Il Barolo è un vino particolare e in tutti i sensi.
Basta soffermarci un attimo su come è stato definito nel corso della sua storia: ”Re dei vini- vino dei Re”, oppure “nobile e aristocratico”.
Preferisco la definizione di un enologo: ”Il Barolo è uno dei gioielli più puri dell’enologia mondiale”.
Di fatto il Barolo aumenta il suo prestigio e la sua immagine sui mercati di tutto il mondo; il consumatore, da un lato ne apprezza la qualità, dall’altro accetta anche un prezzo elevato per la bottiglia, di fatto la domanda per questo vino è tutta in salita.
Ma il Barolo resta un vino abbastanza sconosciuto e misterioso, sulla sua storia esistono alcuni testi, qualificati autori si sono cimentati con le sue tradizioni, i suoi personaggi e il suo territorio. ……..( vuoi leggere interamente l’ articolo? Clicca su …………….
Scarsa invece la bibliografia scientifica, tre anni fa è giunto a termine l’imponente lavoro coordinato dalla Regione Piemonte e dal DIVAPRA di Torino, unitamente ad un pool di enti, relativo alla zonazione del territorio di produzione del vino Barolo.
Iniziamo un percorso di conoscenza di questo grande vino evidenziando i vari aspetti che possono interessare l’assaggiatore curioso e preparato.
La storia
Ben poco si sa sugli albori del Barolo.
Come inizia la sua storia? Come venne vinificato? E da chi e in quali cantine?
Poche le notizie storicamente certe: riprendendo una tradizione orale, alcuni autori riportano che fu una nobildonna di Barolo- JULIETTE VICTURINE COLBERT- sposa del marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo a proporre alla corte sabauda di Torino un vino rosso prodotto nelle sue tenute e cantine di Barolo e Serralunga d’Alba.
Gli anni 1835-1845: racconta il can. Massè nel classico testo “Il paese del Barolo”:
“una lunghissima fila di carri tirati dai buoi entrano in Torino… su ogni carro stava una di quelle botti lunghe e piatte della capacità di sei ettolitri dette “carrà”… Erano più di trecento….”.
Era il Barolo che la marchesa Giulia Faletti Colbert inviava in omaggio al Re di Piemonte e Sardegna Carlo Alberto di Savoia.
All’assaggio ottenne un forte consenso, con tutta probabilità il Re ne ordinò dell’altro.
Nello stesso periodo due personaggi operarono nella zona di produzione del Barolo e tentarono, ambedue, alcune innovazioni nei processi produttivi: il generale Francesco Staglieno e l’enologo francese Louis Oudart.
Furono presenti sia a Verduno presso il castello del Re Carlo Alberto di Savoia, sia a Grinzane Cavour presso le cascine del conte Benso Camillo di Cavour.
Sino ad allora il vino Barolo in Langa era, probabilmente, ottenuto nella tipologia rosato e dolce, la nuova tendenza fu quella di produrre un vino diverso, secco, con più colore e soprattutto adatto ad un certo invecchiamento.
Gradualmente nasce il capostipite dell’attuale Barolo.
Alcune date:
1869- Intervento del parroco di Barolo don Bona.
L’auspicio è quello di riservare il nome Barolo solo ai vini prodotti entro le mura del paese.
1871- Nel “reggio tenimento di Fontana Fredda” in Serralunga d’Alba è documentata presenza di “Barolo”.
La tenuta è di proprietà del Fondo Real Casa- Patrimonio privato di S.M. Vittorio Emanuele II.
1873- Esposizione internazionale di Vienna- il “Barolo” di Fissore vince la medaglia d’oro.
La città di Bra è il maggior centro di produzione di questo vino.
1880-1885 – Valorizzazione commerciale del vino Barolo sui mercati italiani ed esteri per merito soprattutto del “valoroso conte Emanuele di Mirafiore”.
Era il proprietario della tenuta e delle cantine di Fontanafredda.
1934 – Nasce in Alba il Consorzio per la difesa dei vini tipici Barolo e Barbaresco.
1966- Il Barolo ottiene la doc.
1980- Arriva la docg.
Una fascetta di stato avvolgerà i sei–otto milioni di bottiglie prodotte ogni anno.
1990- In “Atlante delle Vigne del Barolo” edito da Slow-Food vengono descritte le vigne vocate e le migliori esposizioni della zona di produzione.
Molti viticoltori-produttori volontariamente riducono sensibilmente le rese in vigneto.
1995- Inizia un importante lavoro di ricerca scientifica sul Barolo.
Coinvolge enti diversi e l’università di Torino.
Al termine, nella primavera del 2001, in Alba viene presentata la cosiddetta “ZONAZIONE del BAROLO”.
IL VINO -IL TERRITORIO – IL DISCIPLINARE
Barolo è il nome di un comune, di un vino e di un territorio.
La zona di produzione comprende 11 comuni- tutti nella regione delle Langhe in Piemonte – per una superficie di 1456 ettari (dati 2001).
Sono Barolo, Castiglione Falletto, Cherasco, Diano d’Alba, Grinzane Cavour, La Morra, Monforte d’Alba, Novello, Roddi, Serralunga d’Alba, Verduno.
