Renato l’innovatore, ma anche il precursore, sempre fuori dagli sche¬mi dell’establishment, troppo giovane nel 1943 per diventare capo parti¬giano magari in una formazione Giustizia e Libertà, troppo anziano nel 1968 per diventare leader in una delle tante università in rivolta.
L’intensa ed affascinante vita di Renato Ratti ricostruita nei momenti più significativi. Un piccolo gesto di riconoscenza per un grande per¬sonaggio.
Racconigi 1900. «.Deve andar via.». Il viso della madre superiora è duro.
«.Quest’ospedale vive col sussidio di tanti benefattori, di persone per bene, si rende conto di cosa ha fat¬to?.». Il dottor Francia continua a non capire, da dieci anni lavora come medico presso l’ospedale ci¬vile di Racconigi, non ha mai avu¬to problemi con i pazienti, perché dovrebbe andarsene?
«.Questo è un ospedale cattolico – insiste la madre superiora – lei è un medico, come può conciliare la sua professione con le sue idee? Lei ha sistemato le luminarie per il terzo centenario di Giordano Bru¬no, un eretico; ci risulta che lei sia amico di Andrea Costa, un socia¬lista! Lei deve andarsene, al più presto.».
Villafalletto (Cn), 1944. Davanti al portone della casa, Renato aspetta gli amici.
Nella polverosa strada principale di Villafalletto transitano alcuni auto¬mezzi con dei militari della guardia nazionale repubblicana, salutano.
Arrivano tre ragazzi. «.Giochiamo ai partigiani e repubblicani.» dice Gian¬carlo, suo padre è il medico del paese.
«.No, andiamo a pescare.». Vanno nel Maira a cercare i piccoli vaironi, li catturano con un retino, sotto le pietre.
Dopo mezz’ora Giancarlo chie¬de: «Dov’è Renato?.».
Guardano in giro. «.Eccolo, arri¬va.».
«.Cosa hai preso? Guardate, è al¬meno tre etti.».
«.Come hai fatto?.». Renato non dice nulla, continua a far girare il cavedano sotto gli occhi esterrefatti degli amici.
«.Bravo.», dicono tutti.
«.Ci vediamo domani a scuola.». Frequentavano la scuola elementare di Villa¬falletto, le famiglie erano molto amiche.
Un giorno Renato, a casa di Giancarlo, seppe perché abitava a Villafalletto. Suo nonno medico era di idee troppo libertarie, dovette la¬sciare l’ospedale civile di Racconigi, la condotta di Villafalletto era libe¬ra. Renato non fece molto caso, raccontò invece, subito dopo, la storia del pesce grosso pescato nel Maira. Glielo avevano regalato due pescatori, erano dietro un’ansa del fiume.
Mango 1950. «.Sei fortunato.».
«.Perché?.».
«.Balli molto bene.».
Renato ride, con Andrea è en¬trato di nascosto nel castello di Mango, una porta laterale era aperta. Andrea è un vero amico, da anni sta con Renato ad Alba, in collegio civico, frequenta il li¬ceo Govone.
«.Verranno?.».
«Hanno detto di sì, stai tranquillo, le conosco da anni, durante la guerra le loro famiglie erano sfollate qui, giocavamo insieme».
Renato spera che vengano. «.Dove balliamo?.».
«.Qui – dice Andrea – il salone è grande.».
«.Ho portato i dischi, guarda.».
«.Arrivano.».
Rimasero tutta la sera nel ca¬stello di Mango, due ragazzi e sei ragazze. Dovevano imparare a ballare, Renato insegnava i pas¬si e a muoversi seguendo la mu¬sica.
«.Domani andiamo in gita sino al pilone del Chiarle?.» chiese Andrea.
«.Va bene.», dicono le ragazze.
Alba 1952. «.Bravi! il giorno dell’Immaco¬lata Concezione, voi scappate dal convitto per andare a ballare, ave¬te scelto il giorno giusto, bravi.».
Renato e Andrea non rispon¬dono, riescono appena a guarda¬re il viso di don Mignone, il ret¬tore del convitto. Lo studio è buio, sopra la scrivania la scritta letta chissà quante volte: il mi¬glior collegio non vale una buo¬na mamma. Renato ed Andrea restano immobili, don Mignone cambia espressione, non dice nulla, non ne ha mai avuto biso¬gno.
