Come sempre nei racconti del vino i fatti narrati sono reali e minuziosamente ricostruiti attraverso la ricerca di testimonianze, ma i nomi sono sostituiti per non rendere riconoscibile la persona.
In questo caso tuttavia chiunque riconoscerà in Giorgio il Maestro di Castiglione Falletto.
Arnaldo Rivera, personalità di tale rilevanza da insegnare allora e ancora oggi uno stile di vita e di lavoro che può essere considerato un autentico modello di piemontesità.
Castiglione Falletto, 1931. Era nevicato per due giorni, ieri finalmente una coppia di buoi con il leson è riuscita a liberare lo stradone per Monforte. Giorgio cammina da più di un’ora, la cartella è pesante, sua madre ha infilato sul grembiule nero da scuola un pesante maglione, ha anche allacciato le stringhe degli scarponi. Di norma, arrivato ai Pugnane Giorgio prende la scorciatoia, evita tre tornanti; sono caduti almeno ottanta centimetri di neve, sulla calà ci sono molte orme.
Fa freddo, Giorgio si ferma per ammirare le montagne; gli sono sempre piaciute, un giorno suo padre gli ha nominato tutte le cime. Arrivato a Monforte, sulla piazza, gira a destra, una piccola via, una stretta porta.
«.Dieci soldi di pastiglie di tutti i colori.» dice Giorgio. Grandi barattoli in vetro scendono dagli scaffali, un’anziana signora, da ognuno, prende un po’ di pastiglie.
«.Ecco, dieci soldi.» posa sul banco un pacchetto color bleu. Giorgio è tra i primi ad entrare in classe, saluta subito Piero, il suo amico.
«.Mi aiuti a togliere il maglione?.». Arrivano gli altri.
La maestra inizia la lezione, sono cinquanta alunni, per fare la quinta vengono anche da Roddino e da Castiglione Falletto. Suona il campanello, c’è l’intervallo.
In cortile tutti giocano con la neve, Giorgio prende il sacchetto bleu. Dà a tutti una pastiglia colorata, inizia dalle due gemelle di Monforte.
Monforte 1944. «.Arriva stasera. Gli americani fanno un lancio a Marsaglia, con gli sten c’è il nuovo esplosivo, si chiama plastico perché si modella con le mani.». Da due settimane la banda partigiana di Giorgio è pronta, su un tavolo, alla luce di un’acetilene studia, ancora una volta, l’azione al ponte di Pollenzo.
Sono in quattro, Giorgio è l’unico che conosce un po’ gli esplosivi, ha imparato a far le cariche al corso sottufficiali alpini a Bassano del Grappa lo scorso anno. «.Con il plastico dobbiamo fare dei salami e attorcigliarli sui tiranti del ponte; speriamo che l’esplosione li spezzi, il ponte sospeso deve crollare.».
Veloci camminano nella notte, hanno superato il mulino di Roddi, sono vicini al Tanaro: «.C’è un campo minato – hanno detto al comando di divisione – state attenti.».
Vicino ad uno sperduto casolare ci sono altri partigiani. «Vi proteggeremo la ritirata.» dicono soltanto.
I quattro si arrampicano sul ponte, Giorgio sistema i salami di esplosivo sui tiranti in ferro, li lega stretti. L’acqua fredda del Tanaro scorre lentamente, il buio ed il silenzio proteggono i partigiani. Giorgio ha tanta paura, i suoi occhi sono fissi dalla parte di Bra: in una casamatta sulle rive del fiume c’è la guardia tedesca, non si accorge di nulla, forse dormono. Hanno quasi finito.
«.Riusciremo a farlo saltare?.» chiede uno dei quattro.
«.Spero, dobbiamo buttarlo giù altrimenti passano i mezzi corazzati e i fascisti si riprendono Alba. Ricordate due settimane fa l’ingresso nella città liberata – fa Giorgio – abbiamo bevuto e cantato sino al mattino.».
«.Pronti con i detonatori.».
Radio Londra nelle trasmissioni per l’Europa occupata parlò anche dell’azione di Pollenzo, erano Giorgio e altri tre partigiani.
