Si è arreso a un male incurabile, ma per un’intera vita ha sempre lottato con tenacia, determinazione, coerenza, etica. Valori che aveva innati, come un antico eroe omerico.
Il prof. Govanni Rebora ci ha lasciati lo scorso ottobre, l’ultimo respiro nella sua bella casa di Genova, ove ha sempre vissuto e lavorato. Aveva 75 anni.
Conobbi il prof. Rebora molti anni fa casualmente: cercavo un relatore per il Circolo Culturale dei “ Crotè” di Fontanafredda, l’amico Carlin Petrini, allora presidente dell’Associazione Arcigola, indicò il prof. Rebora. Era il 1988, il nostro circolo era alle prime armi, ma trattando prevalentemente temi a carattere enogastromico ed essendo formato da cantinieri, spumantisti, enologi, impiegati chiedemmo subito l’affiliazione ad Arcigola.
Il primo incontro, programmato dal novello circolo, fu “ la pasta nell’alimentazione mediterranea”, “relatore il prof. Gianni Rebora – titolare della cattedra di storia contemporanea dell’università di Genova”, recitava il volantino. Fu subito empatia tra i soci del circolo e il professore.
Per tanti motivi: ti colpiva il suo enorme spessore culturale, ma subito prevaleva la sua grande umanità, non contava assolutamente cosa diceva, ma come argomentava i vari concetti correlati alla storia dell’uomo e di suoi alimenti nel tempo. Per quasi 20 anni vent’anni, il prof. Rebora è stato relatore fisso al Circolo dei Crotè, raccontandoci tutto ’abc della cultura alimentare: dal riso alla carne, dal pesce ai formaggi, dalle zuppe ai dolci.
A Fontanafredda, nella accogliente storica sede del dopolavoro aziendale, Giovanni era sempre coadiuvato da validi chef di Slow Food. (ricordo in particolare Beppe e Daniele, quando erano ancora giovani chef dell’osteria dell’Arco di Alba)
Numerosi e riusciti incontri, simposi, convegni lo hanno visto protagonista in Piemonte: a Faule (Carmagnola), in due diverse occasioni, con interessanti divagazioni in tema “Bagna caòda e vino “, a Bra, per le prime edizioni di Cheese, ad Asti, ove parlò con molto schiettezza dei problemi della tartuficoltura, a Torino e a Canelli.
Il prof. Rebora aveva la rara capacità di farsi ascoltare da tutti. Appena iniziava a parlare ti colpiva il suo enorme spessore culturale, ma subito prevaleva la sua grande umanità, l’enorme disponibilità nel rendere semplici e facilmente comprensibili i vari concetti, correlati alla storia dell’uomo e di suoi alimenti nel tempo.
Aveva la titolarità della cattedra di storia contemporanea dell’Università di Genova ed era considerato uno dei massimi esperti internazionali di storia medioevale e anche di cucina ed alimentazione. Ma l’accademico che si era confrontato con i grandi della storia e della cultura del novecento, da Braudel a Lèvi Strauss, da Le Goff a De Felice, ben volentieri parlava, discuteva, insegnava a cantinieri, spumantisti, viticoltori, impiegati.
Con molto interesse ha raccolto nei suoi numerosi libri testimonianze e racconti di umili panettieri, formaggiai, carradori, pescatori.
Una precisa scelta: considerare, studiare la storia “minore”per valorizzare, soprattutto capire meglio quella “maggiore”. Oggi fa tendenza in molte università e centri culturali, per Rebora era anormalità.
Ci ha insegnato a rispettare il cibo: “ Potete mangiare tre volte il giorno, siete fortunati, considerate il cibo parte di voi “, ci diceva, “almeno conoscetelo bene”.
A riguardo metteva in guardia verso i tuttologi e gli snob, non capiva la ” nouvelle cousine”, le elaborazioni eccessive, le tecnologie invasive nelle cucine, le lunghe, ampollose descrizioni di piatti “con molto effimero e poca sostanza”.
Ottimo cuoco, eccellente gourmet, si emozionava per un piatto di sardine fritte o di lasagne al pesto.
Era, molto perplesso quando leggeva i prezzi esagerati di comuni materie prime, ironizzava su ampollose descrizioni di piatti “con molto effimero e poca sostanza”, a certi ristoranti sofisticati talvolta preferiva “ semplici ” trattorie liguri.
Era amante del buon vino. Con il bicchiere in mano, durante l’assaggio di un giovane nebbiolo giovane o di una vecchia barbera, rivelava meglio il suo carattere: informale, dissenziente, un po’anarchico, molto libero.
Non cercava etichette celebri, griffe prestigiose dai prezzi eccessivi che, assolutamente, non capiva, si era innamorato di piccoli produttori, cercava il vino che raccontasse qualcosa in termini di umanità, territorialità, passione, impegno.
L’ho accompagnato, spesso, dai viticoltori di Strevi, di Montegrosso d’Asti, di Castiglione Falletto, di Serralunga d’Alba. Ascoltava con attenzione quanto dicevano delle loro lunghe storie, prendeva qualche appunto su fogli improvvisati, poi prendeva il bicchiere e assaggiava contento.
Per questo amava la storia del vino e la raccontava come nessun altro.
Quante volte, nella sede del circolo dei Crotè, siamo rimasti in silenzio ad ascoltarlo e per lungo tempo, ci parlava di trasporti antichi di viti e di botti, di cavalli e di cartunè, di scambi tra marinai liguri e cantinieri piemontesi, di mercati antichi e floridi, di vecchie vigne tra muretti in rovina, di personaggi stupendi e di tradizioni che era un delitto perdere.
Poi il professore si fermava, ben conosceva i suoi limiti, dote oggi in vero un po’ rara.
Si sedeva e ascoltava anche lui, con molta attenzione: era il turno di Armando Cordero, l’enologo che con uno stile unico, raro, altamente professionale, ci analizzava, descriveva, aiutava a capite la qualità e caratteri del vino.
Una coppia imbattibile che purtroppo non troveremo più.
Ma ricorderemo Rebora anche per un altro importante motivo: quella stupenda e rara ironia, fatta di battute fulminee, di dissacrazioni spontanee, quasi sempre evidenziate in puro dialetto genovese, quella continua ricerca del ragionamento critico, quel suo vedere oltre i miti e i luoghi comuni, resteranno non solo dei ricordi piu’belli che hanno accompagnato la lunga attività del Circolo dei Crotè di Fontanafredda. Rimarranno un alto esempio di educazione morale.
Grazie Professore.