La DOC più piccola affrontata in molti anni di collaborazione per VVQ.
Nata nel 2011, ma da soli tre anni sul mercato, appena 30.000 bottiglie sul mercato nel 2017, appena ……..ettari, in tre comuni nella provincia di Asti.
Ecco la fotografia del “Calosso DOC”. Ma non è a fuoco, per nulla. Se si approfondisce il tutto, si scoprono le grandi potenzialità di questa piccola DOC.
Storia antica, documenta, un vitigno studiato da illustri ampelografi e importanti ricercatori, viticoltori appassionati nelle terre “Patrimonio dell’Unesco”, produttori determinati che ti contagiano con il loro entusiasmo e un con un vero ottimismo.
Poi parla il vino: vista, olfatto, gusto donano una piacevolezza incredibile.
Alla fine quando in bocca restano intense percezioni aromatiche. Allora diventa sin troppo evidente quanto siano importanti per il fattore qualità un territorio ad altissima vocazione e un vitigno di pregio.
Il DNA del “Calosso DOC”.
Il territorio
Calosso è un piccolo comune italiano di 1.263 abitanti della provincia di Asti, in Piemonte.
Sorge su un’alta collina il cui nome deriva dal gentilizio romano Callocius o Callucius. Si trova poco lontano dai comuni di Canelli e Costigliole d’Asti, fra le valli del Nizza e del Tinella.
L’attuale diffusione del vitigno Gamba di pernice, è limitata quasi esclusivamente al comune di Calosso, anche se disciplinare prevede vigneti in Costigliole Asti e Castagnole Lanze.
Il vitigno
Un tempo denominata anche pernicine a gamba rossa, questa cultivar astigiana è stata curiosamente ritrovata nel Saluzzese, e precisamente a Costigliole Saluzzo, con il nome di “Neretto degli alteni”. Sec. XVII.
Il conte nuvolone lo cita nel 1708. Nell’opera Ampelografia della provincia di Alessandria (De Maria e Leardi -1875) troviamo la prima descrizione completa del vitigno.
Dalmasso, infine (1909), lo descrive con i sinonimi di “Gambarossa” e “Pernicine”.
Dalle poche notizie tramandate dalla tradizione locale, risulta che le attuali coltivazioni di Gamba di pernice sarebbero derivate da poche gemme ‘rubate’ da un tale Moiso, abitante del paese astigiano, ai vivaisti Cora di Canelli al principio dell’ottocento.
Il vitigno
Il nome ovviamente è legato al colore del raspo. Ricorda la gamba del volatile. Anche la forma, direi quasi uncino. Anche se il disciplinare DOC riporta “gamba rossa” o “imperatrice della gamba rossa”.
Il colore in agosto diventa bruno. Anche la parte finale dei tralci finali è color rosso nel mese estivo. Di media vigoria, presenta un ciclo vegetativo tardivo.
Anziani ricordano vendemmie verso il 20 – 25 ottobre.
Non è particolarmente sensibile a parassiti o avversità, soggetto ad acinellatura e nel passato, prima della selezione clonale, ad accartocciamento fogliare.
Alla vendemmia presenta un’acidità fissa di medio livello. In particolare l’acido malico in alcune annata è abbastanza scarso.
Il vino e la cantina
Le pratiche in cantina non si differenziano dalla classica vinificazione in rosso per le uve con buona ricchezza fenolica.
Ma il gamba di pernice è anche un vitigno aromatico, pertanto si attuano fermentazioni a cappello galleggiante per circa 10 giorni, seguiti da brevi macerazioni 7 – 8 giorni.
Onde estrarre la materia fenolica dalle parti solide.
Il vino si conserva in genere di acciaio, alcuni produttori ritengono utile i passaggi di legno: botti medie o barrique di secondo o terzo passaggio. Per periodi brevi: 9 – max 12 mesi.
Per legge il “Calosso DOC“ è ammesso alla vendita dopo 20 mesi dalla vendemmia, se con indicazione di “ Vigna” o “Riserva” il periodo è maggiore (30 mesi).
Tutti d’accordo sulle potenzialità evolutive: in particolare nelle grandi annate, con uve ben mature e sane è un vino di grande evoluzione.
Recentemente nella cantina Bosticardo è stata aperta una bottiglia della vendemmia 1990. Perfetta.
Esiste anche la tipologia passito con l’indicazione in etichetta “Passara”.
Lo storico protagonista del “Calosso DOC”: Enol. Walter Bosticardo
Calosso (At) – Tenuta dei Fiori
Siamo a Calosso nella storica regione Rodotiglia, una valle piuttosto isolata. Questa è la casa dei miei avi costruita intorno al 1850. Ampiamente ristrutturata.