Torino 1945. È arrivato in bici, come tutte le mattine, quasi quattro chilometri per attraversare la città. Giorgio lavora all’ANPI. Sei mesi prima, la banda partigiana di Giorgio era stata tra le prime ad entrare in Torino liberata, pochi giorni dopo il comandante Barbato gli aveva chiesto di organizzare le mense per i partigiani in fase di smobilitazione. Due stanze, pochi mobili, a pian terreno, in un vecchio edificio in via Po, ma veniva un sacco di gente; Giorgio si era dato subito da fare.
Una conoscente, moglie di un colonnello morto in Africa, gli aveva dato qualche mobile, poco alla volta l’ufficio iniziava a funzionare. Venivano tutti, per tante cose, pratiche, documenti, consegna d’armi, trasferimenti; venivano reduci, moglie e sorelle, non era facile. Giorgio ascoltava tutti, ma illudeva nessuno, «.a Roma stanno riorganizzando tutti i ministeri, non so quando arriveranno gli arretrati – continuava a dire – per le pensioni dovrete aspettare molto tempo.».
La cosa più delicata era l’assegnazione dei certificati di appartenenza alle singole formazioni partigiane: qualche profittatore c’era e la qualifica di partigiano combattente faceva comodo.
La stufa non funzionava bene, sovente c’era fumo, a mezzogiorno Giorgio andava sempre in una latteria vicina, latte e un po’ di formaggio, bastavano. Tornava subito in ufficio, leggeva L’Unità e la Gazzetta del Popolo, alle due riprendeva il lavoro.
Alla domenica passeggiava in periferia, in riva al Po, guardava il fiume in silenzio, scambiava due parole con i pescatori. Una volta al mese, se riusciva, andava al cinema, qualche volta era entrato in una sala da ballo in corso Regina Margherita; c’erano molte ragazze e gruppi, ma suonavano quasi sempre il boogie-woogie, non riusciva a ballarlo.
Castiglione Falletto, 1951. Dodici consiglieri della maggioranza hanno scritto il suo nome, Giorgio è sindaco. «.Mio padre sarà contento.» è stato il primo commento.
Da alcuni anni Giorgio è ritornato a Castiglione Falletto. A Torino il lavoro gli piaceva, aveva conosciuto molta gente; «.datti alla politica.» gli aveva detto una volta Barbato, l’ANPI si stava organizzando su nuove basi, lo stipendio era buono.
Fu suo padre a riportarlo al paese natio, «.A Torino non devi più stare, hai la campagna, la famiglia, hai studiato da maestro, hai iniziato l’università, torna a Castiglione.». Si era lasciato convincere, alla stazione di Porta Nuova erano andati a salutarlo amici ex-partigiani.
Giorgio è partito con la vespa domenica mattina, spera di arrivare a casa di Anna per mezzogiorno, si erano conosciuti due mesi prima a Cravanzana. Ambedue insegnanti, frequentavano i corsi di aggiornamento dei maestri cattolici; al termine di una conferenza di don Vigolungo Giorgio aveva cercato di restare solo con Anna, pochi minuti, poche parole.
Anna è affacciata alla porta, sorride mentre Giorgio ferma la vespa, nella piccola sala da pranzo tutto è a posto, la tovaglia ricamata, i piatti di Bavaria. Giorgio prende il caffè, Anna parla della sua scuola. «.Da tre anni sono qui, alla frazione Borretti di Ceresole, la classe non è grande.». «.A Castiglione Falletto ho trenta bambini.» dice Giorgio.
In una riunione del consiglio comunale si parla delle strade, l’alluvione le ha rovinate, bisogna ripararle, i carri con i buoi non riescono a passare.
«.È vero – dice Giorgio – ma dove troviamo i soldi? Le uniche entrate del Comune sono le tasse di famiglia e quella del bestiame. Domani andrò a Cuneo, spero di trovare un prestito; la gente ha aspettato troppo.».
