Quando nacque il primo Barolo?
Domanda troppo generica, pertanto senza risposta.
Proviamo a riformularla.
Quando iniziò a diffondersi un vino con il nome preciso e univoco “ Barolo” e con i caratteri organolettici abbastanza definiti?
In questo caso la risposta è complessa, ma possibile.
Proviamoci.
Purtroppo manca quasi completamente la memoria orale in merito. Nessuno l’ha raccolta nel secolo scorso.
I documenti storici esistenti in vari archivi chiariscono e completano alcune questioni, su altre resta il mistero.
Come inizia la storia del Barolo? Come fu vinificato? Da chi e in quali cantine?
Iniziamo dal nome del vino: Barolo
Le citazioni sui documenti d’archivio sono abbastanza recenti se paragonate a quelle dell’uva.
Il nebbiolo si trova in un elenco dei “Vini fatti d’ordine dal Castellano di Rivoli “ del 1268. E’ chiamato “Nibiol“.
Invece per il vino Barolo occorre arrivare al 1751. In quell’anno il nome “Barol” compare in documenti commerciali inglesi.
Nel 1820, in un manoscritto del conte Giorgio Gallesio di Pomologo Ligure è citato il “Barolo giudicato migliore del Nizza”.
Altri autori (De Bartolmeis-847-Casalis- 1834) prendono in considerazione i vini prodotti nei comuni di Barolo e dintorni, ma per questi documenti resta un dubbio relativo ad una possibile confusione tra i ”vini di Barolo” ovvero prodotti nel comune di Barolo e magari ottenuti con uvaggi diversi e il vino” Barolo”, vero e proprio, ottenuto esclusivamente con uve nebbiolo.
Per quanto riguarda la nostra ricerca la prima citazione certa e chiara di vino “Barolo” è riferita all’anno 1865. Si trova in un elenco di vini presenti nella tenuta reale La Mandria (AST, sez. riunite, Reale casa, cartella n. 2.756).
Si tratta di vino ottenuto nelle cantine reali di Pollenzo, con uve Nebbiolo della vigna di Barolo, un possedimento di casa Savoia.
Sec.XVIII – Tentativi a vuoto
Tra il 1751 e il 1865 passa oltre un secolo. Cosa è successo?
Iniziamo a ripercorrere la nostra storia.
Il nome “Barol” è citato, nel 1751, in un carteggio tra l’inviato Piemontese alla corte inglese e funzionari dello stato di Sardegna.
Carlo Perrone di San Martino propone di inviare a Londra ben 200 botti di vino Piemontese. Si prepara la spedizione via mare dal porto di Nizza, ma va tutto storto.
I vini acquistati non erano il massimo, poi si usano botti di castagna, ma al posto del rovere, non si aggiunge al vino, come consigliato da commercianti inglesi, acquavite secondo usanze Portoghesi. Non è finita: alcune botti sono fatte galleggiare sul mare, anziché imbarcarle. Facile immaginare come sia arrivato il vino a Londra, infatti non piace.
Una seconda spedizione va peggio: infatti, si mettono casse di agrumi sulle botti di vino. Le arance ovviamente vanno a male, il vino diventa cattivo, ect, ect.
L’ipotesi di un boicottaggio non è poi così remota.
La strada tra Torino, Cuneo e Nizza
Ma gli inglesi non desistono e inviano due commercianti alla corte Sabauda a Torino, certi Voodmas e Clies. Siamo nel 1766. Sarebbero 24 le zone pregiate Piemontesi i cui vini interessano i due commercianti inglesi. “ Barol, Serralongae, Verdun “ per le Langhe.
Per prima cosa insistono per la costruzione di una strada adatta tra Torino, Cuneo e Nizza; allora era una semplice mulattiera.
Ma il Re tentenna, le finanze sono scarse, per ora si fa nulla. Grosso errore politico. All’Inghilterra interessavano i vini Piemontese in quanto le importazioni dal Portogallo ponevano grandi problemi.
Non si approfitta di una situazione molto favorevole. Piemontesi “bugia nen”, e aggiungo, subito, guidati da un’aristocrazia, chiusa in vecchi privilegi e per nulla aperta alle visioni internazionali.
Finalmente nel 1780 si decide per la strada tra Torino, Cuneo e Nizza.
Ma si è atteso troppo.