La superficie è di cinque ettari, tutti a vigneto, coltiviamo barbera, moscato bianco, gamba di vernice, inoltre ho superfici minori di cabernet, chardonnay e pinot noir.
Riguardo alla gamba di pernice è sempre stato coltivato in misura marginale, ottima uva da tavola, ben conservabile, causa buccia spessa.
Nel 1987 in una vecchia vigna circa 4000 metri quadri, in precedenza coltivata a moscato e barbera ho messo a dimora il gamba di pernice.
Preciso che il vitigno allora era “abusivo”, di fatto, in quanto non registrato nei cataloghi regionali, inoltre non era facile trovare il legno. Riesco comunque a innestare talee su piede americano: Paulsen 157-11.
Mi segue il Prof. Albino Morando, allora insegnante alla Scuola Enologica di Alba.
Su questo vigneto il Prof. Mannini dell’Università di Torino effettuò le prime sperimentazioni (1990).
La prima vinificazione in purezza è avvenuta nel 1888, nel 1990 il primo imbottigliamento: ottenni un vino aromatico, speziato, molto profumato particolare. Diciamo un vino nuovo.
Ancora un po’ disarmonico per tannini poco condensati. Ma dopo 3-4 alla vendemmia è perfetto.
Il “Calosso DOC“ lo conservo solo in acciaio.
La cantina comunale di Calosso
Sono stato accolto dal presidente Adriano Grasso, unitamente ai produttori associati alla cantina comunale di Calosso per un interessante scambio d’informazioni – opinioni in tema “Calosso DOC”.
E’ seguita la degustazione guidata dei vini.
La cantina comunale di Calosso, sorta nel 1904 allo scopo di promuovere e valorizzare i vini dei produttori associati e della cucina territoriale, raggruppa la quasi totalità dei produttori della locale DOC.
Al suo interno si trova la vineria osteria “La Crota ‘d Caloss” con i piatti della cucina locale.
Erano presenti le cantine:
- Azienda Adriano Grasso
- Azienda Agricola Fea
- La Canova
- Cerruti Pier Paolo
- Daffara e Grasso
- Bussi Piero
- Ca ‘d Jantin
Sin da principio, noto entusiasmo e ottimismo da parte dei produttori.
Alcuni hanno impiantato le vigne da pochi anni. Altri hanno una produzione veramente minimale.
Ho assaggiato una dozzina di campioni gentilmente offerti. Di annate diverse.
Il Calosso DOC si presenta con un bellissimo colore violaceo, che tende al rubino granato con il passare del tempo, il profumo -sempre intenso ed elegante- è inizialmente fruttato, pochi mesi dopo devia verso il noto speziato (il rotundone che caratterizza il gamba di pernice).
A questi profumi, si sono percepiti collegialmente anche odori eterei, animali e balsamici evolutisi col passare del tempo.
Anche in annate vecchie, esempio 2013 – 2012 (vendemmia quest’ultima non certo eccezionale) nessun accenno a colori rosso – aranciati, oppure alle classiche note olfattive di bistecca bruciata (grillè). Il descrittore dei vini troppo evoluti.
In alcuni bicchieri, aggiungo, la ricchezza in “souplesse” era notevole.
Vediamo ora le varie problematiche.
Il mercato
Da tre vendemmie si può imbottigliare il “Calosso DOC”, nel 2017 si sono prodotte, come sopraddetto, circa 30.000 bottiglie.
La vendita avviene soprattutto sul mercato italiano (90 % ca). Si vende negli agriturismi locali e con passaparola. Anche nel canale Horeca.
All’estero il “Calosso DOC” inizia ad essere presente con piccole partite nei seguenti stati: Giappone, Usa, Singapore e alcuni paesi europei.
La promozione e l’immagine
Al momento è promosso soprattutto nelle manifestazioni locali, gestite da vari enti coordinali dalla proloco comunale di Calosso.
In particolare al “Festa dei rapulè” (racimoli della vite detti anche rap’d San martin”) il terzo fine settimana di ottobre.
Negli anni scorsi il “Calosso DOC”, per iniziativa di qualche produttore, era comunque presente alla Douja, a Vinum, ad iniziative Ais e Onav.
Le prospettive comunque sono ottime grazie al lavoro d’equipe e all’unione concreta i produttori.
Il grande sponsor del Calosso DOC è stato Guido Alciati, il famoso ristoratore di Costigliole d’Asti, conferma Valter Bosticardo.
Lo serviva sugli antipasti, ma l’abbinamento migliore, a mio avviso, è sui formaggi a media stagionatura.
Ricordo anche un abbinamento, presso il ristoratore citato con altro famoso formaggio il francese Raclette. Circa 20 anni fa, quando l’etichetta era ancora generica.
Sul piano dell’immagine, riguardo al “Calosso DOC” tutto resta da fare: le potenzialità intrinseche sono molte, come già scritto nell’introdurre quest’articolo.