Piovà Massaia, Asti, 1958. Il pullman è fermo sul piazzale della grande cantina sociale di Piovà Massaia, una delle più grandi realizzazioni del gruppo cooperativo Asti-Nord. Quaranta viticoltori osservano mentre Giorgio e Piero si abbracciano, non si incontrano dai tempi di scuola; «.ricordo le tue pastiglie colorate.» continua a ripetere Piero.
Il rag. Bossati inizia: «.Questa è una delle prime cantine sociali, una realizzazione della cooperazione rurale, basta unirsi.».
Erano partiti alle sette da Castiglione Falletto, c’era gente di Monforte, Serralunga e di altri paesi, volevano andare a vedere cosa erano riusciti a fare i viticoltori astigiani.
Da tempo ne parlavano, a casa, nelle osterie, all’uscita dalla messa, durante il lavoro. «.Una cantina sociale, per aiutare il mercato delle uve; dobbiamo sempre dipendere dai mediatori e dai commercianti?.». Giorgio ascoltava, rifletteva. Tre mesi prima era andato ad Alba dal rag. Bossati all’ispettorato agrario. Avevano parlato di cooperazione, Giorgio parlava delle sue iniziative nell’ANPI a Torino, Bossati ascoltava: «.qui è difficile realizzare qualcosa, c’è diffidenza, ma niente è impossibile; perché non proviamo, a piccoli passi?.».
Giorgio iniziò subito, andò nelle frazioni, dai parroci, dai messi comunali; «.i prezzi delle uve sono troppo bassi, così non possiamo andare avanti.». Tra facce diffidenti e continui ricordi di un brutto passato si era formato un primo gruppo, abbastanza convinto.
Si era mossa altra gente: il sindaco di un paese della Langa e un geometra che avevano già esperienze in costruzione di altre cooperative; anche Mollo, un vecchio socialista del partito dei contadini, faceva un po’ di propaganda, «.uniamoci.» continuava a dire; a Giorgio era simpatico.
Bossati aveva tenuto tre riunioni all’ispettorato ad Alba «.perché non andiamo ad Asti a vedere le cantine sociali?.» aveva detto qualcuno una sera.
Castiglione Falletto, 1958. Ormai alle riunioni vengono in molti, Giorgio è tra quelli più decisi, parla con molta gente, cerca di capire, pensa di aver intrapreso la strada giusta, qualcuno cambia idea. «.Dobbiamo fare un fronte comune contro la speculazione sui prezzi delle uve; se nel passato vi sono stati esempi brutti e non sempre l’associazionismo ha funzionato, oggi dobbiamo reagire, far qualcosa, per le nostre famiglie, per i nostri figli.».
A Santa Maria di La Morra c’è una riunione in casa del parroco, dei bambini guardano la televisione. Parla un anziano contadino di La Morra: «.mio padre dava le uve alla cantina sociale, quella vicino ad Alba, poi è fallita, ricordo che gli ultimi anni volevano pagare le uve in marenghi, ma nessuno li voleva, i contadini avevano paura.».
Giorgio va avanti. Ieri è stato alla curia di Alba dal vicario monsignor Gianolio. «.Il beneficio parrocchiale di Castiglione Falletto in località Uccellaccio possiede del terreno; siete disposti a donarlo?.».
A Cuneo si stanno avviando le pratiche, il credito agrario stanzierà i settanta milioni necessari. Ormai nella bassa Langa tanti parlano del maestro di Castiglione che «.cerca dei soci per una cantina sociale.».
«.Ma come ci pagherete? – è il commento ricorrente – qui a Monforte le uve delle buone posizioni si vendono bene ai particolari, siamo sicuri?.».
Gallo Grinzane, 1958-59. Hanno firmato in quaranta, l’ultima firma è quella di Giorgio. «.L’anno millenovecentocinquantotto alli otto del mese di dicembre in Gallo Grinzane in una sala del municipio in via Garibaldi. Avanti a me notaio Ferrero dottor Italo… Porasso Francesco nato a Monchiero l’otto luglio mille novecentouno… Veglio Giovanni nato a Serralunga d’Alba l’otto settembre milleottocentonovantasette…». Sono viticoltori di Castiglione Falletto, Serralunga, Monforte, Barolo, La Morra.
