Sta emergendo, nello scenario mondiale del vino, un nuovo concetto correlato alla qualità del prodotto.
“Certificazione etica” si potrebbe definire. Un termine, che gli imprenditori vitivinicoli dovranno conoscere.
Preciso che, in questi ultimi anni, in tutte le cantine c’è stato un forte interesse verso la cosiddetta “certificazione ambientale”, meglio identificata con il termine di “sostenibilità ambientale“.
Correlata alle scelte strategiche che si effettuavano, sia nel vigneto, che in cantina, per garantire il rispetto dell’ambiente. Non solo riferito a una gestione corretta dei rifiuti aziendali o dell’impianto di depurazione, ma anche e soprattutto nell’uso razionale delle risorse del territorio.
Obiettivo finale: garantire un prodotto “sano, buono, pulito”, prendendo in prestito uno slogan del movimento Slow Food.
Oggi la “certificazione ambientale” ha perso importanza per diversi motivi.
Tutti la applicano, quasi fosse routine: è logico perda d’interesse. Ma il motivo di maggiore rilevanza è diverso: non è facilmente controllabile la reale e concreta applicazione.
Si parte con slogan di alto profilo, metterli in pratica è tutt’altra cosa.
Oggi, come sopraddetto, il mondo del vino è orientato alla “certificazione etica”.
Due gli aspetti principali: il primo riguarda la correttezza dell’azione imprenditoriale. Estesa a 360 gradi. Intendo rifiuto del lavoro minorile, di quello irregolare, la correttezza verso i dipendenti, la scelta dei fornitori o dei mercati che sarà off limits verso paesi con regimi dittatoriali.
Sono scelte con cui deve confrontarsi l’imprenditore e sulle quali i consumatori prestano attenzione.
L’altra riguarda il giusto prezzo del prodotto esitato sul mercato: la tendenza del futuro è di avere vini di qualità assoluta chiamata oggi “totale” (obiettivo ormai raggiunto da moltissime cantine), ma a un prezzo accettabile. Ovvero a una cifra correlata ai costi di produzione, con un giusto margine di contribuzione.
Prezzi esagerati, correlati a niente o a elementi del tutto effimeri, ovvero a personaggi per nulla carismatici, a zone di recente, e magari discutibile vocazione, sono giudicati un controsenso da parte di molte associazioni di consumatori, soprattutto nel mercato anglosassone.
Sempre in tema “certificazione etica” ecco una bellissima esperienza vissuta in Alba, nel recente Vinum. Grazie all’interessamento di Antonio Bianco, presidente cooperativa resiliente per disabili fisici e mentali “Progetto Emmaus” di Alba.
Nella sala Beppe Fenoglio di fronte ad un pubblico attento e consapevole, ho avuto l’opportunità di presentare alcuni vini elaborati su progetti di solidarietà, da parte di gruppi del volontariato laico e cattolico.
La cooperativa “Progetto Emmaus” ha presentato tre “Arneis Roero DOCG Ottomani“, ottenuti in vigne del comune di Santo Stefano Roero.
La cooperativa agricola “Manovalanza“, di Canelli, ha presentato, quattro vini del territorio elaborati da soggetti coinvolti in progetti mafiosi. Oltretutto sono vigneti abbandonati e a rischio di degrado.
La cooperativa “Valelapena” di Alba ha presentato il vino prodotto dai carcerati, utilizzando varie uve della vigna del carcere di Alba.
Inutile aggiungere che la qualità di tutti i vini in degustazione guidata era ottima, ma il pubblico è rimasto umanamente coinvolto dagli interventi dei tre produttori.
Hanno ben evidenziato tutti i problemi e le difficoltà che incontrano carcerati, disabili o drogati. I “diversi” insomma, che offrono, volentieri e con entusiasmo, il proprio lavoro nel settore vitivinicolo.
Siamo al massimo della “certificazione etica”.