Il vino, nel corso della sua lunga storia, è sempre stato aggiunto di varie sostanze vegetali: per conciarlo, aromatizzarlo, rinforzarlo; basta ricordare in tempi antichi i vini resinosi dei greci, oppure il Barolo Chinato del secolo scorso che sta riacquistando una certa notorietà. Spesso si decantavano finalità salutistiche : “vini medicinali”, titolavano molti capitoli di testi di enologia nell’ottocento, descrivendone virtù miracolose : toniche, corroboranti, digestive… Tra i vini aromatizzati il più conosciuto è il vermut. E’ ad Ippocrate, il grande medico greco (460 a.C.), a cui dobbiamo la prima infusione e macerazione di fiori ed erbe, in particolare l’artemisia (assenzio, “wermut” in tedesco, da cui deriverà poi il nome vermouth/ vermut per i preparati a base di assenzio). Sino al medioevo detta bevanda prese il nome di “vino ippocratico”, “ippocrasso”, “vino all’assenzio”. Ma la creatività in enologia non ha limiti, già i romani la perfezionarono arricchendola delle foglie aromatiche di timo, rosmarino. I Veneziani, grandi commercianti di spezie, aggiunsero cardamomo, cannella, chiodi di garofano, mirra o rabarbaro. Ma è a Torino che nasce il vero vermut intorno al sec XVIII, grazie alla ditta Carpano. Nel secolo XIX in Piemonte nascono le grandi case produttrici: Gancia, Cinzano, Bosca, Cora, Martini & Sola (che in seguito diverrà Martini & Rossi). In commercio esistono vari tipi di vermut, i più noti sono bianco, rosso e dry, ma anche vermut rosato, chinato e altri.
La preparazione
Iniziamo dal vino base: anticamente era il Moscato in quanto presente in buona quantità in Piemonte, era dolce e aromatico, quanto mai adatto per essere aromatizzato. Ma era costoso, all’inizio secolo venne sostituito da vari vini bianchi secchi, neutri e più a buon mercato come il Trebbiamo di Romagna, il Locorontondo, il Martinafranca, l’Alcamo e altri vini del sud . Oggi, per quanto dato a sapere, esiste una sola preparazione del vermut con a base moscato su una ricetta dell’800. La cura l’Enol. Mauro Andrea Spertino nella sua azienda vitivinicola di Monbercelli ; l’imput glielo diede, anni fa, il dott. Pier Stefano Berta, responsabile dello stabilimento Ramazzotti di Canelli. I caratteri del vino base vermut devono essere assolutamente neutri per non interferire con la concia aromatica, con un basso valore di polifenoli (catechine soprattutto) e di acidità fissa, mentre il grado alcolico non è importante (di solito non supera i 10 gradi), dato che si aggiunge alcool buongusto a 96° per elevare il grado alcolico. Il taglio in cantina riguarda vini di varia origine, ma sempre da uve a bacca bianca; dette masse, che per quanto possibile devono essere costanti nel tempo, costituiscono il cosiddetto lotto di produzione. In seguito il taglio deve essere stabilizzato sul piano chimico e fisico. Pertanto si chiarifica in vari modi: in genere si usano gelatina (10-15 grammi per hl) e bentonite (50-70 grammi per hl) per garantire stabilità proteica e valori minimali di sostanze ossidabili. Si controllano i metalli e se necessario si demetallizza con ferrocianuro di potassio, anche se oggi, con l’innovazione tecnologica, in particolare con l’uso massiccio dell’inox, detto trattamento è raro. Nel caso di vini colorati con troppo flavani si può ricorrere a carbone decolorante (40-60 grammi per hl), ma oggi si tende a stabilizzare il colore del vino anche con additivi a base di polivinilpirrolidone (pvpp, con dosaggi di 25-35 grammi per hl). In seguito, avvenuta la decantazione della feccia, si travasa e si filtra. Una volta si ricorreva a filtri ad alluvionaggio con farine fossili, a cui seguiva filtrazione stretta con cartoni di cellulosa; oggi in genere per abbattere i costi si ricorre ai filtri tangenziali. Un valore rh adeguato del vino garantirà stabilità ossiriduttiva nel tempo, quindi eventuali, mirate, aggiunte di anidride solforosa e ascorbato sodio sono opportune. Varie analisi di laboratorio garantiscono che i vari processi di cantina (taglio, stabilizzazione, illimpidimento) siano stati condotti nel migliore dei modi. Al nostro vino stabilizzato si aggiungono in seguito zucchero, alcol, estratto e caramello (ma solo nel caso di vermut rossi o chinati). Lo zucchero si scioglie in una parte del vino con appositi agitatori: la legge consente di utilizzare anche mosto di uva, oppure M.C.R. (mosto concentrato rettificato), ma praticamente si usa sempre saccarosio semolato di barbabietola. In percentuale lo zucchero per i vermut dolci varia da 12% al 16 % (dal 2% al 3% per il vermouth Dry). Dopo si aggiunge l’alcool etilico, che deve provenire da materie agricole (solitamente è ottenuto dalla distillazione delle barbabietole); il grado finale può variare da 14,5 a max 21 gradi. Mescolare un alcool ad un vino non è semplice: l’omogeneizzazione è importante per la qualità del futuro vermut, perciò occorre aggiungere lentamente alcol e agitare molto bene con rimontaggi o agitatori in ambiente chiuso per evitare perdite di alcol per evaporazione. Infine aggiungeremo estratto di erbe e caramello, se necessario. I processi finali riguardano la stabilizzazione tartarica della massa che è fortemente instabile a causa dell’aumento del grado alcolico (a tale fine si può ricorrere ad impianti continui di refrigerazione o meglio all’elettrodialisi) ed eventuali trattamenti per ridurre il calcio. Le ultime fasi sono la filtrazione brillantante con filtri a farina (eventualmente mediante filtrazione tangenziale), seguita da una filtrazione finale su cartucce sterilizzanti a 0,45 mm, quindi l’imbottigliamento- confezionamento – inscatolamento con impianti ad alta tecnologia e con linee di produzione a fortissime rese orarie e ottimi livelli di produttività.
