Ho avuto la fortuna di conoscere molti enologi, in oltre cinquant’anni di professione, con i quali ho sempre avuto l’opportunità, aggiungo la fortuna, di capir meglio e anche di confrontarmi sul poliedrico mondo della vite e del vino.
Cito ad esempio Gigi Rosso e la sua innata e macroscopica passione per la viticoltura, Giuseppe Cavagnero, della Martini e Rossi, per me è stato il miglior spumantista italiano. Non dimenticando Renato Ratti, il creativo incompreso del Piemonte vitivinicolo.
Ma un enologo mi rimase impresso sin dai primi contatti, se non altro per l’originalità e la dimensione storica di quanto mi raccontava.
Oscar Mauro lo conobbi all’inizio degli anni ‘80 del secolo scorso. Mi impressionò la sua grande esperienza nella vinificazione dei nebbioli, ma mi incuriosirono subito tante altre cose.
Mauro parlava del vino a 360 gradi: del territorio langarolo, in quanto originario di Roddino, delle valli alpine cuneesi che conosceva alla perfezione, in quanto le percorse in tutti i sensi per traportare grandi quantità di vino.
Per questo era un’inesauribile miniera di informazioni riguardo tradizioni, usanze, aneddoti, personaggi e varia umanità. Dagli alpini della Cuneense in partenza, dalla stazione ferroviaria di Dronero, per il fronte russo nel 1941, ai carichi a basto dei muli per traportare due otri di vino nel pericoloso vallone di Elva.
Ho conosciuto la sua famiglia e dopo il suo decesso ho continuato i rapporti con i due figli: Rossana e Giuseppe.
Nel centenario della fondazione della cantina Mauro, giustamente desiderano ricordare il padre per quanto di importante ha lasciato a tutti.