Gli enologi, diplomati negli anni ’50 – ’60 del sec. scorso, conoscevano senz’altro lo schema della fermentazione alcolica. Mentre le fermentazioni secondarie, malolattica compresa, erano abbastanza sconosciute.
Chi scrive ricorda i primi giorni di lavoro, quando il direttore tecnico di Fontanafredda mi chiese di ascoltare un rumore che proveniva dalle vasche in cemento piene di Barbera.
“Lo sente questo gorgoglio, il vino sta facendo la malolattica”, disse. Risposi “Ho capito”, in realtà il termine per me era praticamente sconosciuto.
Ho citato l’episodio perché proprio nelle cantine Fontanafredda è avvenuta per la prima volta in Italia lo studio dei microorganismi responsabili della fermentazione malolattica. Con l’isolamento e lo studio dei loro caratteri specifici. Grazie ad una lunga e complessa ricerca sperimentale effettuata dall’Università di Torino – facoltà di Agraria – a cura del prof. Malan, Ozimo e Gandini.
In un testo pubblicato nel 2005 sulla storia di Fontanafredda l’episodio, seppur in poche righe, è riportato:
Nel 1964 il prof. Carlo Malan, docente di microbiologia agraria e tecnica dell’Università di Torino, effettuò, per la prima volta in una cantina italiana, la ricerca dei microrganismi responsabili della fermentazione malolattica.
Abbiamo incontrato in luglio il prof. Annibale Gandini, allora giovane assistente del prof. Malan, oggi pensionato in una bella zona di Torino.
Dalla lunga e interessante conversazione abbiamo tratto quanto segue:
- per la ricerca sperimentale fu presa in esame la vendemmia 1964
- l’eccellente qualità dell’uva, soprattutto sul piano sanitario, era una garanzia per la sua riuscita
La ricerca, al tempo assolutamente originale, fu resa possibile grazie all’esemplare comprensione del dott. Ferro, direttore di Fontanafredda, e alla preziosa collaborazione del dott. G. Cresto Dina e dell’enologo L. Testa.
Furono presi in esame Barolo, Barbaresco, Barbera, Freisa e Dolcetto.
Il processo fermentativo fu condotto con le normali pratiche di cantina del tempo e con moderata aggiunta di solforosa (10 grammi di metabisolfito per quintale d’uva).
Dopo la svinatura e travasi, in vasche di cemento e botti di legno, furono effettuati, dai ricercatori torinesi, vari campionamenti. Con cadenza mensile per il periodo: novembre 1964 – aprile 1965.
I vini nuovi, immessi in recipienti sterili, ermeticamente chiusi, furono portati al laboratorio dell’università, citata per le necessarie analisi microbiologiche, chimiche e organolettiche.
In seguito si applicarono diverse tecniche per isolare i batteri lattici.
Un vino nuovo presentava una carica microbica elevata, i lieviti erano dominanti.
Mediante ripetute centrifugazioni furono separati i lieviti da batteri. Allo scopo di ottenere un deposito costituito esclusivamente da schizomiceti.
In seguito fu aggiunto del vino e una soluzione culturale costituita da succhi vegetali (pomodoro, mele, uva).
Dopo quindici giorni di sviluppo la soluzione di schizomiceti fu immessa su strato di agar.
Dopo due settimane d’incubazione a 25 °C, si procedette all’isolamento delle varie colonie batteriche.
Il problema di fondo in quegli anni era rappresentato dalla loro classificazione. Di fatto la letteratura scientifica era del tutto incompleta per non dire poco conosciuta.
Seguendo i rari manuali in uso, si vide che i batteri isolati appartenevano alla famiglia delle Lactobacillacee.
In seguito furono identificati i cocchi del genere Leuconostoc, erano gli agenti della fermentazione malolattica.
Dei 225 stipiti di Leuconosts complessivamente isolati furono identificati il Leuc.mesenteroides, il Leuc. dextranicum e il Leuc. ditrovorum. Sono le specie di batteri che intervengono in misura prioritaria nel meccanismo della fermentazione malolattica.