Alcol, zucchero ed estratto
Nella preparazione del vermut, costituito per il 75% in volume da vino, riveste molta importanza l’estratto, ovvero una miscela di circa 40 differenti specie di erbe e spezie. Una volta venivano messe direttamente nel vino da conciare radici, foglie e fiori che scioglievano grazie all’alcol i loro principi attivi. Oggi i metodi per ottenere l’estratto sono i più disparati, ma di solito si ottengono per infusione in soluzione idroalcolica a 50 gradi in recipienti inox. Per rimontaggi del liquido o rotazione del recipiente stesso si ottiene il passaggio delle sostanze aromatizzanti. In seguito si toglie il liquido e le erbe si pressano unendo le due preparazioni. Come già accennato, le erbe e droghe usate sono moltissime; per legge, comunque il vermut deve contenere sempre assenzio. Ogni azienda ha ovviamente la sua ricetta segreta, riguardo la qualità e il dosaggio delle singole erbe, ma in genere le preparazioni non si differenziano molto; inoltre, l’estratto è eguale o quasi per i tipi rosso e bianco. Per il dry e alcuni vermut rosati si aggiunge oltre all’estratto anche un distillato/alcolato di frutta (es. distillato di lamponi o ribes) per dare finezza al gusto e al profumo. Un accenno ora a nozioni di erboristeria: dal regno vegetale si impiegano per ottenere l’estratto per vermut e liquori radici, legno, foglie, fiori, semi, frutti, scorze, resine ect
Inoltre le erbe si distinguono in amare, aromatiche e amaro – aromatiche.
Ecco le più usate per il vermut: assenzio nelle varie specie (è un ottimo digestivo),
maggiorana, timo, coriandolo, chiodi garofano (dall’intenso sapore aromatico), calamo aromatico, salvia sclarea, cannella, arancio dolce e amaro….
Il consumo del vermut oggi: chi, dove, come?
Indubbiamente al bar si ordinano meno bicchieri di vermut: se frequenti un wine bar di moda, oppure un’affollata discoteca frequentata, raramente vedi il classico Martini rosso con la buccia d’arancia e il ghiaccio, figurarsi il Punt e Mes. Anche il famoso coctkail (vedi finestra) è poco conosciuto dai giovani. Eppure, se prendiamo in considerazione la città di Alba negli anni ’60, all’Eden di Anselimi o al caffè Umberto, tra i primi balli moderni o una classica partita a biliardo giravano molti bicchieri di Vermut. Oggi sono cambiate le abitudini: al bar, si beve meno e diversamente. Ciò vale per tutta l’Europa occidentale, ma in Italia la diminuzione è ancor più vistosa: in venticinque anni si sono più che dimezzati i consumi globali, passando da 2,2 litri di alcool puro/procapite nel 1973 a0,9 litri nel 1996.
Eppure il fatturato annuo del mercato degli alcolici in Italia è intorno ai 25 mila miliardi di lire: chi sale e chi scende nei consumi e nelle vendite? In ribasso i grandi distillati, i superalcolici, gli amari ed i vermouth in genere, vanno forte, fortissimo invece limoncello, creme alcolizzate, grappe monovitigno, esplodono i cocktails e con loro rhum, gin e vodka a base di frutta.
Nanni Roggero, per molti anni gestore discoteca “ Altro Mondo” di Alba, evidenzia tra i giovani un consumo di vermut molto limitato. Il rosso e il dry vanno pochissimo, ma sul vermut bianco c’e’ un fenomeno nuovo. Lo bevono i giovani, (non oltre i 25 anni), mescolato alla Coca Cola. E’ un drink un po’ dolce, è dissetante e fa tendenza in tanti sabati notte. Il vermut va bevuto freddo con cubetti cavi di ghiaccio, se rosso si puo’guarnire di pezzi di arancia (mai limone per favore), se bianco o dry è meglio liscio. I bicchieri saranno ampi, senza gambo e cilindrici. Per chi scrive il classico Martini rosso è il migliore degli aperitivi, basta non eccedere ai vari, invitanti e golosi stuzzichini.
Martini: il mito
America: per dire Marilyn, i kennedy, Bob Dylan ma anche Coca Cola, Mac Donald e..Martini. Quest’ultimo è il mito che non finisce mai. Roosvelt lo offrì a Stalin durante il congresso di Yalta. “Il diavolo americano” lo chiamarono. Martini dry secco 1/3 , gin 2/3 e l’immancabile oliva sulla quale sono stati versati fiumi di inchiostro….ecco il celeberrimo coctkail “ Martini “: freddo, secco, puro, chiaro; con questi aggettivi non trovi assolutamente altro. Ma è anche una “bomba di calore” e una concentrazione di gusti.
Non si sa chi fosse stato l’inventore, forse Martinez ? Era un barman di New York a fine ottocento, mah ! Nel suo bicchiere a calice piccolo con gambo basso il “ Martini “ha conquistato il mondo: scrittori, artisti, politici, militari, gangsters, grandi industriali e gente comune, tutti insieme appassionatamente uniti dal classico, immortale, “Martini” .
Oggi purtroppo è confinato nelle hall dei grandi alberghi, nel locali trend delle località estive tra pochi vip e molti aspiranti vip. Lo trovate ormai cento formule, adattamenti e variazioni: il suo fascino resta immutato.