«.È fatta – dice Giorgio – iniziamo a lavorare per noi stessi.».
«.Non porteremo più le uve ad Alba – dice un altro – mio padre ha sofferto troppo in quel maledetto mercato in piazza Umberto.».
Mezz’ora dopo la prima riunione dei soci nel municipio del paese, si elegge il consiglio di amministrazione della nuova cooperativa, Giorgio è il primo presidente. Tutti erano d’accordo.
«.Abbiamo costruito le cantine dell’Asti Nord, abbiamo esperienza.».
«.Grazie – dice Giorgio, il tono è fermo – l’impresa la scegliamo noi.».
«.Lei è il presidente.».
«.Proprio per questo.».
Altri professionisti si fanno avanti, la curia di Alba ha donato il terreno, alla fine si sceglie un’impresa di Incisa Scapaccino. Il mattino del diciotto giugno 1959 si inizia, i muratori spostano i covoni del grano falciato qualche giorno prima. Giorgio sovente è con i muratori, discute, verifica, è molto parsimonioso, anche i soci vengono a vedere.
«.Pigieremo le uve ad ottobre?.» domandano.
«.Spero – dice Giorgio – ho mandato un giovane di La Morra ad Asti, frequenta la scuola per cantinieri.».
Oggi arrivano i primi dolcetti. «.Come prendete i gradi? Cos’è quel tubo?.». Giorgio cerca di spiegare, mentre Mauro, un giovane enologo, assunto per la vendemmia, legge sul mostimetro. Diciotto e mezzo.
«.Abbiam sempre venduto le uve senza gradazione.» dicono in molti.
Gli ultimi due piani delle vasche in cemento non sono ancora ultimati, si lavora in mezzo ai muratori, il cantiniere fa appena tempo ad abbonirle. «.Un anno fa si discuteva ancora, guardate oggi che fila di carri.» Giorgio è contento.
Mauro è preoccupato: «.le vasche sono quasi piene, si sono già riempiti diecimila ettolitri e l’uva continua ad arrivare.». C’è una riunione nella baracca in lamiera dei muratori.
«.Siamo pieni – dice il cantiniere. – Che facciamo?.». «.Aspettiamo qualche giorno, sviniamo, si fa un po’ di posto.». È sera, la riunione è finita, i soci escono dalla baracca, sulla strada per Alba transita ancora qualche carico di uva, qualcuno si ferma, guarda la costruzione.
«.Chi l’avrebbe detto? – fa Giorgio. – Ricordate i commenti e le critiche al momento della decisione? mediatori, commercianti, industriali, tutti contrari, in quanti ci hanno dato addosso.».
«.E le discussioni in famiglia – dice qualcuno – con la storia della responsabilità illimitata.».
«.Molti soci erano proprietari di molte giornate di vigna e si sono impegnati con la firma dell’atto costitutivo della cooperativa, a mia madre non ho detto nulla – dice Piero – presto ha saputo. Mi ha sgridato: Non dovevi diventare socio, tu hai visto ancora niente, non hai visto il fallimento Mirafiore con la gente che bisticciava per portare a casa un po’ di vino e tuo nonno sapessi quanto ci ha rimesso qui a Monforte proprio con la prima cantina sociale, tu non hai visto la gente piangere per l’uva.».
Castiglione Falletto, 1959-60. «.Abbiam pigiato duecentomila miria d’uva.», Giorgio è contento; centocinquanta soci hanno conferito per la prima vendemmia uva dolcetto, barbera, nebbiolo. Tutti hanno lavorato, turni per la pigiatura, per la svinatura, si voleva risparmiare sulla manodopera, Giorgio era il primo, ad aggiustare la pigiatrice, ad entrare nelle vasche, a spostare le pesanti gabbie dei torchi, al pomeriggio e alla sera.