Il prezzo di vendita medio, genericamente calcolato in 8 – 9 euro non rende giustizia a questa DOC e ai pionieri che hanno creduto in essa.
Se è logico attendersi per i prossimi anni una crescita degli ettari vitati, sia nelle bottiglie esitate sul mercato, parallelamente devono avviarsi iniziative qualificate in Italia e all’estero per fare conoscere nel modo adeguato il vino.
Inizialmente è doverosa, direi, l’adesione di tutti i produttori al Consorzio Tutela Vini del Monferrato.
La sperimentazione per il recupero e la valorizzazione del Gamba di pernice
Prof Franco Mannini – ex dirigente del Centro Miglioramento genetico della Vite del C.N.R. di Grugliasco.
Da qualche decennio il Centro Miglioramento genetico della Vite del C.N.R. di Grugliasco (oggi Unità decentrata dell’Istituto per la Protezione Sostenibile delle piante-CNR di Torino) lavora al recupero e alla valorizzazione dei vitigni autoctoni rari del Piemonte.
Non deve stupire quindi l’interesse del sottoscritto e della collega Anna Schneider quando negli anni ’90 Albino Morando (cui ci lega un rapporto umano e professionale di lunga data) ci portò ad assaggiare in Istituto alcune bottiglie di un vino rosso ottenuto da un vitigno raro presente nell’areale di Calosso chiamato “Gamba di pernice” per il colore rosso del raspo.
Il produttore di quel vino, Valter Bosticardo, convinto assertore delle potenzialità della varietà ne aveva recuperato e propagato le gemme dai pochi ceppi superstiti ancora presenti nei vecchi vigneti realizzando un nuovo impianto.
L’assaggio non fece che aumentare il nostro interesse per questo vitigno, il cui vino di colore rosso rubino, possedeva un bouquet molto ricco e originale caratterizzato da intense note speziate, mentre in bocca rivelava una struttura e una persistenza molto interessanti.
All’epoca il “Gamba di pernice”, come spesso capita con le varietà minori, non risultava iscritto nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite (http://catalogoviti.politicheagricole.it), iscrizione che ne avrebbe permesso la coltivazione legale.
Il primo ostacolo da superare per recuperare commercialmente il “nostro” era quindi procedere con i pluriennali controlli di campo e di cantina richiesti dal protocollo ufficiale per l’iscrizione di una varietà al Registro.
Nel corso di 4 annate (nei primi anni ‘2000) il comportamento agronomico e produttivo del vitigno è stato quindi valutato dai ricercatori sia nel vigneto di Calosso sia nel campo collezione del germoplasma di vite del C.N.R. a Grinzane Cavour, presso il quale nel frattempo erano state messe a dimora le piante del vitigno.
Grazie alla collaborazione dei produttori locali, vennero sottoposti ad analisi chimica e sensoriale (cui collaborò Carla Cravero dell’allora Istituto sperimentale per l’Enologia di Asti) vini di numerose annate di “Gamba di pernice”.
Anna Schneider, con la collaborazione di Stefano Raimondi, raccolse inoltre le informazioni storiche e identificò il profilo genetico del vitigno tramite l’analisi dei marcatori micro satelliti (SSR).
La ponderosa pratica venne quindi mandata al Ministero per l’approvazione e la conseguente iscrizione del “Gamba di pernice” al Registro.
Tutto finito? Purtroppo no. In sede ministeriale la richiesta d’iscrizione fu valutata positivamente con’eccezione della denominazione del vitigno.
“Gamba di pernice”, per quanto storicamente riconosciuto, non poteva venire accettato in quanto foriero di potenziale confusione con nomi già in uso nel mondo viti-enologico.
Tra questi un vin santo toscano denominato “Occhio di pernice” ed il sinonimo francese “Pied de perdrix” del “Malbec”!
Ci venne in aiuto il Dalmasso che nel suo dattiloscritto Studi ampelografici nell’Astigiano del 1909 indicava il nome “Gamba rossa” in uso a quel tempo quale sinonimo di “Gamba di pernice”.
Finalmente nel 2007 il nostro vitigno venne inserito nel registro e fu possibile coltivarlo alla luce del sole.
Per raggiungere tale scopo, tuttavia, fu necessario un ulteriore passo: richiedere l’inserimento del “Gamba rossa” nella lista delle varietà idonee alla coltivazione nella Regione Piemonte (la burocrazia in questo settore non difetta).
A coronamento del lungo percorso di recupero e valorizzazione del vitigno, il riconoscimento della DOC Calosso nel 2011, la cui base varietale è rappresentata da “Gamba rossa” per il 90-100%.
Insomma la nostra “Gamba di pernice”, o “Gamba rossa” che dir si voglia, ne ha fatta di strada!