La vendemmia è un momento particolare per un enologo, giorni faticosi e bellissimi, pieni di problemi e difficoltà, tra le fretta dei conferenti d’uva e l’orecchio incollato ai bollettini meteo.
In gioco la qualita’ del futuro vino: occorre valutare, riflettere e soprattutto decidere: tutti i giorni si è in bilico tra le continue innovazioni scientifiche e le vecchie pratiche enologiche, tra pressioni commerciali ed orientamenti del mercato.
Alla vendemmia segue la vinificazione, in questa importante momneto molte sono le scelte fattibili e il tecnico può intervenire su molti fattori influenzando in modo determinate ovvero la qualità e la tipicità del vino.
Per quanto riguarda la vinificazione in rosso l’evoluzione dei sistemi di vinificazione, in quasi tutte le cantine è sorprendente: le tine autosvuotanti degli anni settanta sono superate, sono arrivati i vinificatori rotanti orizzontali, ritorna di moda la follatura,magari automatizzata con pistoni idraulici, oppure si agisce sul cappello di vinaccia spostandolo o rompendo con
diverse modalità.
L’obiettivo finale sarà uno solo e molto importante : ottenere la massima qualità dall’uva cercando di estrarre nel mosto tutte le sostanze che riterremo utili ai fini della qualità del nostro vino.
Sia in riferimento al vitigno, sia al territorio con l’occhio aperto alle esigenze del mercato del vino che intendiamo produrre e in seguito commercializzare.
Prendiamo in esame le varie problematiche relative alla vinificazione in rosso, il riferimento è il solito: la pratica di cantina e il parere di quotati colleghi.
Lasciamo da parte la vendemmia e i controlli sull’uva in vigneto e in cantina
Rimando a quanto scritto su Vigne e vini agosto 2002 “Quali controlli per l’uva ”
Iniziamo dalle operazioni di pigiatura: occorre procedere con molta razionalità, si lavora la materia prima, pertanto si condiziona notevolmente la qualità del mosto e del futuro vino.
Quali caratteristiche dovrebbe avere un impianto per una razionale pigiatura?
Soprattutto per uve difficili ovvero con l’acino molto attaccato al raspo, pertanto difficile da staccare, oppure con la buccia non molto spessa e fragile..
Inoltre è prioritario il rispetto dell’uva, gli acini vanno schiacciati, la buccia e soprattutto i vinaccioli debbono restare possibilmente integri.
I raspi debbono uscire asciutti, ma soprattutto interi, è fondamentale che non finiscano a pezzettini nel mosto.
La presenza di queste sostanze e dei composti in loro contenute dara’ al vino note vegetali amare sgradevoli.
Il trasporto dell’uva intera o ammostata in questa fasi di lavoro dovrà rispettare la materia prima evitando eccessive rotture della parti solide.
Lo stesso dicasi per il pompaggio dell’uva ammostata dovrà essere effettuato con pompe adatte che rispettino le parti solide, ideali le Rhoto a peristalsi.
Con sonde e dispositivi per attacco automatico onde evitare inutili – spesso dannose – insufflazioni d’aria.
Uso anidride solforosa
Un dosaggio razionale di questo additivo è in funzione della sanità dell’uva e del prodotto che si vuol ottenere .
Un eccesso porta il lievito in condizioni di stress con conseguente attività metabolica non ottimale –produzione acetaldeidi e profumi di qualità non elevata, per non parlate di rischi di ridotto.
Un basso dosaggio crea sviluppo di lieviti selvaggi dannosi – in particolare apiculati – con ovvie conseguenze, inoltre il mosto non è sufficientemente protetto dalle ossidazioni iniziali con gravi conseguenze sul colore.
Qualche tecnico dice l’opposto: solforare a dosi altissime e aspettare tre giorni per dissolvere la materia colorante in ambiente acquoso, questo sistema utilizzato in Borgogna per il pinot nero è a mio avviso da sconsigliare decisamente per la qualità dei vini italiani.
Useremo 10 grammi per quintale uva di metabisolfito di potassio nelle annate eccezionali per aumentare gradualmente a secondo qualità dell’uva sino a 30-40 grammi per quintale .
Si sparge sempre il sale sull’uva durante la fase di scarico, in caso di uva fortemente botritizzate anche in fase di trasporto dal vigneto.
Adatto era il bisolfito in riso, oggi purtroppo introvabile.