Prevarrà il vigneto o la cantina? Quale sarà il futuro protagonista dello scenario vitivinicolo internazionale? Che ruolo avranno i biologi, i chimici, gli ingegneri genetici?
Le biotecnologie nel settore vitivinicolo rappresentano un problema che prima o poi tutti dovremo affrontare e risolvere: riguarda istituzioni, produttori e consumatori.
Occorrono mentalità diverse e decisioni non più indifferibili, per capire se le nuove e sofisticate biotecnologie debbano avere dei limiti ben precisi, riguardo alla loro applicazione, predisporre dei rigidi regolamenti, tramite accordi in sede internazionale, OIV in primis, con l’auspicio che siano accolti dalle legislazioni dei singoli stati. Oggi in alcuni paesi la tendenza in atto ormai è questa: togliere, sostituire, modificare, ampliare nel vino i suoi costituenti, al fine di modificarne sensibilmente i caratteri organolettici, costruirlo in cantina insomma. In un contesto simile mi chiedo che ruolo ha ancora il vigneto, ma soprattutto vorrei conoscere quali saranno i caratteri predominanti dei vini? Il consumatore all’assaggio percepirà ancora una precisa identità correlata a vitigno e territorio, oppure prevarranno vini dotati unicamente di grande potenza e concentrazione. Forse è meglio fissare limiti alle tecnologie di cantina: osmosi, concentrazioni, uso di additivi e coadiuvanti aggiunti in funzione né curativa, ne stabilizzante, ma al solo scopo di modificare i caratteri sensoriali del vino, utilizzo esagerato dei trucioli e simili “ove permessi”. Aggiungo, ed è molto preoccupante, che viti, lieviti e batteri transgenici, quindi geneticamente modificati sono ormai alle porte.
Dalla sperimentazione genetica si potrebbero ottenere risultati innovativi che superano la più fervida fantasia: uva senza vinaccioli (cosi abbiamo risolto definitivamente l’annoso problema dei tannini astringenti), lieviti che sviluppano nel vino aromi particolari mirati ad esigenze dei mercati esteri (frutti tropicali? No ! meglio il classico fiorale!). Soffermiamoci un attimo sulle tecniche sottrattive d’acqua. L’osmosi inversa, consiste nel far passare del mosto attraverso un’apposita membrana selettiva, in tal modo si eliminano in parte i suoi composti. Preciso che è illegale per i vini nella U.E, è ammessa invece per mosti. Con la crioconcentrazione si porta il mosto o il vino sino al punto di congelamento, in tal modo si formano aghi di ghiaccio che, in seguito, si separano con opportune tecniche. Con l’evaporazione sotto vuoto invece si elimina semplicemente acqua rendendo il mosto è più concentrato. Qualsiasi tecnica sottrattiva modifica parzialmente i caratteri organolettici del vino trattato, ma soprattutto sottraendo acqua concentra automaticamente gli zuccheri : ” Gradazioni incendiarie “ ironizzava un titolo del Corriere Vinicolo, in merito ai tenori eccessivamente alcolici di troppi vini. Ma anche sul resto non si scherza. Il dogma è uno solo: “al massimo”, per cui vini occorre costruire in cantina vini sempre strutturati, persistenti e concentrati, che riempiano vista, naso e palato. “Avanti tutta” verrebbe da dire. In primis si interviene sul colore: sempre violaceo – inchiostro. Ma nessun tecnico fa miracoli e i vecchi enologi hanno sempre ripetuto che il colore non si può modificare sensibilmente, stando ovviamente sul piano legale.
