17 LUGLIO 1944. “BOTTINO DI GUERRA” NELLE CANTINE GIACOMO BORGOGNO DI BAROLO
“Vino e guerra”: quante volte ne ho parlato nei “Racconti del vino”?
Nella ricerca di testimonianze e di avvenimenti particolari, il periodo bellico relativo alla seconda guerra mondiale è sempre presente nella memoria orale degli intervistati: la drammaticità degli eventi, il coraggio delle persone, oppure i semplici gesti che possono diventare, secondo le circostanze, “tragici o gloriosi”, rendono pieno di significati e di interesse quel particolare momento.
Il potente esercito tedesco non riesce a scalfire la solidarietà di un intero paese: a Santa Vittoria d’Alba tutti sanno, ma nessuno parla di quel milione di bottiglie di spumante, nascoste in una grotta murata nelle ottocentesche cantine Cinzano, che non deve assolutamente finire in Germania. (1)
A Bordeaux c’era più finesse: perché mandare a Berlino un premier cru Haut Medoc? L’etichetta, questa sì! Ma dentro la bottiglia un normale vin de table. Era ben risaputo che i gerarchi nazisti erano astemi, oppure pessimi bevitori.
Un’altra leggenda racconta che il Beaujoloise nouveau sia nato proprio in quegli anni, nella Francia occupata di Vichy: occorreva infatti vendere il vino presto, prestissimo, onde evitarne il sequestro per motivi bellici da parte delle forze di occupazione tedesche; pertanto ogni procedura o innovazione per accelerare l’evoluzione del mosto–vino era benedetta e soprattutto funzionale.
Si racconta che, nei primi giorni del 1941, quando un maresciallo della Whermacht – pare eccellente conoscitore di vino – si presentò in quel di Macon (Borgogna), all’ingresso della cantina, con tanto di damigiane al seguito, la madame, per nulla intimorita, disse semplicemente, con ironia “rien ”.
La drammatica razzia di 240 casse, ognuna contenente ben cinquanta bottiglie di pregiato Barolo 1935, dalle cantine Giacomo Borgogno, in quel 17 luglio del 1944 a Barolo, ancora oggi è ricordata come l’episodio più rilevante in Langa.
È una storia vera.
30 giugno 1944. Spari alle finestre
I falò sono accesi da mezz’ora, il crepitio delle fiamme rompe il silenzio della notte, i partigiani sono in attesa; sul bricco della collina di San Giovanni, a pochi km da Barolo, gli sguardi si incrociano.
“Speriamo che stanotte lancino; la stazione radio mobile, sistemata alla cascina Torretta di Mango, ieri sera ha ripetuto per due volte -la lepre arriva-, il messaggio in codice atteso da mesi”, dice il capo.
Un rumore, dapprima appena avvertito, sale di intensità, diventa assordante, i Lanchester stanno arrivando, si intravedono due bimotori nel chiarore lunare. Calano lentamente i paracadute con i sacchi, velocemente i partigiani di “Rupe” prendono in consegna il materiale, spengono subito i falò, i carri trainati da buoi sono pronti, porteranno tutto al comando situato a villa Querciola, un bell’edificio alla periferia di Barolo; per ironia il proprietario è un colonnello della Repubblica sociale italiana.
Tutti sperano nei nuovi Sten e in qualche cassa di munizioni.
Pochi giorni dopo arrivano in paese i tedeschi: un reparto della Whermacht diretto a Bra, prende per errore la strada per Barolo, sono tre camion. All’inizio del paese i partigiani li avvistano, sparano subito: poche raffiche, forse per paura, nessun tedesco viene ferito, solo danni agli automezzi. È la classica imboscata, la squadra partigiana ripiega in ordine verso il rio della Fava, ma la rappresaglia è inevitabile.
I tedeschi entrano in paese e sparano a tutte le finestre delle case di via Roma, partono dalle cantine Barale e continuano sino all’incrocio per Alba, poi si dirigono verso il castello. Colpiscono serramenti, davanzali, vasi di fiori; i vetri vanno in frantumi, il rumore è assordante, le pallottole rimbalzano senza tregua dai muri e dai serramenti, nessun abitante di Barolo, per fortuna, viene colpito. Tutti sono nascosti nelle stanze interne, chi è potuto è andato in cantina o in rifugi di fortuna, tra l’angoscia e l’incertezza del terribile momento.
Ma era solo un’avvisaglia: il 14 luglio un reparto motorizzato parte dal comando della Wehrmacht di Torino, con otto autocarri con due autoblindo e un cannoncino; è diretto espressamente a Barolo per un rastrellamento.
