La divisione delle fave
Valdivilla di Santo Stefano Belbo -1944
Maria vede arrivare Moch, il padrone della cascina.
Cosa sarà venuto a fare? Chiede al marito Diego.
Vuole dividere le fave. Risponde Diego.
Come? Dice subito Maria, è roba nostra, è dell’orto! Diego allarga le braccia, il padrone è lui, sai che decide tutto.
Che cosa metto nel minestrone quest’estate?Le patate sono quasi finite, non è giusto, dice Maria.
Moch è arrivato.
Si raccontano brutte cose sulla sua famiglia, tirchi sino all’inverosimile, sottovoce si dice anche che da piccolo avesse mangiato pane e neve.
Maria insiste, non è giusto.
Possiamo fare poco dice Diego, tra cinque mesi è San Martino, se ci manda via, che faremo?
Diego scende, Moch pretende che vengano subito fatti due mucchi delle fave che stavano seccando. Diego cerca in tutti i modi di fare due parti eguali.
Moch guarda, esamina lentamente i mucchi di fave, gira intorno più volte. Poi indica quello scelto. Non sbaglia, come sempre. Il pomeriggio ritorna con il cavallo a prendersi le fave.
Diego non dice niente, carica in silenzio la merce sul carro.
Maria dalla finestra lo vede, piange a lungo.
Molti anni dopo, ormai anziana, raccontò a un cuginetto, sulla strada da Romanino ai Bosi, la storia di Moch che, da piccolo, aveva mangiato pane e neve e, da grande, diviso anche le fave.
La pistola sul tavolo
Fontanafredda 1928
Il mezzadro continua a contare i soldi, è mai stato così arrabbiato. Nella buia stanza, in mezzo a poche suppellettili, la moglie continua a ripetere: “Tutto qua, i patti erano diversi, il raccolto delle uve andava diviso a metà”.
“E vero, non è la prima volta che non rispettano i patti”.
“Stavolta non ci sto, è troppo, un anno di lavoro”.
La moglie continua a ripetere, “Come faremo?”.
“Non so, non possiamo continuare così, ci diano almeno quanto, ci spetta, domani andrò dal proprietario, dovrà darmi i soldi”.
Bussa alla porta, dietro ad una grande scrivania in noce scuro, un uomo è seduto, sta scrivendo.
“Cosa vuole? “Non saluta, non alza lo sguardo.
“Buongiorno” fa il mezzadro.
“Che cosa vuole?” ripete.
“Ieri ho ricevuto il saldo delle uve, mancano dei soldi“.
“Che cosa vuol dire?”.
“Voglio dire che mancano dei soldi, i patti erano al cinquanta per cento”.
Il proprietario alza lo guardo, “Decido io i patti, non posso darle di più, lo sa anche lei che è un momento brutto per tutti, non ci sono soldi”.
“Guardi che le uve io le ho consegnate ed erano anche belle, voglio solo il cinquanta per cento pattuito, il resto non m’interessa, lei che ha tolto i salariati e mi ha costretto a fare il mezzadro“.
Il proprietario alza la voce, “Non le do nulla, fuori”.
“Da qua non mi muovo, non creda di spaventarmi come fa con tutti, voglio quanto mi spetta”, il tono è fermo e deciso.
I due uomini ormai si fronteggiano, il proprietario si è alzato “Fuori, glielo dico per l’ultima volta, non le do una lira”.
“Da qui non mi muovo, ripeto voglio i soldi, fino all’ultima lira, ha capito?”.
Il mezzadro resta immobile vicino alla scrivania, i suoi occhi fissano l’altro uomo, è deciso, sa benissimo quanto rischia, pensa ai suoi famigliari, alla cascina, ai sacrifici dei suoi genitori.
“Ah si! Vediamo”
Il proprietario apre un cassetto, estrae una pistola, la mette sul tavolo, “Allora continuiamo?”.
Lo sguardo del mezzadro è terribile, livore e rabbia indescrivibili, rancore che non passerà mai contro quel gesto disumano. Per alcuni istanti le due persone sono immobili, non parlano, non ne hanno bisogno, nessun rumore giunge dal cortile tra le due grandi case colorate a strisce giallo-arancione.
Non passa il carro funebre
Diano d’Alba 1930
In una cascina ai confini tra Alba e Diano d’Alba è mancato un bambino. Aveva appena sei mesi di vita.
Nell’intenso e inatteso dramma familiare occorre organizzare il funerale. Si contatta l’impresa Viglino di Alba. Verrà con il carro funebre bianco, trainato da un cavallo.
Poco dopo la frazione di San Rocco Cherasca il quadrupede si ferma, la strada è troppo ripida.
In aiuto si cerca un bue in una vicina cascina.
Riprende il percorso, la strada mulattiera piena di curve è ripida, i due animali avanzano con fatica.
Un uomo, vicino di casa della famiglia del defunto, è immobile in mezzo alla ripida strada. Non lascia passare il carro funebre. E’ determinato. Accampa diritti di passaggio a quanto pare. Si discute, si cerca di ragionare, niente da fare: “Qui passi pure il carro, ma vuoto, il defunto non passa”, continua a ripetere.
Due uomini trasportano a spalla la piccola bara bianca passando da un altro sentiero, il carro funebre vuoto transita regolarmente sulla mulattiera. Cento metri in basso riaccoglie il piccolo feretro, proseguendo per la chiesa di San Rocco Cherasca, ove un sacerdote celebra la cerimonia funebre.
Le liti sul passaggio in quella strada durarono decenni, in particolare per il passaggio delle trebbiatrici, costarono alle famiglie interessate grosse cifre tra geometri e avvocati e risolsero ben poco.
La prima parte dell’articolo “La mezzadria: tra storia e tradizione”