«.Domani non vengo a scuola.».
Vicino all’Ampelio, gli studen¬ti del quinto corso dell’Enologi¬ca camminano a malavoglia, van¬no nelle vigne per le esercitazio¬ni di agraria.
«.Perché?.», chiede Renato; da quattro anni sono insieme in convitto.
«.C’è il compito scritto di italia¬no.» dice Renzo.
«.Domani ti siedi vicino a me, stai tranquillo.».
La prima ora di compito in classe, Renato fece il tema di Renzo; scriveva svelto, senza correggere nulla, la seconda ora fece il suo. Renzo lo ricopiò, ag¬giunse sei righe, l’insegnante le corresse dappertutto con segni bleu; sei meno fu il voto, un suc¬cesso per Renzo, ne parlò tutto il convitto.
«.Stia zitto.».
«.Dico quello che penso.». Tutta la classe è attenta al diverbio.
«.Lei è un presuntuoso.».
Renato era stufo di quell’ingiustizia, non si trattiene, dice al professore quello che si merita, il torto è palese.
«.Ci vediamo a settembre.», dice l’insegnante di costruzioni.
Nell’intervallo Renato fece la caricatura di quel professore sulla lavagna. Gli piaceva disegnare, era velocissimo nei ritratti, tutta la classe rideva; venne il bidello, rise più degli altri.
Alba 1955. «.Vuoi andare in Brasile?.». In via Maestra, ad Alba, gli amici che accompagnavano Renato si avvicinano.
«.Non capisco.».
«.Sì – dice Gigi, un enologo di Alba – vuoi andare in Brasile al mio posto per la Cinzano?.».
Qualcuno scherza: «.Renato, ti piace fare il giramondo.».
«.Ti dico qualcosa.».
Il giorno dopo Renato telefo¬na a Gigi: «.Mi interessa.».
«.Ne parlo domani a Santa Vittoria, può darsi che ti facciano fare un po’ di esperienza in Italia prima del viaggio.», fa Gigi.
«.Sarei contento.», dice Renato. «.Magari lavoriamo un po’ in¬sieme.».
Genova 1955. Dal ponte della Giulio Cesare Renato scruta verso terra, il por¬to con i suoi confini lo tranquil¬lizza, il mare nella sua dimensio¬ne indefinita gli mette paura.
Dove sarà tra quindici giorni? A ventun anni ha deciso per una scelta che cambierà la sua vita.
Renato appena diplomato era andato a lavorare a Canelli da Contratto, un’esperienza interes¬sante per un giovane enologo, aveva conosciuto molta gente, mangiava e dormiva in una trat¬toria con Alberto e Luciano, due enologi, uno lavorava da Robba, l’altro da Giovanni Bosca, la ca¬mera era senza riscaldamento. Al lunedì mattino partiva in Vespa da Mango, giù per la piccola strada di Camo, era inverno, pa¬tiva il freddo.
Non rimase molto a Canelli; qualche mese, poi una sera in via Maestra ad Alba incontra Gigi, ricorda come fosse ora: «.Vuoi andare in Brasile?.». Iniziò così.
La partenza non è stata facile, dovette risolvere molti problemi, all’inizio ebbe una discussione con il capo del personale: «.Come? La Cinzano manda in giro per il mondo un suo tecnico con questa cifra? Non vi vergognate?.».
Raccontò ai suoi amici in la¬boratorio l’episodio. «.Quà lo li¬cenziano.», fu il commento di qualcuno. Il giorno dopo la cifra fu raddoppiata.
Ricorda anche l’ultimo saluto a Mango ai suoi amici: quante bottiglie aperte… ritornano in Alba in quattro: Umberto, Gigi, Carlo e Renato.
In una curva alla frazione Trestelle la macchina va fuori strada. Tutti a casa a piedi alle due di notte.
Brasile 1955. Nello stabilimento Cinzano a San Paolo lavorano molte persone, producono vini, vermouth, li¬quori. La ditta possiede anche una fazenda a Mailasqui a sessan¬ta chilometri da San Paolo.