Sono quasi cento soldati al comando di un capitano. Arrivati in paese, posizionano le due autoblindo e il cannoncino in piazza San Sebastiano, subito una compagnia di tedeschi si dirige alla cantina Giacomo Borgogno, nata quasi due secoli addietro, sulla via principale di Barolo.
Il grosso portone si apre, entrano svelti, sono almeno in venti; l’ufficiale al comando, molto determinato, emette in continuazione ordini secchi e precisi..
In cantina c’è Maria, la moglie del titolare Cesare, ci sono anche due operaie e Porasso, l’anziano capocantina, nato nel 1909; tutti hanno molta paura.
Che cosa capiterà? Che pericoli correranno?
“Avete armi?“, domanda il capitano. Un interprete traduce. “No!”, risponde subito Maria. “Questa è una cantina e abbiamo solo del vino”. “Si chiama Barolo?”, domanda l’ufficiale.
“Si”, dice Maria.
14 Luglio 1944. Scoprono le casse di Barolo
Girano dappertutto, negli uffici e nelle cantine, controllano, spostano, buttano tutto all’aria, ma non spaccano niente, poi i soldati chiedono del vino al cantiniere anziano.
Apre subito due bottiglie, “ Che vino è? “, domandano.
“Barolo”, risponde il cantiniere. “Lo stesso nome del paese”, dicono. “Si”, risponde.
Assaggiano il vino, fanno cenni di assenso, piace a tutti, qualcuno chiede perché porta lo stesso nome del paese, oppure con che uva è fatto. “Noi in Germania”, dicono, “ beviamo vini bianchi, Muller Thurgau e Riesling”.
Maria è preoccupata, in cantina ci sono tre dipendenti e può succedere l’imprevedibile; ha sentito parlare degli incendi di Boves, un parente le ha parlato delle terribili rappresaglie avvenute nelle vallate alpine, prega solamente che non facciano del male a nessuno. Perché i partigiani hanno sparato. Si chiede. Almeno potesse uscire, andrebbe in parrocchia; il parroco, il reverendo Costanzo Merlo, in molte situazioni è intervenuto, rischiando di persona, con la sua autorevolezza. Maria spera di inviare un’operaia in parrocchia, se troverà l’occasione e il momento adatto.
I tedeschi continuano l’ispezione, alcuni passano davanti alle grandi botti in rovere (sono in cantina da molti anni e sono tutte piene di Barolo) si fermano un attimo, osservano bene, commentano, poi tornano nel grande cortile.
A un certo punto si sentono urla, imprecazioni. Arriva un graduato, mostra a tutti un caricatore da sei pallottole. “L’ho trovato dietro una botte“ dice. “Questo è un covo di partigiani”, urla subito il capitano. ”Bruciamo tutto e vi deportiamo in Germania”.
“ Non è roba nostra”, dice subito Maria. ” Non è mai stata lì, qualcuno l’ha messa apposta”. Il tono della voce è fermo.
Ma è difficile dialogare, la doppia traduzione allunga i tempi e forse travisa il significato preciso delle frasi.
“Avete una radio in casa?”, chiede l’ufficiale, Maria risponde subito: “Si”. “La sequestriamo, tutti gli apparecchi esistenti a Barolo li portiamo via noi, tanto voi ascoltate solo radio Londra”, continua quello urlando. (1).
Maria preferisce non rispondere.
In un magazzino un milite trova molte casse di legno accatastate, ne porta subito una in cortile, è molto pesante.
“Cosa sono?”, “Chiede subito l’ufficiale, “che cosa contengono?”.
“Barolo”, dice il cantiniere.
I tedeschi ne aprono una, contiene cinquanta bottiglie di Barolo 1935. Maria vede due tedeschi con le bottiglie in mano e la cassa aperta, le tremano le gambe, sperava non le aprissero. Hanno trovato il Barolo, cosa succederà ora?
Il comandante non ha dubbi, rivolto a Maria dice con tono perentorio: “Le consideri tutte sequestrate, è bottino di guerra, nei prossimi giorni saranno mandate a Milano al comando generale della Whermacth”.
14 luglio 1944. Il bottino di guerra
Hanno aperto altre casse schiodando i coperchi, un soldato ha trovato bottiglie piene di Barolo senza etichetta, si diverte a buttarle per terra, ci sono cocci di vetro e macchie di vino dappertutto; Maria è molto preoccupata, teme che arrestino tutti.
