condizioni non perfettamente ideali per la vita dei “normali” lieviti. Si tratta di indurre un migliore metabolismo e una migliore difesa della cellula attraverso meccanismi fisiologici conosciuti applicati durante uno speciale processo di produzione appositamente modificato allo scopo. Questi ceppi più resistenti ed affidabili saranno proposti in Italia, per prove industriali, nella prossima vendemmia.
Negli ultimi anni si è inoltre cercato di approfondire il discorso della selezione ed applicazione dei lieviti non Saccharomyces, argomento trascurato nel passato per la difficile gestione del momento di inoculo e dei problemi relativi alla loro produzione industriale. Al fine di sfruttare i caratteri organolettici positivi ampiamente conosciuti di alcuni ceppi di lieviti non Saccharomyces sono in corso intense sperimentazioni per individuare la via più sicura e proficua per l’impiego di questi microrganismi, lavorando in parallelo sull’ottimizzazione della produzione.
In ogni caso tutto lo sforzo di selezione e ottimizzazione della produzione e applicazione è rivolto ad ottenere lieviti sempre più consoni a facilitare il lavoro dell’enologo in termini gestionali e a garantire l’ottenimento di vini che soddisfino le richieste qualitative di consumatori sempre più esigenti.
Nonostante siano trascorsi 20 anni dall’introduzione dei lieviti selezionati nella quotidianità di cantina è evidente come questi microrganismi, grazie all’impegno di gruppi ricerca a livello internazionale specializzati in fisiologia, microbiologia e genetica del lievito, possano ancora riservarci molte gradite sorprese “.
Note
1 –Con il termine “ naturali ” intendiano i lieviti spontanei della buccia dell’uva , omonimo anche di “selvaggi”.