Qualche imbottigliatore si è fatto avanti per acquistare del Dolcetto, inoltre la cantina ha trovato un ottimo contabile, si chiama Renato, viene da Roddino, è un pensionato della Riccadonna. Ieri è venuto a parlare con Giorgio. «.Qui dovrebbe esserci l’ufficio, ho fiducia in lei.».
Renato si mette al lavoro, manca tutto: carta, telefono, macchina da scrivere, non mancano le idee: «.perché non vendiamo il vino sfuso al sabato e alla domenica? la gente porta la damigiana, lo imbottiglia a casa, sono disposto a venire in ufficio anche se è festa.» conclude Renato.
Pagheranno le uve dolcetto cento lire in più della media del mercato di Alba.
Sono euforici, Giorgio l’altra sera lo ha comunicato al consiglio di amministrazione, per poco non piangeva. Il Barolo è già nelle botti di rovere. «.Ne parliamo tra tre anni.» ha detto Giorgio, nei soci ha visto un po’ di preoccupazione.
Giorgio e Renato sono a Cuneo alla Cassa di Risparmio, serve un prestito per pagare la prima rata. «.Andrò da tutti i soci a consegnare personalmente i soldi.» sono contenti, parlano delle loro famiglie, del futuro della cantina, continuano a parlare per molti minuti. A Fossano il motore si ferma: è mancata la benzina alla seicento, non hanno guardato il cruscotto.
Consegnano la prima rata, nel municipio di Monforte, c’è anche Piero, «.cento lire oltre la media di Alba, chi l’avrebbe detto?.» ripete uno della Bussia. Sono le 14, in quattro si guardano, «.sentite – fa Giorgio – a quest’ora le mogli non ci danno da mangiare, soldi della cantina non ce ne sono più, li abbian dati via tutti ma qualche biglietto nel portafoglio l’ho ancora, vi invito al ristorante, qui a Monforte.».
Castiglione Falletto, 1964. Continuano ad arrivare domande di adesione, soci ormai sono 400, nell’ultima vendemmia si sono lavorati 400.000 miriagrammi di uva. Ieri è arrivato il nuovo enologo, è il figlio di Renato, si chiama Dario.
Una sera Giorgio sta per rientrare a casa, sul sedile della macchina trova una busta, dentro un assegno di duecentomila lire. L’ufficio di Renato è illuminato «Tieni, versalo nelle entrate della cantina.».
«.Cosa metto?.» chiede Renato.
«.Contributo volontario.» dice Giorgio.
Lo scorso mese ha quasi litigato con il consiglio di amministrazione, i soci volevano che prendesse almeno un gettone di presenza. Niente da fare: «.quando ho accettato ho detto subito che non volevo nulla.».
«.Almeno prenda i soldi della benzina, con tutti i chilometri che fa.».
«Sentite, qui tutti avete dei figli, quello che ho mi basta, andiamo avanti. Renato e Dario sono veramente bravi e con l’aiuto di voi tutti spero di migliorare ancora, dicono che sono un po’ avaro, è vero, ma qui ci sono cinquecento famiglie. Ricordate la cantina sociale di Neive, quanti milioni a bilancio per l’acquisto di scope… e l’Asti Nord… avevamo iniziato da quella parte, ricordate le gite in pullman? Un fallimento completo, quanti debiti, quante famiglie sul lastrico, quanta rabbia. Tra noi non accadrà.».
«.Mi piace, brava Anna.». Il tavolo è coperto da disegni, Giorgio insiste su uno, c’è una foglia di vite, all’interno sono rappresentati i paesi dei soci della cantina: «.Sarà la nostra etichetta.» dice Giorgio. Alla debole luce della lampada Anna ritira i fogli. «.Grazie – dice Giorgio – mi aiuti in tutto, anche con le etichette.». Si ferma un attimo, guarda Anna, poi trova le parole: «.la cantina mi occupa molto, non posso essere mai a casa.». «.Poi ci sono tutti gli altri impegni.» dice Anna sorridendo. Lo scorso anno Giorgio aveva chiesto ad Anna di sposarlo.