L’ufficiale chiama alcuni graduati: “Dobbiamo trovare due camion, li sequestriamo subito per il carico delle casse”. Nel frattempo si avvicinano due soldati, negli uffici hanno controllato con insistenza dei timbri, pensavano a chissà cosa, ma non hanno trovato nulla di interessante.
Maria parla con l’ufficiale: “Cerchi di capire, il vino è tutto quanto abbiamo, il nostro lavoro; prendetene qualche bottiglia, ma non potete portare via tutto, non è giusto”.
“È bottino di guerra”, risponde seccamente il capitano, “Ci avete sparato contro, considerate l’esercito tedesco nemico, come molti italiani; allora non ci sono regole, meritate questo. Eravamo alleati, poi il Re e Badoglio hanno tradito, vergognatevi!”.
“Noi siamo solo una piccola cantina, non c’entriamo con la guerra, non abbiamo mai sparato a qualcuno o tradito nessuno“, risponde Maria, cercando di essere convincente.
“Basta! Il vino di questa cantina è sequestrato”, risponde l’ufficiale.
“Non insista” consiglia a questo punto l’interprete.
Maria guarda le casse, le bottiglie per terra, qualcuna è persino rotta, il pregiato Barolo corre sul pavimento; altri militi bevono senza ritegno, ridono; Maria pensa al lavoro per quelle bottiglie di Barolo 1935, alle attese per quell’annata. Le bottiglie in vetro scuro pesante erano arrivate da Viglienzoni, una delle migliori vetrerie del savonese, sono champagnotte rosso bruno da “sette etti” con il timbro sporgente “marchiato” manualmente bottiglia per bottiglia, una vera rarità per un vetro dall’estetica eccellente. Il tappo a smusso quadrato era di Mureddu, un sugherificio nella Gallura, le etichette le prendevano dalla premiata tipografia Monti di Torino, la capsula in stagnola pesante dal colore rossochiaro proveniva da Baratta di Milano; le casse in pioppo le costruì un falegname di Gallo Grinzane. Bottiglie curate in tutto; per fare riposare a lungo il vino prima della spedizione, erano sempre sistemate in posizione orizzontale, avvolte, quasi protette dalla paglia di riso, in tal modo il Barolo migliorava il bouquet e il sapore.
17 Luglio 1944. Il dramma della razzia
Sono ritornati tre giorni dopo per sequestrare le casse di Barolo. Il pianale di due vecchi Lancia Rho grigi scassati, sequestrati chissà dove, accolgono le casse di Barolo. Maria assiste impotente al furto, ha cercato, per l’ultima volta e rischiando di persona, di parlare con l’ufficiale: nulla. “Bottino di guerra”, ripete.
Maria, oltre ai danni elevati per il sequestro, soffre nel constatare come il vino e il suo lavoro siano disprezzati: bottiglie rotte per terra, i soldati ormai bevono senza ritegno, c’è disordine dappertutto. Da quasi due secoli la famiglia Borgogno è in quel paese, lavora in quelle vigne a Cannubi, a Lista, a San Pietro per produrre Barolo.
Non si capacita. Oltretutto ha saputo che i tedeschi hanno scoperto, da pochi minuti, un altro deposito di casse di Barolo 1935 presso casa Canonica. È vicina alla loro cantina e sulla porta c’è l’insegna “macelleria”; sono entrati lo stesso, forse cercavano carne.
Due mesi prima doveva partire dalle cantine Borgogno un carico di Barolo per un grossista di Milano, era pronta la spedizione ferroviaria, ma furono avvisati che i ponti sul Po erano tutti bombardati, di conseguenza la linea interrotta; avevano chiesto allora a Canonica di immagazzinarlo nella vecchia cantina ormai inattiva.
Il carico sul camion è quasi finito, alcuni militi continuano a bere e buttare via altre bottiglie, altri hanno preteso che venisse preparato qualcosa da mangiare, Maria trova soltanto delle uova.
Un’operaia cucina una grande frittata, la padella gira tra i soldati, con le mani cercano di prendere qualcosa, nel frattempo qualcuno è su di giri: hanno trovato qualche bottiglia di Borgogno chinato e in una grossa pentola sbattono rossi d’uovo con il vino aromatizzato. Maria prega che vadano via presto. Non è riuscita neanche oggi ad avvisare il parroco; l‘operaia che aveva preparato la frittata era disposta a uscire, ma seppur la chiesa fosse a due passi, il rischio era enorme. Ormai il Barolo è perso, almeno sono tutti salvi, resta questa consolazione.