Perché non regolamentare meglio gli arricchimenti con mosti concentrati ottenuti da uve ricchissime di antociani? Si possono usare, nei limiti legali, per arricchire un qualsiasi doc o docg. Perché non rendere ufficiale l‘analisi di quadri degli antociani in tutti i vini a denominazione d’origine onde evitare abusi e altro? Di fatto troppo vini color Malvina (leggi rosso-violaceo) si trovano in commercio. Si tratta di uno degli antociani prevalente in alcune uve, non di tutti i vitigni del mondo. In vinificazione è molto diffuso l’utilizzo degli enzimi che, “rompono “ le catene di polisaccaridi, pectine in particolare e liberano nel mosto alcune sostanze che incidono sul colore in particolare, ma anche su aroma e struttura del vino. In vero non si sa esattamente la composizione degli enzimi che si mettono nel vino ( in genere sino pectinasi, ma dal 1995 si trovano anche beta- glucanasi) anche causa una legislazione carente o perlomeno confusa. Oggi è migliorato il grado di purezza della preparazione enzimatica, ma raramente si ottiene un solo effetto su mosto , spesso vi essere conseguenze non cercate e dall’esito dubbio.
Il profumo: per quale motivo deve sempre essere giovane, giovanissimo, fruttato, vinoso, fresco e intensissimo? Interessanti le tecnologie sui profumi, i tecnici australiani sono molto creativi: nei Sauvignon si separano i profumi erbacei dall’uva poca matura, per concentrarli e immetterli successivamente nel vino. Si tratta delle note pirazine. Dai lieviti si ottengono gli autolisati, aggiunti al vino hanno anche proprietà aromatizzanti. Vorrei spendere due parole in tema trucioli, precisando che non sono del tutto d’accordo contro la campagna mediatica-emotiva lanciata contro essi. Oggi sono molto usati in funzione aromatizzante donano il noto “ boisè”. Chi per molti anni ha abbonito grandi botti in rovere con acqua e sale o soda per eliminare il gusto di legno, ( ovvero per ottenere esattamente l’effetto opposto ) logico resti un po’ confuso. Vorrei però capire alcune cose. Oggi è noto che molti trucioli vengono preparati con tecniche speciali di tostatura per donare al vino aromi particolari, pertanto:
-Chi controlla la temperatura raggiunta nella loro preparazione ? La cantina possiede strumenti idonei?
Sono conosciuti i composti che si formano ad alta temperatura –in particolare se si superano i 350 gradi – in fase di tostatura? Probabilmente si è esagerato sul rischio sanitario dei IAP ( idrocarburi aromatici policiclici), ma sarebbe piu’trasparente dichiarare il loro contenuto ( zero o minimale sin che si vuole) sulla confezione dei trucioli; inoltre non è chiaro il meccanismo di accumulo degli IAP, unito ai metalli pesanti derivanti dai trucioli nell’organismo umano per lunghi periodi. Il gusto: deve essere sempre morbido, morbidissimo, quasi dolce! Con tanto alcole ed estratto oltre i 40 grammi Molti interventi sono possibili e poi si può sempre utilizzare gomma arabica, polisaccaridi e mannoproteine (ormai sono ammesse). C’è un uso eccessivo di tannini in polvere o liquidi ottenuti da quercia o altre essenze vegetali: in fase di vinificazione posso capirne l’uso, magari moderato, in funzione antiossidante, se usati in fase di preimbotigliamento hanno solo funzione aromatizzante o riempente. Riguardo ai vini passiti sarebbe opportuno capire quali sono le scorciatoie e le furbizie utilizzate, magari giocando su diciture generiche o legislazioni di dubbia interpretazione. In alcuni casi le tecniche sottrattive d’acqua sostituiscono il naturale appassimento in vigneto e fruttaio. Si riducono moltissimo i costi, i tempi e soprattutto i rischi, ma, in alcuni casi, si sfiora la frode. Inoltre l’appassimento sotto il cielo con i tremendi rischi che comporta è ormai raro e rischia di diventare tra pochi anni archeologia storico – culturale. E’ molto diffuso l’uso delle camere di condizionamento, perfettamente legali ben inteso. Se allarghiamo l’orizzonte, il resto del mondo va peggio. Si utilizzano sofisticate tecniche del freddo, si trovano in commercio dei preparati biologici, che indurrebbero la botritis nobile in qualsiasi uva presente in una cella di umificazione. Vini del Sauternes e del Tokai alla portata di chiunque?