Renato scrive ad Alba, a Gigi. Gli racconta un brutto episodio: andava a cavallo, sul fosso di una strada vede una vecchia in una strana posizione; si avvicina. È morta da qualche giorno, Renato non capisce più niente.
Arriva al villaggio vicino, è pie¬no di campesiños: «.Chi è quella donna?.».
Nessuna risposta. Prende dei cruzeiros, convince qualcuno. «.Stasera la seppelliamo.», gli assicurano.
Brasile 1960. «.Come? Le viti qua nel sertão? Scherza? Mai viste, non vengono, manca l’acqua, fa troppo caldo.».
«.Non sono d’accordo – dice Renato, con lui c’è il dottor Moratti della Cinzano –. Il caldo non è un pro¬blema, avremo due raccolti, per l’acqua ho in mente un progetto. Ascolti: ho anche scritto a tecnici israeliani.».
Il dottor Moratti ascolta, alla fine esclama: «.Lei è matto.».
Le ruspe hanno terminato da alcuni giorni, Renato è soddisfat¬to: la rete idrica è completa, una complessa struttura di canali che prenderà le acque dal fiume São Francisco per riversarle negli im¬mensi vigneti che verranno impiantati nelle vicinanze.
Il dottor Moratti ha ricono¬sciuto che aveva ragione. «.Bravo.» ha detto. Renato ha le idee chia¬re: perché andare a prendere le uve nel Rio Grande do Sul a mi¬gliaia di chilometri? Produrrà qui migliaia di quintali di uva Angeli¬ca, due vendemmie l’anno; i cen¬tri di vinificazione saranno vicini ai vigneti, ci sarà lavoro per tanta gente.
L’altro giorno si è scontrato con un ricco proprietario terriero. Si trovava nel Pernambuco, in una fazenda di proprietà della Cinzano; aveva assunto dei cam¬pesiños per dei lavori agricoli sta¬gionali, accordando la paga mini¬ma prevista dai contratti. Era sta¬to subito richiamato dal ricco fa¬zendero confinante. «.Qui le paghe le decido io.».
All’inizio Renato aveva repli¬cato, poi tra una parola e l’altra aveva anche sentito «comunista»; aveva subito smesso di di¬scutere.
«.Penoso.», diceva tra se.
Alba 1961. «.Come? Un alloggio?.».
«.Compera delle uve, cosa ne fai di un alloggio?.». Gigi e Renato stanno discutendo da mezz’ora.
«.Ho avanzato dei soldi in Bra¬sile, sono i risparmi di tanti anni di lavoro, voglio lasciarli in Italia, cosa ne faccio?.».
«.I soldi sono tuoi – continua Gi¬gi – se vuoi un alloggio cerca qual¬cun altro; se invece vuoi acquistare dei nebbioli ti dò una mano volen¬tieri.».
«.Come farai? Dove li pigiamo? E il vino?.». Gigi guarda Renato, cerca di capirlo. «.Senti, siamo amici da quanti anni?.».
«.Da sempre.», fa Renato.
«.Lascia fare a me, per le uve penserei a Serralunga. Giacolin conosce tutte le vigne; per la canti¬na parlo con Bruno a Neive, qual¬che botte spero ce la lasci.».
Renato riflette, Gigi lo guarda impaziente, poi si decide. Firma un assegno: «.Tieni: sono quattro milioni, non voglio ricevute.».
«.Quando parti per il Brasile?.».
«.Tra una settimana.».
Renato e Gigi si salutano, co¬me tante altre volte, senza parole.
Brasile 1964. Tutte le radio, un solo an¬nuncio, da stamani c’è il coprifuoco, il governo Goulart si è dimesso, i poteri sono nelle ma¬ni del nuovo presidente Kruel. Un colpo di stato.
Renato non ha dubbi: una bat¬tuta d’arresto dopo tanto entusia¬smo per il lavoro, come sarà il futuro? Dovrà tornare in Italia?
Alba 1965. Da qualche anno Renato cerca il suo castello, vuole mettersi in pro¬prio, per fare il vino a modo suo. In Francia ha visto molte cantine, c’è molto da cambiare, qui, nella Langa.