Un altro grave pericolo incombe. Perché mettono assi di legno nel mezzo del cortile? Cosa avranno in mente? Maria si precipita verso l’ufficiale: “Cosa fate”, chiede. È ansiosa, ma nessuno risponde, il mucchio di assi cresce, le operaie piangono, l’angoscia prevale, diventa ossessione: bruceranno tutto? Cosa succederà alla casa? Alla cantina? Al resto del paese?
Le doghe di una vecchia botte in riparazione vengono buttate sopra le assi, si aggiungono anche vecchi giornali, pezzi di legno, cartaccia. “Perché versano un po’ d’acqua sul legname da ardere?”, si chiede Maria.
Ormai il reparto tedesco lascia la cantina, sono diretti a Torino al comando generale. Gli ultimi soldati danno fuoco al mucchio, ma fa soprattutto fumo. “Poi è troppo piccolo” riflette Maria. I camion in retromarcia sono usciti, l’ufficiale e l’interprete sono gli ultimi a uscire.
“Mi raccomando, non spegnete il fuoco, lasci che si veda in paese del fumo”, dice soltanto quest’ultimo.
“Ha capito?”, ripete ancora una volta guardandola in viso.
Maria risponde subito: “Si, ho capito!”. Il fumo è solo un grave, chiarissimo avvertimento. (3)
17 luglio 1944 sera. I fratelli Damilano
“Li hanno presi stamattina, li hanno caricati sul camion, non sappiamo nulla, dove li avranno portati?”.
La signora Francesca Damilano è contitolare di una cantina in Barolo. Da dieci minuti è arrivata nelle cantine Borgogno, ha subito cercato Maria, sono anche parenti per via della nonna; il tono è supplichevole, il viso sofferente.
È quasi sera.
“Guarda”, dice Maria, cercando di rassicurarla un po’, “oggi a Barolo è successo di tutto, qui hanno rubato tutte le casse di Barolo e cercato di appiccare fuoco alla cantina, hanno cannoneggiato il comando partigiano alla Querciola, l’edificio è quasi distrutto, altre case hanno subito danni, tutti abbiamo passato momenti terribili, ma almeno siamo salvi”.
E’arrivato in cantina anche il parroco di Barolo: “Oggi pomeriggio ho saputo da un tenente del sequestro del vino; in seguito ho anche parlato con il capitano, ho cercato di evitare che portassero le casse di Barolo a Torino: nulla”.
Maria continua a rassicurare la donna: ” Venga in casa, non disperarti”.
“Cercheremo di salvare i suoi figli, hanno preso anche Giovanni Barberis”, aggiunge il parroco “. È più anziano, rischia di più “.
“Sebastiano ha solo quindici anni, Giuseppe venti, ma non hanno mai frequentato formazioni partigiane”, dice Francesca Damilano.
18 luglio 1944. Torino, stabilimenti Lancia
Il giorno dopo, al mattino, il parroco di Barolo e Cesare Borgogno si sono affrettati ad arrivare a Torino. Hanno trovato a Gallo Grinzane, con molta difficoltà e a prezzo altissimo, un po’ di benzina per la Balilla nera, quattro marce.Si sono fermati dapprima agli stabilimenti Lancia di Chivasso.
Il direttore ing. Giorgio Eggstein, un tedesco appassionato di vini è da alcuni anni cliente della Borgogno; una volta venne pure a visitare la cantina. Li riceve cordialmente. Espongono brevemente i fatti, l’ingegnere pare dispiaciuto; in effetti pur essendo tedesco militarizzato e ricoprendo una posizione di grande responsabilità, è ben distante dalla follia nazista.
“Interverrò, state tranquilli. Tra pochi minuti andiamo insieme al comando tedesco a Torino”.
Una serie di telefonate e di colloqui: poche ore dopo a Torino nel cortile delle “Nuove” i fratelli Damilano dalla cella con la terra nuda vedono Cesare Borgogno.
Urlano: “ È qui per noi”.
A Barolo nel tardo pomeriggio nel cortile della Giacomo Borgogno, una mamma abbraccia piangendo due figli.
Sono salvi. (4)
1945 – 1948. Il dopoguerra e l’oriundo italoargentino
E’ l’estate del 1945, Maria e Cesare hanno molti ricordi: la gioia per la fine della guerra, l’arrivo, a Barolo, dei primi soldati americani sulle Jeep che regalano a tutti piccole tavolette di cioccolato; i ragazzi li circondano sempre, poi li accompagnano, sperando in qualche regalo. I militari si dirigono alla trattoria Brezza o al caffè Borgogno, si siedono ai tavoli e ordinano qualcosa da bere. La guerra ha lasciato una triste eredità, c’è volontà di riprendere, di lavorare, ma chi berrà un vino di pregio come il Barolo? Se lo domandano spesso Cesare e Maria: in molte famiglie si tribola per trovare il pane e la minestra.
