Sono ormai sugli scaffali delle enoteche e della Gdo i vini novelli italiani, con i noti Beaujolais Nouveau.
Ma non ci saranno i grandi eventi mediatici di vent’anni fa, è proprio cambiato tutto: nessun gran baldoria super-reclamizzata in location esclusive, tra chef stellati, vip, presunti vip, attori, cantanti e i soliti personaggi del “beverage mondiale”.
Fenomeno in calo dunque e a tutti i livelli preciso: produzione, fatturato, vendita e consumo. Abbiamo sentito il parere di due addetti per approfondire la questione.
Vin Café
Il Vin Cafè di via Maestra in Alba conferma subito:
Nessuna richiesta da parte dei clienti, anche esteri, sia di novelli italiani, che di Beaujolais Noveaux. Non li teniamo più.
Anni fa abbiamo organizzato, proprio nel nostro locale, una presentazione il 17 novembre, data mondiale che ricordava in tutto con il mondo che “Le Beaujolais Nouveaux c’est arrivè”. È stata molto affollata, ma oggi le richieste sono per altre tipologie di vino, cito i bianchi trentini, oppure lo spumante classico “Alta Langa” come tendenza in crescita.
Alba Store
Nel supermercato “Alba Store”, gentilmente mi accompagnano nel reparto interessato. Stanno sistemando sugli scaffali alcune bottiglie di vino novello italiano.
Vedo ottime marche, dal Piemonte alla Sicilia, ma anche qui l’addetta conferma, senza esitazione, il calo nelle vendite.
Il terzo giovedì di novembre, il centro commerciale esporrà anche i Beaujolais Nouveau, ma precisano subito, anche il noto vino francese è in flessione.
Come mai i vini novelli non sono più ricercati?
Le cause del fenomeno sono a mio avviso molteplici. Nonostante i prezzi di vendita non certo alti, in genere sotto i 8-10 euro per i novelli nazionali.
In primis il limitato tempo di evoluzione del vino, che va consumato entro Pasqua al massimo.
Sicuramente incide anche la tendenza nelle abitudini nel bere, soprattutto tra i giovani, spesso orientati verso altre tipologie di vini, in cui il concetto di vitigno e territorio è più evidente, in quanto subito percettibile.
Finestra: curiosità tecniche
Il processo di produzione (macerazione carbonica) è stato scoperto quasi casualmente negli anni ’30: esperimenti fatti alla ricerca di un metodo di conservazione dell’uva, in contenitori saturi di anidride carbonica, hanno portato all’inaspettato risultato di ottenere un mosto particolare, la cui la rapida fermentazione portò al primo “Nouveau”.2
In seguito il prof. Flanzy, in Francia nella regione Beaujolaise, mise a punto (1940-1950) un metodo fermentativo delle uve basato sulla cosiddetta “Macerazione Carbonica”.
Semplificando si butta nel tino l’uva intera senza pigiarla, si forma subito un po’ di mosto, causa la pressione dei grappoli degli stati superiori. Parte la fermentazione alcolica, ma negli acini interi avviene una seconda fermentazione intercellulare, che porta alla rottura dell’acino, quindi alla formazione di altro mosto, seguita da un forte abbassamento dell’acidità fissa.
Si svina dopo pochi giorni e si prosegue con la normale fermentazione alcolica.
Seguono le normali pratiche di cantina, ma tutto è accelerato, di fatto a fine ottobre si può imbottigliare.
Ma si racconta un’altra storia, che dimostra l’enorme abilità dei produttori francesi in fatto di P.R. sul vino.
Durante la seconda guerra mondiale, nella Francia occupata di Vichy occorreva vendere il vino presto, prestissimo, onde evitarne il sequestro per motivi bellici da parte delle forze di occupazione tedesche. Pertanto ogni procedura o innovazione per accelerare l’evoluzione del mosto-vino era benedetta e soprattutto funzionale.
Nei primi giorni del 1941, quando un maresciallo della Wermacht – pare eccellente conoscitore di vino – si presentò in quel di Macon (Borgogna), all’ingresso della cantina, con tanto di damigiane al seguito, la madame proprietaria, per nulla intimorita, disse semplicemente, con ironia, “Rien”.