Sergio Battaglino – Vezza d’Alba -1968
Sergio Battaglino appartiene a una famiglia di vignaioli da generazioni presente a Vezza d’Alba.
A lui va il merito di aver messo a dimora, superando difficoltà e contrasti, un bellissimo vigneto chiamato “Vigna alta” sui pendii che sovrastano il paese citato. Erano ben 5000 metri quadrati in quell’autunno del 1968. E i pali erano tutti in cemento. Penso di non sbagliarmi affermando che in tutto il Roero non esisteva una vigna simile di arneis.
Per molti anni Battaglino ha condotto il ristorante “Trifùla Bianca” di Borbore di Vezza d’Alba, un punto di riferimento storico per la gastronomia del Roero.
A Vezza avevo anche una cantina ove producevo vino rosso nebbiolo che servivo abbinato alla cucina del Trifùla Bianca.
Un giorno con Andrea Monchiero, grande sommelier, discutevano sul menu per il pranzo di nozze di sua figlia. Disse: “Come fai a servire un vino rosso sul salmone? Utilizza vino bianco, è meglio!”.
Non ne aveva disponibile, inizialmente ordinò del Verdicchio Fazi Battaglia, ma cercava un vino piemontese. C’era in vero a Vezza la Favorita, ma era considerato vino da Santa Messa.
Decise allora di impiantare una vigna di arneis. Era il 1968. Dovette superare molte difficoltà, anche in famiglia, soprattutto con mio padre.
Non c’erano le barbatelle, trovai le marze, le portai a un vivaista di San Rocco Cherasca in Alba: i fratelli Adorno.
Furono disponibili, ma chiesero il pagamento anticipato, ovviamente non c’era fiducia in questo nuovo vitigno.
Impiantò una giornata e mezza piemontese con le barbatelle di arneis innestate su Kober 5bb; utilizzò pali in cemento. Allora nelle vigne del Roero c’erano solo pali di castagno.
Mio padre continuava a domandarmi “Cosa ne facciamo dell’uva?”
Il secondo anno, ci fu il primo raccolto di arneis: poca uva, molto bella, grazie anche all’andamento climatico favorevole. Acquistò un po’ di uva arneis a Cisterna d’Asti. Suo cognato, l’enologo Sergio Carniccio, gli fu di valido aiuto.
Utilizzò una presa di legno orizzontale acquistata di seconda mano dalle suore di San Giuseppe di Santo Stefano Belbo. Pressò uva intera, con bassa resa. Vinificò in bianco, con i soli fermenti naturali.
Ottiene circa 30 brente di Arneis che mise in una vasca di cemento. Per la filtrazione disponeva di un piccolo filtro a piastre.
Il vino lo utilizzai esclusivamente nel mio ristorante, sia ai tavoli, sia come asporto per la clientela. Continuai in tal modo per circa vent’anni.
Bruno Giacosa – Neive – 1970
Bruno Giacosa non ha bisogno di presentazioni. Numerosi contatti professionali, nell’arco di oltre trent’anni, hanno fatto lievitare la stima verso il Patriarca, di cui ho sempre apprezzato le valenze tecniche e soprattutto umane. A Bruno Giacosa va l’indiscusso merito di avere, per primo, fatto conoscere l’Arneis sui mercati di tutto il mondo.
Ecco la sua storia:
Seguendo l’esempio di mio padre mi recavo nel Roero per acquistare uve nebbiolo nel periodo prevendemmiale. Percorrevo i filari dei viticoltori di Monteu Roero, Canale, Montà. Spesso mi facevano vedere un’uva bianca, da loro chiamato arneis.
Qualcuno mi faceva assaggiare il vino ottenuto, ma non era buono, era sempre ossidato marsaleggiante, se non ramato. La cosa però m’incuriosì e un anno decisi di acquistare un po’ di uva arneis da vinificare in proprio.
Eravamo all’inizio degli anni settanta del secolo scorso. Con difficoltà trovai piccole partite. Con 20 conferenti caricai 20 quintali di prodotto in ceste di castagno. La vinificazione avvenne a Neive nella mia cantina.
Utilizzai per la torchiatura una pressa orizzontale, la stessa che utilizzavo per la pressatura delle vinacce d’uva nera. La resa fu bassa, circa 12 hl di mosto che lasciai sedimentare un po’. In seguito avvenne la fermentazione con lieviti naturali.
Il vino faceva 12 gradi alcolici e mi piacque. Negli anni successivi incrementai l’acquisto delle uve e misi in commercio le prime bottiglie bordolesi verde. L’etichetta riportava il marchio “Bruno Giacosa” e il nome “Arneis”.