Sul piano concettuale si potrebbero fare molte altre cose, di tutto potrei dire: togliere o aggiungere ovviamente alcol etilico, acidi organici, sali minerali, sostanze estrattive, materia colorante. D’altronde in Usa è ammesa l’aggiunta di acqua ai vini, le tecniche di dealcolazione sono da qualche tempo utilizzate all’estero, probabilmente arriveranno anche in Italia se non altro per limitare gli effetti del cambiamento climatico. Facciamo un esempio concreto: in cantina ho un mosto normalissimo di uva a bacca nera: tolgo acqua per arrivare a 14 gradi alcolici, con osmosi elimino in parte gli acidi organici, correggo il profumo in fase fermentativa con preparati a base di trucioli di quercia ben tostati, aggiungo mannoproteine per dare struttura e morbidezza e infine correggo il colore con qualcosa altro. Fantascienza? No! Preciso che alcune legislazioni – es. quella americana sono molto permissive, i limiti all’aggiunta o eliminazione di sostanza al vino sono risibili, c’è molto “laissez faire”; di fatto conta una sola cosa: il mercato. In viaggi all’estero mi sono imbattuto in cantine con presenze imbarazzanti: “flavour” era scritto sull’etichetta, ma era legale aromatizzare il vino, in Australia colleghi hanno visto buttare a palate trucioli di quercia nel mosto in fermentazione. Chi, sul piano professionale, ha seguito legislazioni precise e per fortuna severe e anche alcune regole etiche non può non porsi cento domande: un vino cosa deve esprimere. In cosa deve identificarsi? In una doc? In un territorio? Solo in piacevolezza edonistica? L’ultima domanda – non è certo secondaria – è questa: che tipo di concorrenza potranno mai fare questi vini“ ben costruiti in cantina” in un mercato sempre più globale? Per non parlare della loro evoluzione: spesso declinano “in un’impressionante mediocrità di aromi “ e al palato resta solo la grossolanità di una struttura che esprimere solo potenza e alcol, mai finezza ed eleganza. Le manipolazioni –destrutturazioni – concentrazioni al vino sono in fase di attuazione in molti paesi, emisfero sud in particolare – ma la sperimentazione e la ricerca come detto non hanno limiti e avanzano proposte inquietanti; sul piano politico- istituzionale si dovrebbero prendere importanti decisioni in sede OIV tra pochi mesi, ma gli stati membri della UE, su queste problematiche, sono in difesa a quanto pare. I paesi dell’emisfero sud prevarranno imponendo la loro linea del totale “laissez faire”? Lo scorso inverno ad un convegno della SIVE (Società Italiana di Viticoltura ed Enologia) presso l’università di Udine alcuni ricercatori hanno lanciato precisi allarmi in merito. Gli enti e le persone interessate stanno ad attendere?
Torniamo alla domanda iniziale: Prevarrà il vigneto o la cantina. Difficile rispondere. Vorrei che prevalesse un’etica antica, correlata alla saggezza di quei patriarchi del vino che ho avuto la fortuna di conoscere . Molti, con i loro figli, continuano a tramandarle nel quotidiano lavoro in vigna e cantina. Dapprima dunque prevalga il vigneto con tutta la somma di impegni fatiche e soddisfazioni che crea. Ma se l’annata è carente, se l’uva non è di eccellente qualità in cantina non si può stravolgere tutto. Anni fa scrivevo “ vorrei ritrovare le vendemmie con il loro limiti e le loro specificità, i colori tenui e molto granati dei barolo del ’66 e del’ 77, quelli stupendi con riflessi rubini del’96 vorrei assaporare al gusto la potenza del 1964 e la semplicità dell’84. Le annate non possono essere tutte eccezionali, i vini sempre perfetti colorati, equilibrati, alcolici e strutturati, lasciamo che la natura, il clima, facciano il suo corso. La cantina e l’enologo dovranno sempre valorizzare al massimo la qualità dell’uva, chi mai non può essere d’accordo? Ma eleganza, finezza, complessità e ricchezza sensoriale del vino si ottengano nel rispetto della materia prima, delle tradizioni di cantina e del territorio, ma soprattutto con un lavoro simbolo di passione e professionalità, ma anche di onestà e ed etica, che significa anche e soprattutto rispetto verso il consumatore.