Tornano il letame tra le vigne e il tannino in cantina. Pratiche di antica memoria, ancora eccellenti protagoniste tra moderni filari a meccanizzazione avanzata e lucenti serbatoi inox, pieni di sofisticati software. Qualcuno rimpiange la vecchia ittiocolla russa, la celebre Saliansky e la limpidezza imbattibile dei vini trattati con ferrocianuro di potassio. Una nota ditta di materiali filtranti propone una versione moderna dei sacchi olandesi. “Fermate quella mazza! ”, il titolo di un bell’articolo del direttore di “Mille Vigne”, per una pausa di riflessione sul rischio di sostituire sempre e comunque le vecchie vasche in cemento. Lieviti selezionati o naturali dell’uva in vinificazione? Il dibattito è attuale. Mentre tra i grandi rossi del Piemonte – Barbera in primis- la grande botte si sta prendendo -alla grande- la meritata rivincita.
Ritorno al passato? Aria di restaurazione? Integralismo enoico? Rifiuto degli eccessi biotecnologici? Un articolo-racconto, poco serio, per cercare di riflettere su cosa sta accadendo tra vigneti e cantine.
Tannini
“Tenga, è un nuovo chiarificante, proviamolo domani sul Moscato”. L’enologo guarda, è una bellissima confezione in polilaminato, quasi luccica, legge il nome commerciale, ma non capisce, poi guarda la composizione. Ma è tannino, null’altro che tannino di quercia in polvere. “Scusi direttore, lo proviamo su che vino ?“. “ Con la gelatina per la coperta del Moscato”
Ma se il tannino l‘abbiamo abbandonato quasi vent’anni fa scusi. Era un ossidante”
“No! No! E’ un’altra cosa, questo ha funzione antiossidante”. “Ma scusi è tannino?”.
“No! No! E’ un’altra cosa, lo provi “.L’ enologo ci capisce nulla. Per oltre quindici anni vent’anni (1968-1984) – aveva usato tannino all’etere Lepetit associato a gelatina animale lamine oro, nel classico rapporto 8-10. Come da almeno cent’anni facevano tutti i moscatisti in tutta Italia.
Poi in quell’estate del 1985, incominciò il tam … tam : “Il tannino ossida il vino, inutile usare solforosa”, venne pertanto abbandonato. Casualmente arrivarono i rappresentanti dei vari Esseco, Aeb, Perdomini, Dal Cin, Vason, proposero il sol di silice come chiarificante dei mosti.
Un grande successo: neutro, precipita meglio, fecce compatte. Fatturato in aumento, addio tannino.
Passano altri anni, tassativa retromarcia. “Il tannino è antiossidante, utile soprattutto con laccasi” raccontavano tutti. L’enologo rinunciò capire.
Sacchi olandesi
La filtrazione con i sacchi olandesi, teorizzata da Giovan Battista Croce nel 1616, è stata largamente usata nella filtrazione dei mosti. Ma c’erano limiti oggettivi: il gocciolamento continuo del Moscato dovuto alla caduta per gravità, il lavaggio delle tele che comunque non asciugavano perfettamente. Negli anni sessanta arrivarono in Piemonte i primi filtri Gasqet, seguirono Dal Cin e Gianazza. Con i filtri pressa il processo di filtrazione si razionalizzò in tutto: minor manodopera e fatica innanzitutto, poi qualità del prodotto, igiene in cantina ect. Oggi si parla di tangenziale e microfiltrazione. Ma una multinazionale della separazione liquidi ha lanciato da un paio di anni sul mercato un filtro speciale. Il principio è l’evoluzione dei sacchi olandesi. E’ prodotto dalla soc. Eaton e distribuito da RTB di MarcoAsola & Aldo Razzano
Sentiamo il collega Marco Asola : “ Si tratta di un filtro a sacco composto da microfilamenti di polipropilene disposti a multistrato; al vino non trattiene colore, profumi e colloidi, mentre dona brillantezza . Adatto per filtrazioni finali sui grandi rossi piemontesi. Il passaggio del vino può avvenire a 1, 2 o 4 micron assoluti. Volendo il sacco è lavabile con soda e anche riutilizzabile. Il suo costo è limitato. Diffuso solo da qualche anno, oggi è utilizzato da qualificate aziende piemontesi “.
Lieviti naturali
Uno bella questione: utilizzare lieviti selezionati o quelli naturali dell’uva?
Che apporti differenti danno al nostro vino? E’ sempre giustificata la spesa per acquistare i selezionati? Quanto è grande la pressione commerciale delle poche multinazionali produttori di lieviti al mondo? I lieviti selezionati si usavano già a fine 800, sono stati eccellenti protagonisti dello scenario enologico mondiale. Fatta questa doverosa promessa, occorre sempre usarli? Ancora … siamo sicuri che prevalga il lievito selezionato aggiunto sugli altri ceppi selvaggi. Ampliando la domanda: possiamo controllare che ci sia dominanza del ceppo aggiunto? Per me è prioritaria la qualità dell’uva: se è sana, se proviene da vendemmia con buon andamento climatico è presumibile che i lieviti naturali siano di buon livello qualitativo e quantitativo e, di conseguenza, sono all’altezza di garantire un andamento ottimale del processo fermentativo. Se nell’uva sono presenti malattie, se proviene da vendemmie con tempo avverso, c’è il forte rischio di apporto al mosto di lieviti cattivi o dannosi; in tal caso si rende pertanto indispensabile il ricorso ai selezionati. Per molte vendemmie ho messo a confronto diversi lieviti selezionati a confronto con il lievito naturale dell’uva nebbiolo. Risultati: non ho trovato differenze significative a livello di frazionamento polifenoli o di analisi organolettica tra il lievito naturale e quelli selezionanti. Ma il problema è piu’ complesso: la differenza tra lievito selezionato e naturale quale è? Solo maggiori possibilità per il selezionato nell’ottenimento di particolari pregi nel nostro vino, oppure il lievito naturale caratterizza il vino in quanto espressione di terroir. Pare che ” non ci sia nell’uva una flora specifica che si possa ricondurre ad un territorio specifico”.