Va a Gorrino in alta val Bormi¬da; un bellissimo castello, ma è troppo fuori mano. A Roddi invece ci sono mille problemi con l’ufficio del registro. Un giorno un vecchio di La Morra dice: «.C’è l’abbazia dell’Annunziata, è mal ridotta.».
Le cantine sono ampie, «.del 1400.» gli dicono. «.C’è tanta storia tra queste vecchie mura, potrebbe es¬sere interessante farci una cantina – dice Renato – le vigne intorno sono stupende.».
«.Marcenasco.» gli dice un sacer¬dote della Curia al quale si rivolge per sapere qualcosa sull’edificio in stato di abbandono. Renato pensa all’impegno dei religiosi nei primi secoli per salvare la vite, «.Marcena¬scum è riportato su documenti del 1400; se le interessa c’è una tesi di laurea sulla chiesa albese dalle origi¬ni al 1300.».
Renato è contento: un’abbazia dove molti anni prima umili frati coltivavano la vite, facevano il vino, riuscirà a continuare? I due nipoti, enologi, lo aiuteranno.
La Morra 1965. Renato gira tre, quattro volte la bottiglia tra le mani, il primo Barolo. Ricordi di persone, di avveni¬menti si accavallano. Adesso il vino è lì tra le sue mani, Bruno a Neive ha fatto un grande lavoro.
Quale sarà il suo prezzo? Da tempo Renato ci pensa, sarà ade¬guato al valore del vino? «.Mille lire alla bottiglia.».
«.Come? sul mercato il prezzo è sulle cinquecento lire, anche quello dei grandi barolisti, molto conosciuti. Stia attento.», gli dice un noto risto¬ratore.
«.Mille lire – insiste Renato. – Sia¬mo inferiori a chi nel mondo?.».
«.Cosa ne fate adesso?.». I contadi¬ni non rispondono; da pochi minuti è finita a La Morra la sagra dell’uva.
«.Li riportiamo a casa.», rispon¬dono a Renato. Sul pavimento ci sono vecchi attrez¬zi, presi qua e là nelle cascine, anche Renato aveva chiesto ad amici contadini a Villafalletto. Ci sono vecchi fusti per vino, bottiglie nere pesanti, stadere, una piccola culla, dei gio¬ghi per buoi e altre cose.
«.Mi interessano, comprerei tutto.».
«.Gliela regalo.», fa uno di Novel¬lo.
Ci sono anche vecchie bottiglie di Barolo con le etichette scritte a mano. Renato pensa all’Annunziata sotto la vecchia abbazia, un museo della civiltà del vino, vicino alla can¬tina e alle botti, da far vedere a tutti.
I contadini salutano.
Milano – Alba – Asti 1980. È rimasto male. Nell’affollata sa¬la delle conferenze della Fiera Cam¬pionaria di Milano la gente com¬menta i risultati.
È appena terminata la votazione del rappresentante dell’Ordine Na¬zionale As¬sag¬giatori Vino in seno al Comitato Nazionale per le Deno¬minazioni d’Ori¬gine. Renato era convinto di farcela, sulla carta con¬tava su un voto in più rispetto al quorum previsto per l’elezione; nel¬la passata gestione aveva fatto un buon lavoro. Invece non ce l’ha fat¬ta, gli è mancato un solo voto.
«.Perché non ti sei votato?.» fa pre¬sente qualcuno.
Renato sorride: «.Mai!.», risponde.
Qualche mese dopo in Alba nella sede del Consorzio del Barolo Re¬nato si sfoga: «.Non posso continua¬re: qualsiasi cosa propongo, nascono difficoltà, incomprensioni, ostacoli.».
«.Come si fa a costruire qualcosa per il vino, per il territorio.», ac¬canto a lui il presidente di una piccola cooperativa del Barbare¬sco.
«.Per quale motivo il consorzio non deve gestire la normativa prevista sui controlli dei vini doc e dogc? Sarebbe la sede più logica, abbiamo il labora¬torio, i locali per la degustazione, esi¬ste uno staff tecnico. La scorsa setti¬mana ho indetto una riunione, i produttori hanno detto sì, eravamo tutti d’accordo. Mi sono dato subito da fare, tutto inutile, sembra che tut¬to passi alla Camera di Com¬mercio di Cuneo. Non potevano dirlo subito? Quali pressioni ci sono state?.».