«.L’avete sistemata la faccenda del nome? – chiede Anna – Cosa scrivo sulle etichette: Cooperativa tra i produttori Terre del Barolo?.», «.Sì – fa Giorgio – da Roma è arrivata l’autorizzazione. Ma quanti problemi nei mesi scorsi, qui in zona è quasi successo il finimondo.».
Dobbiamo deciderci, Dario e Giorgio guardano i disegni. È una linea di imbottigliamento automatica da tremila pezzi ora, «.ormai lo sviluppo delle cantine sociali va in questa direzione, e il mercato è pronto.». Dario parla dei nuovi impianti e dei risultati che si otterranno.
«.Ricordo i primi pintoni da due litri chiusi con la macchinetta, la cantina era nata l’anno prima.» dice Giorgio.
Castiglione Falletto, 1978. «.Ha molto lavoro domani?.».
Renzo ha capito, «.vengo volentieri.» dice a Giorgio. È il nuovo enologo, da un mese lavora nella cooperativa al posto di Dario ormai pensionato.
Giorgio è prodigo di consigli «.stia al peso per i primi giorni – gli ha detto in vendemmia – conosca bene tutti i soci, le uve che portano, da dove arrivano.».
Sovente vanno in giro a Torino, ad Asti, guida sempre Renzo, ultimamente Giorgio ha assunto molti incarichi, forse troppi. Riesce a fare il sindaco, il maestro, ed il presidente della cantina. Anna lo vede sempre meno, è rassegnata.
Il Barolo, dopo la conservazione in botte, trova acquirenti; ormai la vendita è diretta, senza mediatori, Renzo prende contatti con note aziende della zona, i prezzi sono interessanti. Una sera Renzo e Giorgio assaggiano un Barolo, viene spillato da una botte speciale, l’uva proveniva dalle Rocche di Castiglione Falletto, per la prima volta era stata vinficata separatamente. Giorgio continua ad osservare il vino nel bicchiere, poche parole, bellissime, Renzo non è mai stato così contento.
Giorgio era ambizioso con le sue uve, per tanti motivi: provenivano dalla cascina di suo padre e poi il confronto con gli altri soci lo gratificava. Da quando insegnava non poteva più lavorare la terra, aveva il mezzadro, costava molto, ma Giorgio era contento lo stesso.
Castiglione Falletto, 1987. Ancora qualche gradino, deve fermarsi. Accorre un cantiniere. «.È il cuore – dice Giorgio, cerca di sorridere – voglio salire, devo salutare i soci.», il respiro è difficile.
Pagavano le uve quel giorno di dicembre, la prima rata. Nel piccolo ufficio del primo piano della cantina due impiegate chiamano i soci, consegnano gli assegni. Giorgio è arrivato in cima alla scala, saluta tutti con voce sottile, i soci lo abbracciano.
Le prime avvisaglie del male erano arrivate due anni fa, il cardiologo del Santa Croce di Cuneo era stato categorico: «.non si è mai risparmiato.».
Giorgio aveva continuato come prima, ogni tanto prendeva qualche pastiglia, sovente guardava una foto appesa nel suo ufficio; era stata scattata a Cuneo, in prefettura, Giorgio stringeva la mano al presidente Pertini. Anna è preoccupata, non riesce a convincere Giorgio a stare un po’ a casa, a riposarsi. L’altra sera è andata a parlare con dei soci della cantina. «.Sarebbe opportuno farlo presidente onorario.» dice qualcuno.
«.Non accetterebbe.» dice Anna.
«.Il vino sta uscendo da un momento difficile, c’è bisogno di tutti.», continua a dire Giorgio.
Una sera di gennaio c’è una riunione a Barolo, al ristorante Brezza, ci sono molti produttori. Giorgio interviene. Alla fine, sulla piazza si fermano in quattro a parlare, c’è anche Giorgio. Fa molto freddo.
Un altro attacco al cuore. Giorgio non dice nulla, sale in macchina. La strada per Castiglione è lunga, troppo lunga, si trascina sui gradini di casa, suona il campanello. Sono le due, Anna stava aspettando, apre la porta.
Nella notte due persone si guardano, Anna ha capito.