Si evidenziò anche che il Leuc. Dextranicum aveva la capacità maggiore di produrre acido lattico dal malico.
Si studiò anche la complessa relazione tra lieviti e batteri nei vini, valutandone bene le conseguenze sulla qualità del vino.
Dopo la svinatura si riscontrò dominanza del Saccharomyces cerevisiae var. elipsoideus, ma con il tempo si affiancavano altre specie. Infatti, dopo il secondo travaso restavano soprattutto presenti i Saccaromices oviformis.
Si evidenziarono altri blastomiceti presenti nei vini durante il periodo invernale primaverile. In genere appartenenti ai generi Pichia, Candida e Brettanomices.
Riguardo a quest’ultimo si evidenziò, in forte anticipo sui tempi, i pericoli correlati a un suo sviluppo per i caratteri organolettici dei nostri vini. In particolare per quelli pregiati destinati a una lunga conservazione in bottiglia: Barolo e Barabaresco.
Furono valutate anche le condizioni di cantina per favorire la fermentazione malolattica.
Furono confermati gli studi precedenti dei prof. Mensio e Garina Canina, della Stazione Enologica di Asti. Indicavano nella pratica del ritardo dei travasi nei vini nuovi una delle cause dell’inizio della malolattica.
Si confermò che l’autolisi dei lieviti liberava nei vini sostanze azotate, utilissime per il metabolismo dei batteri lattici.
Si evidenziarono anche i problemi riguardo alla malolattica nel Dolcetto, vino notoriamente con acidità fissa non troppo elevata.
Raccomandando agli enologi di tenere ben sotto controllo l’attività di batteri lattici per evitare che, dopo il termine della malolattica, potessero continuare ad agire, danneggiando seriamente i caratteri organolettici di questo vino.
I risultati di questa importante ricerca sperimentale vennero presentati, nel 1965, a Siena in occasione della tornata dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino.
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A – Il grande microbiologo
Il prof. Carlo Enrico Malan è stato uno dei maggiori microbiologi agrari.
Nato a Torino nel 1910, prende la laurea in scienze naturali presso la locale università. Dopo vari anni di tirocinio come assistente, nel 1955 è libero docente in microbiologia agraria e tecnica.
Nel 1957 fonda e dirige l’Istituto di Microbiologia Agraria e Tecnica della facoltà di Agraria dell’università di Torino.
Accademico della Vite e del Vino e a dell’Accademia dell’Agricoltura di Torino, il prof. Malan va ricordato per la cospicua produzione scientifica, dedicata alla microbiologia, ai micromiceti patogeni e alla microbiologia enologica.
Ha iniziato il censimento dei lieviti dei mosti e dei vini piemontesi, studiandone le caratteristiche enologiche e biochimiche.
Fondamentali i suoi studi sugli agenti della fermentazione malolattica nei vini piemontesi.
B – La ricerca sperimentale a Fontanafredda
Per vari motivi, nell’ultracentenaria storia della tenuta di Fontanafredda, la ricerca e l’innovazione hanno trovato ampi spazi e opportunità, correlati ai reali problemi di cantina e con le varie prospettive di mercato.
Dalle nuovissime vasche in cemento brevetto Borsari-Zollikon del 1887, ai primi tentativi di lotta contro la fillossera nel 1920 con viti americane, si arriva al 1964.
Il primo impianto in acciaio inossidabile nelle cantine italiane è a Fontanafredda.
Sul finire del sec. scorso la ricerca continua, in collaborazione con l’Istituto Sperimentale di Enologia di Asti – sezione chimica diretta dal prof. Rocco di Stefano. Si è preso in esame il vino Barolo, con i suoi composti aromatici e fenolici, la loro evoluzione, la loro influenza sui caratteri organolettici.
Segnaliamo infine le ricerche sperimentali a cavallo del terzo millennio condotte dall’Università di Torino – sezione di microbiologia ed Industrie agrarie del DIVAPRA (Gandini, Gerbi e coll.) in merito alla ricerca del lievito specifico del Barolo e in seguito le prove sugli effetti della microssigenazione in alcuni vini rossi (Gerbi, Negro e Cagnasso).