Sono passati 15 anni dalla prima spedizione, lontano da Torino altri agenti inglesi convincono i viticoltori Siciliani a mettere un po’ di acquavite nei loro vini bianchi.
Nasce il prototipo Marsala, piace e sopratutto è subito spedito.
E’ un enorme successo.
Il “Barol” attenderà ancora oltre un secolo per potersi affermare.nota 1
Sec. XIX – Innovazioni tecniche
Ma la nascita del Barolo è indubbiamente correlata alle profonde e significative tra formazioni ed innovazioni che hanno coinvolto il settore vitivinicolo piemontese nella prima metà dell’ottocento.
Due personaggi di rilevo operarono nella zona di produzione del Barolo e misero a punto, ambedue, alcune innovazioni nei processi produttivi: il generale Francesco Paolo Staglieno e l’enologo francese Louis Oudart.
Furono presenti sia a Verduno – presso i possedimenti acquistati con il castello dal Re Carlo Aberto di Sardegna- che a Grinzane nella tenuta del Conte Camillo Benso di Cavour.
Come riportano Berta e Mainardi nell’imponente ” Piemonte – storia regionale della vite e del vino ” riferendosi alle cantine del castello di Grinzane Cavour “…. “ nell’inventario di inizio anno del 1847 si trovano in cantina sia il vino alla Staglieno sia il vino alla francese”- leggi Oudart, ndr.
Possiamo dire genericamente che intorno al 1830-1850 in alcune cantine si ottiene dalla vinificazione dell’uva un vino rosso diverso e particolare.
Riporta il Fantini: “Il Barolo comincia allora a farsi conoscere, ma era prodotto a casaccio).
Erano in voga i vini dolci e i proprietari ritardavano la vendemmia per lasciare maturare le uve o quasi appassire le uve di Nebiolo… In talune località si facevano persino appassire nel forno come praticano alcuni ancor oggi per certi vini da dessert»nota 2.
Pertanto il vino Barolo in Langa era, probabilmente, ottenuto nella tipologia rosato e dolce, la nuova tendenza fu quella di produrre un vino diverso, secco, con più colore e soprattutto adatto ad un certo invecchiamento.
Gradualmente nasce il capostipite dell’attuale Barolo.
Ciò fu possibile, in quanto si pigiava l’uva prima che iniziasse il processo fermentativo, di fatto tutto il processo della vinificazione era più controllato, in particolare le temperature, i tempi di lavoro e il momento della svinatura.
In realtà le innovazioni piu’interessanti furono adottate dal generale Staglieno nel podere reale di Pollenzo. Comprendeva 4 tenute, a Verduno, Roddi, Santa Vittoria e Pollenzo con campi, prati, colture cerealicole e vigne.
La superficie vitata era di 173 giornate Piemontesi, a Pollenzo c’era una moderna cantina con vinaia e bottiglieria.
Il re di Sardegna chiamò il generale a dirigere la cantina.
Subito furono avviate pratiche innovative sul piano enologico: diraspatura (per quanto possibile, mediante un’apposita tavola), igiene, follature, fermentazione in tini chiusi, charifica e solforazione.
Il generale non solo attuò dette pratiche, ma scrisse pure un testo sull’”Istruzione intorno al modo di fare e conservare i vini in Piemonte”.
In sintesi grazie a Staglieno la cantina e soprattutto il processo fermentativo fu razionalizzato.
Nacquero in Piemonte i primi vini secchi e limpidi, prototipi del futuro Barolo.
L’applicazione più importante di Staglieno fu l’utilizzo della macchinetta di madamoiselle Gervais: si trattava di un dispositivo metallico sistemato in cima al tino, in grado di lasciare sfiatare il gas in eccesso, impedendo il contatto con l’aria e quindi una possibile acescenza, inoltre parte del gas carbonico era tramite acqua condensato e rimesso nel tino.
Note – bibliografia – Fonti archivistiche
1 I fatti relativi al sec XVIII sono stati oggetto di una minuziosa e interessante ricerca di Claudio Rosso, professore dell’università di Torino. Pubblicata su “Vigne e vini nel Piemonte moderno” a cura di Rinaldo Comba – Ed. Famija Albeisa – Arciere 1992.
2 P.Berta e G. Mainardi op. cit.- Ed.Unione vini 1996.
Crediti Foto: lubats