«.Che intenzioni hai? Vuoi andar¬tene?.».
«.Non so.» – fa Renato. – La Langa mi attrae, ma bisogna anche poter lavorare, penso di dedicarmi sempre più al Consorzio dell’Asti spumante. In settimana vedrò un industriale di Canelli.
Castiglione Falletto 1985. Renato si è fermato nella canti¬na di Gigi, si sie¬dono sui gradini di ingresso. Parlano. «.Sono arrabbia¬to, arrivo da Torino, non si trova l’intesa sul prezzo dell’uva moscato, da anni cerco di mettere d’accordo le parti per definire un accordo in¬ter-professionale che fissi prezzi e mo¬dalità di conferimento.».
«.Ci riuscirai, sei testardo, quante cose hai fatto da quando ci conosciamo.».
«.Dai banchi di scuola.», fa Re¬nato.
«.Chi l’avrebbe detto: una nuova bottiglia per i vini albesi, hai di¬retto i consorzi del Barolo e dell’Asti spumante, hai elaborato le cartine delle sottozone del Barolo e Barba¬resco. Quanti libri hai scritto? Hai anche ideato un bic¬chiere per l’assaggio, Piemonte lo hanno chiamato. Per non parlare della cantina dell’Annunziata.».
Renato lo interrompe: «.C’è mio nipote, quasi dagli inizi, il maggior lavoro in cantina è stato suo. Resta molto da fare: bisogna pensare alla seconda doc per il Barolo, o forse ad una nuova grande doc per le Lan¬ghe, ma quanto tempo ci vorrà?.».
La Morra 1988. Da un’ora, Renato non si stacca dalla finestra, osserva. Quanti vi¬gneti, percorsi tantissime volte, da solo e in compagnia, per guardare i grappoli, uno per uno, per fare tanti commenti, con Genesio, il suo amico più caro di La Morra, percorsi di giorno con i suoi due figli per i primi insegnamenti, percorsi da solo, in silenzio, per tanti pensieri sul lavoro e sulla famiglia.
Renato continua a guardare, là c’è Fontanafredda con i grandi vi¬gneti di nebbiolo, a destra c’è Casti¬glione Falletto con la torre, ma l’oc¬chio cerca le cascine, le strade, le piccole cose, ognuna un ricordo, un avvenimento, qualche conoscenza.
È iniziata la vendemmia, Re¬nato non è sul posto come nel 1954 da Contratto o come lo scorso anno a Torino per decisio¬ni importanti, ma è lo stesso in vendemmia, partecipa più di pri¬ma. Non con le gambe e le brac¬cia, non potrebbe. Immagina sol¬tanto filari assolati e tini in fer¬mentazione, vuole essere coinvol¬to nella fatiche e nelle tensioni dei lavori vendemmiali.
Renato osserva il paesaggio. Che annata! I nebbioli saranno grandi. Ha voglia di vedere, di toccare i grappoli di uva.
L’ultima volta che è andato al ristorante, è rimasto contento: si era fermato a mangiare da Enza, alla Trattoria del Ponte di Gallo Grinzane. Non aveva chiesto nul¬la di particolare, solo la frutta. «.Voglio due grappoli di moscato.».
«.Non ci sono.», disse Enza.
«.Voglio del moscato.», Renato insiste.
Enza inizia a capire. Va al te¬lefono, cerca un parente a Serralunga d’Alba: «.Senti, hai ancora del moscato?.».
«.Sì, nelle cassette, vengono a ca¬ricarlo stasera.».
«.Per favore porta subito giù una cassetta.».
«.Perché?.».
«.Non posso spiegarti, portala giù, svelto.».
Quel pomeriggio alla trattoria del Ponte del Gallo i clienti di passaggio videro una persona di mezza età, seduta sola al tavolo, tenere a lungo in mano dei bellis¬simi grappoli di moscato, gli acini erano piccoli, dorati. L’uomo non parlava, non staccava gli oc¬chi dall’uva e nessuno riuscì a ca¬pire cosa facesse.