Un giorno arriva uno strano signore, è grande e grosso, fuma toscani enormi che non finisce mai e butta via a metà, è un italo-argentino, così si qualifica; cerca del vino da spedire in Argentina.
Maria è molto perplessa, non la convincono la lunga autovettura Cadillac, l’avvenente compagna bionda che lo accompagna, le arie che si dà; l’oriundo assaggia i vini, commenta, poi chiede il prezzo: “Va bene, pago sempre in contanti e anticipato”.
Maria trova i soldi sul tavolo, li conta e li guarda a lungo, li fa passare per le mani; è da molto tempo che non vede tanto denaro contante, sarebbe provvidenziale per la cantina, per riprendere l’attività, per fare scorte, per pagare i fornitori. Chiede ancora qualche chiarimento, l’oriundo risponde subito: “Carichiamo al porto di Genova, il bastimento si chiama Liberty, imbarcheremo macchine utensili, vestiti, vino, stufe, altre cose, l’Argentina ha veramente bisogno di merci e di manufatti italiani. Continueremo i rapporti commerciali in futuro. Vi offro un’eccellente opportunità, non capite?”.
Cesare è incerto. “Rischiamo la prima spedizione” dice a Maria e ai collaboratori. “Il momento è difficile e ogni occasione va presa al volo”.
Aveva ragione; la cantina Giacomo Borgogno continuerà per alcuni anni le esportazioni in Argentina. L’oriundo arrivava a Barolo sempre con macchine più grosse e colorate, donne più belle ed eleganti e l’immancabile toscano. Ma chi era? Puntuale si sedeva, assaggiava e ordinava il carico di vino, molte casse di pregiato Barolo, ma anche Barbera e Dolcetto da inviare solo in Argentina, pagava sempre anticipato e in contanti, spesso il bastimento partiva tutto carico della sua merce.
La valuta aiutò la cantina Borgogno a riprendere l’attività produttiva e commerciale, una vera boccata d’ossigeno.
Maria era incuriosita. Chi era veramente l’oriundo: un personaggio ambiguo che si era arricchito a Genova negli incerti e confusi momenti del 1943-45, un abile doppiogiochista che aveva messo in piedi difficili e rischiosi equilibrismi da manuale tra portuali, comando tedesco e personaggi legati alla resistenza, nel complesso e incerto mercato nero di una città marittima? Pagava subito senza molte discussioni sul prezzo, di fatto era molto ricco e cercava veramente di tutto, pur di caricare rapidamente il bastimento nel porto di Genova, ove contava ovviamente contatti e amicizie di rilievo.
L’oriundo un giorno stupì tutti a Barolo, regalò una biro d’oro massiccio a Maria; lei chiese chi fosse veramente. Quale ruolo avesse. L’oriundo non rispose e cambiò discorso. Maria insistette ancora, lo guardo in faccia per alcuni istanti, voleva sapere. Lui non si scompose e non disse nulla, mutismo assoluto. Era sempre elegante, gentile e in qualche occasione mostrò una certa cultura, in altre una certa sensibilità.
Ma chi era veramente l’italo-argentino che pagava in contanti in quel difficile dopoguerra a Barolo?
Venne ancora qualche anno, altre macchine di lusso, altre donne di charme, poi l’oriundo, come era arrivato, sparì di colpo; l’ultima sua frase colpì Cesare e Maria, venne pronunciata davanti al portone della Giacomo Borgogno.
Quel pomeriggio a Barolo tirava un forte vento e i capelli della bionda di turno svolazzavano dappertutto.
“ Povera Argentina, Peron sarà la sua rovina”, disse soltanto mentre la grande Cadillac rossa infilava l’incrocio per Alba.
Non lo rividero mai più.
Note
1. Cfr. “Quel muro a Santa Vittoria” in “ Barolo & Co” – maggio 1996.
2. Durante il rastrellamento verranno sequestrati 10 apparecchi.
3. Un’altra cantina di Barolo subì requisizioni da parte dei tedeschi: il 12 giugno 1944 vennero prelevate da parte dell’esercito tedesco numerose casse di vino dal cortile dell’Opera Pia Barolo, oltre a vari oggetti dall’abitazione della famiglia Abbona.
4. Venne anche liberato Cesare Barberis. L’intervento in suo favore fu provvidenziale: era il più anziano dei tre ostaggi ed erano già pronti i documenti per la deportazione in Gemania.