Le colline ove nasce il Barolo sono nate per sollevamento del mare- periodo miocenico- terziario- e sono ricche di calcare.
Ma la composizione del terreno è varia: da tempo sono note due zone dette Tortoniano ed Elveziano e la differente composizione del terreno da origine a vini con caratteri ben definiti.
All’Elveziano- ricco di marne grigie– brune molto compatte- appartengono i comuni di Serralunga d’Alba, Monforte e Castiglione Falletto.
Si ottiene un Barolo strutturato,alcolico, atto a lunga conservazione.
Al Tortoniano – ricco di marne azzurre, meno compatte- appartengono i comuni di La Morra e Barolo.
Il Barolo ottenuto è meno strutturato, di eccezionale finezza olfattiva e adatto a un invecchiamento più limitato.
Da alcuni anni sono allo studio le delimitazioni delle sottozone di particolare pregio a livello comunale.
La resa massima in uva consentita è di 80 qt per ettaro, in vinificazione la resa è del 65%.
Il Barolo deve essere ottenuto dall’uva nebbiolo al 100% precisa il disciplinare.
Si tratta di un vitigno antico, forse di origine greca, citato già nel 1268 nel comune di Rivoli-To – come uva “Nubiola.”
A secondo della zona in cui è coltivato da origine a grandi vini rossi– citiamo solo Valtellina e Gattinara- pertanto suolo e clima condizionano notevolmente i caratteri del vino ottenuto.
Tre sono le sottovarietà conosciute del nebbiolo: Lampia, Michet e Rosèe.
Oggi, praticamente, tutti i vigneti sono coltivati a Lampia.
L’invecchiamento minimo obbligatorio per il Barolo è di tre anni di cui due in botti di legno.
Il periodo di invecchiamento decorre dal 1° gennaio successivo alla annata di produzione delle uve.
Al termine la resa finale va riportata al 60%.
Il Barolo, all’atto dell’immissione in consumo deve rispondere ai requisiti:
grado minimo: 13° – estratto secco minimo: 23 g/l – acidità totale minima: 5,00 g/l.
A partire dagli anni ‘90 è allo studio da parte del Consorzio Tutela del Barolo una modifica al disciplinare di produzione.
Si svina, in genere dopo 4–5 giorni – un prodotto ormai secco o quasi, ricco di materia colorante o meglio si è estratto tutta quella presente nell’uva -si lasciano decantare le fecce grosse, si va poi in barrique per lunghi periodi – anche 24 mesi – onde avere il massimo di struttura del vino con caratteristiche di boisè.
Al termine un adeguato affinamento in bottiglia completa il ciclo produttivo.
La conservazione
Il Barolo deve restare nel legno per completare la sua maturazione, il disciplinare impone un minimo di due anni.
In tal modo il vino acquisisce i grandi caratteri che lo hanno reso celebre.
Quale legno? “Rovere! Rovere!” Dicono i vecchi cantinieri.
Hanno ragione.
Il rovere, in particolare quello proveniente dalla Slavonia (Croazia) è un’ottima essenza per costruire botti, infatti non viene facilmente impregnato dal vino.
Dona cessioni complesse e forti.
Dieci anni fa a Fontanafredda demolendo botti in rovere di Slavonia utilizzate per almeno ottant’anni, rilevammo una impregnatura di soli due centimetri contro uno spessore della doga di dieci centimetri.
Oggi per il Barolo si usa anche rovere francese.
Quale il volume ideale per una botte da Barolo?
Ottimi risultati si ottengono con 100-110 ettolitri.
Vari parametri sono favorevoli: rapporto volume legno-vino, rapporto superficie permeabile-vino e non ultimo il costo per ettolitro.
Molti produttori sono orientati su botti da 20-25 hl, un compromesso tra la barriques da 225 litri e la grande botte.
Che cosa avviene nel Barolo in invecchiamento?
Cambiano colore, profumo e sapore grazie all’apporto di ossigeno dovuto ai travasi, alla porosità legno oppure per passaggio dalle fessure doghe e dal legno.
Dalla complesse reazioni antociani-flavani nasce un colore del vino stabile.
La formazione dei profumi terziari è legata alle cessioni del legno e al ruolo dell’ossigeno.
I composti derivati dalla lignina contenuta nelle doghe passano nel legno, si formano in seguito aldeidi di varia natura tra cui vanillina e siringaldiede.
Nel nostro Barolo i descrittori percepiti ricordano vaniglia, rosa appassita, cuoio, catrame, tabacco, liquirizia, canfora ed il classico “goudron” e sono correlati allo sviluppo di nuovi composti dai nomi particolari: norisoprenoidi- damascenone- vitispirani.
In botte la condensazione dei flavani porta a fenomeni di polimerizzazione delle catene delle proantocianidine.
Al colore prevale nel tempo il granato-aranciato con calo dell’intensità colorante e al gusto- grazie anche alla formazione di catene molecolari abbastanza lunghe da parte dei flavani– il Barolo acquisisce maggior morbidezza e armonia.