IL GUSTO
Un settore dell’industria enologica di grande interesse? L’analisi sensoriale senza dubbio.
Solamente quindici anni fa, l’attenzione era soprattutto per l’analisi chimica; nelle cantine i laboratori si attrezzavano, i vecchi distillatori e gli acidimetri venivano sostituiti dall’analisi strumentale .
Oggi gli sforzi sono, a trecentosessanta gradi, orientati alla degustazione: dalla fisiologia dei sensi, all’utilizzo di appropriati e migliori strumenti, oppure all’ elaborazione dei risultati, con l’ausilio di nuove schede, di nuovi descrittori.
Cambia anche il lessico, diventa più chiaro e preciso anche con l’ausilio della statistica informatica.
Abbiamo visto nell’ultimo numero dei “Vignaioli piemontesi” che oggi in molte cantine è operativo il PANEL; al grande naso ed al palato dell’esperto professionista, si sostituisce il giudizio complessivo, oggettivo ,non emotivo, non condizionato di un gruppo d’assaggio detto appunto panel .
Da questo numero per quattro volte puntiamo i riflettori sulle novità vere e proprie dell’universo dell’assaggio in genere o volendo dell’analisi sensoriale.
In modo informale e fuori dagli schemi, sempre correlato all’esperienza pratica in cantina oppure nell’assaggio professionale.
Iniziamo dall’ultimo lavoro del compianto professor Luciano Usseglio -Tomaset, direttore dell’istituto sperimentale di enologia di Asti: dimostrare, anche a seguito di ricerche sperimentali francesi, che i diversi acidi in soluzione nel vino, non fanno differenza sul piano organolettico, a pari valore di PH e di potere tampone. Sinora sfogliando i sacri testi abbiamo sempre imparato che l’acido tartarico, al gusto, era il più cattivo ,in gergo “dava durezza al vino”, il malico era considerato migliore, con un gusto più” fresco”, ancor meglio il lattico considerato” un acido rotondo e grasso”.
Non è così! Gli acidi in soluzione hanno lo stesso gusto e danno all’assaggiatore la stessa sensazione organolettica. Varia ovviamente l’intensità del gusto, a seconda della quantità di ioni idrogeno che detti acidi liberano, ovvero al valore del ph , a sua volta condizionato dal potere tampone , ma la natura specifica dell’acido, ovvero tartarico o malico è ininfluente .
Inoltre la quantità di sostanze acide presenti nel vino è solo un elemento che concorre alla valutazione dell’assaggiatore, non conta insomma il ph del vino, ma il ph che si verrà a formare nella cavità orale, ma qui interagiscono ben quattro elementi : ph del vino , quantità di saliva, stato generale dell’assaggiatore, temperatura.
Un vino assaggiato dopo pranzo , quando la salivazione è abbondante dà una sensazione acida meno forte . Un vino assaggiato ad alta temperatura dà sensazioni acide più elevate .
Un altro luogo comune è crollato : Per decenni i sacri testi sulla degustazione ad iniziare dalla fondamentale opera “Il gusto del vino “di Emile Peynaud, hanno evidenziato la diversa risposta delle papille gustative della lingua ai quattro sapori semplici ; un famoso disegno ,ripreso da tutti ,evidenziava una precisa topografia ovvero dolce sulla punta della lingua , acido-salato sui bordi , amaro in fondo ,ect ect .
E cosi? Sembra di no!
Ad un recente corso per docenti corsi Onav ( Ordine Nazionale Assaggiatori Vino ), il prof.Castino, per molti anni direttore della sezione di tecnologia dell’Istituto Sperimentale di Enologia di Asti, ha espresso molti dubbi in merito .
Non esisterebbe nelle papille gustative ” sensibilità specifica ai quattro sapori fondamentali “, anzi nello spazio gustativo del singolo assaggiatore c’è un continuo rimescolamento di sapori, in quanto le fibre che compongono le singole papille sono reattive verso stimoli molto diversificati ed in maniera poliedrica ( 1).
Ma sono solo quattro i sapori elementari : dolce, acido, amaro, salato ?
Dal Giappone è arrivato il quinto ovvero UMAMI dal sapore agrodolce paragonabile a quello dei dadi di brodo.
E’ un sapore ben presente nella cucina orientale , ricca di sapori molto complessi
Un cuoco lo associa a tre sali glutammanto sodico, inosimato disodico e guanilato sodico.
Sono contenuti in molti prodotti naturali : soia , alghe , funghi essicati , piccole sardine .
Con abili preparazioni vengono mescolati e abilmente lavorati in alcune ricette che esaltano in modo particolare questo quinto e intenso sapore.
Un altro problema : le sensazioni di amaro ed astringenza correlate alla presenza dei polifenolli – leggi tannini- nei vini rossi .
Da tempo è nota la distinzione tra tannicità ed astrigenza, ormai non si mette in relazione la quantità di tannini espressa in grammi litro al sentore di astringenza ed amaro in bocca. Occorre infatti considerare lo stato di condensazione di detti tannini, ovvero la grandezza delle catene
molecolari che si sono formate : se di livello medio la sensazione di astringenza aumenta, con catene molto grandi invece diminuisce .
Incide ovviamente la temperatura, per questo motivo un Barolo, un Medoc si assaggiano a 18-20 gradi.
Ma il discorso è più complesso.
All’università di Davis ,in California ,un gruppo di ricercatori coordinato dalla dott. Anne Noble, studia il problema amaro-astringenza, in tutte le sue componenti.
In particolare si valutano il ruolo della saliva , dell’alcol , dei colloidi che interagiscono con i tannini , oppure i rapporti tra astringenza e fluidità del vino.
Forse si potrà dire una parola chiara su una terminologia di cui abusano molti giornali sti in “una certa letteratura di divulgazione ” e della quali sinceramente è difficile capirne il significato: mi riferisco alla divisione dei tannini in “classi” ovvero” tannini dolci , oppure amari , oppure acidi” .
Esistono veramente?
Emerge anche un’ altra tendenza: mascherare l’astrigenza .
In futuro sostanze particolari, esempio mannoproteine o polisaccaridi immessi nel vino interagiranno sulla saliva, rendendo la lingua meno sensibile all’azione dei tannini.
Questione delicata, molto, tanto è vero che per il brevetto per le mannoproteine, in Francia , è nata una grande querelle tra i ricercatori dell’Inra-Civ di Montpellier ed una nota multinazionale.
Qualcuno riflette: quale limite debbono avere le biotecnologie?
Per finire, un accenno ai famosi archetti o lacrime che si formano sulla superficie del vetro roteando il vino nel bicchiere.
Per decenni decantati quali simbolo di potenza, calore, corposità del vino.
Ecco un vino ricco di alcol, estratto glicerina dicevamo tutti.
Così un testo che avrà sempre valore: il Marescalchi .
Circa venti anni fa contrordine! No! La glicerina non c’entra nulla , è solo l’effetto Marangoni , è solo l’alcol che evapora, basta guardate un cognac.
E’ veramente così ?