Difficile capire, se è vero, per quali motivi l’industria del lievito selezionato ha immesso sul mercato il lievito del Brunello, del Barolo, ect.
Oggi molte cantine, molti colleghi optano per il lievito naturale.
Il vignaiolo Luigi Porro di Serralunga d’Alba utilizza solo lieviti naturali per i suoi nebbioli, provengono tutti da due splendidi e storici crus. “ Per valorizzare i caratteri specifici del nostro territorio” precisa.
Cemento
Oggi si rivaluta i tutti i sensi il cemento. Iniziò dieci anni fa un grande enologo piemontese, Giacomo Tachis, riscoprendo molti vantaggi del cemento. Nel 1964 l’inox entrò in enologia in Italia nelle cantine Fontanafredda. Da allora, gradualmente, serbatoi di acciaio sostituirono le vecchie vasche in cemento. Quasi sempre era piu’che giustificabile la scelta. Ma non in senso assoluto. Rimando all’articolo scomparso su “Vignaioli Piemontesi “nell’aprile 2005.
“La vendetta della grande botte”
Una delle battute più significative che gira nelle cantine in questi anni: difatti nell’ Astigiano e nel Cuneese è tutto un acquisto di botti in rovere. I tecnici scelgono il formato di 25-35 ettolitri. Barriques un po’ in affanno verrebbe da dire. I vantaggi nell’acquisto di botti di media capacità: costi di acquisto e ammortamento minori, comodità nei travasi e nella gestione, durata elevata, immagine tradizionale meglio vendibile e altri minori. Inoltre donano, nei primi anni anche in boisè, non invasivo, non prevaricante.
Aggiungo che una botte da 25-35 ettolitri si può stasare due -tre volte in quanto le doghe hanno notevole spessore.
Vendemmia in cassette uva
Altro cambiamento: il disciplinare della doc Alta Langa impone la raccolta in cassette per l’uva. Ottima norma. In vero lo hanno sempre fatto tutti gli spumantisti di Canelli, Santa Vittoria, Pessione con le uve dell’Oltrepo Pavese, il serbatoio storico delle uve pinot per Piemonte. Erano le vecchie cassette di legno quadrato della Cinzano, contenevano circa 15 kg d’uva ed erano riempite e scaricate due volte il giorno, grazie a veloci trasporti dal Pavese.
A metà anni settanta le cassette di legno furono abbandonate per vari motivi, in particolare i costi di trasporto e manodopera in cantina. In vero, nei tendoni l’uva arrivava come poteva, “ ma non si può fare diversamente”raccontavano tutti. Oggi il disciplinare rende obbligatoria la raccolta in cassette. Molti i numerosi vantaggi, non ultimo un’accurata cernita su tapis roulant prima della pressatura.
Basse temperature
“Mi raccomando nei dolcetti e anche nei nebbioli stiamo sui 25 gradi”. Non capivi piu’ nulla a metà anni ‘80 nella vinificazione rossi. Da un’importante università una raccomandazione considerata sicura. Eri quasi obbligato. “Meglio venticinque gradi che trentadue gradi in fermentazione, la vinaccia non deve cuocere, salviamo i profumi dei mosti. Stiamo bassi. Oggi con impianti razionali per il raffreddamento della massa in fermentazione è facile e si può garantire una temperatura abbastanza costante”. I teorici delle …basse temperature non hanno ottenuto grandi risultati, venti anni fa. Per nulla. Ma quanti colleghi hanno fermentato i dolcetti e pure i nebbioli a ventitre gradi. Orribili quei vini solo fruttato-aromatici che non si capiva bene a cosa somigliassero, che perdevano in tipicità: intensi profumi di acetone -banana – frutta tropicale. Da un vino di pregio si doveva pretendere più. Poi contrordine: alta temperatura, per uve di alto pregio andare a 32-34 gradi – misurati sotto il cappello di vinaccia- per massima estrazione dalle parti solide. Maggiori polifenoli, estratto e profumi di maggior profilo. Una semplice considerazione: Ma non era un dato acquisito da sempre ?
Letame
Un convegno importante, qualche nome di rilevo tra il pubblico e tra gli interventi, molto interesse. Chi lo avrebbe detto. Il tema: “Il letame tra le vigne” ovvero “ Nutrire la terra”.
Si è svolto nella scorsa primavera presso l’Enoteca Regionale del Barolo – Castello Comunale Falletti di Barolo. In realtà è stata la scomparsa delle stalle dalle colline delle Langhe e del conseguente letame che era portato periodicamente nei filari, ad incrementare l’uso di concimi chimici. Ma i vantaggi del letame nei confronti del terreno sono molteplici
Humus, sofficità, microelementi, miglior habitat per la vite. Molti vignaioli di Langhe, Roero, Monferrato scelgono il letame per i loro vigneti. Un problema è rappresentato dal reperimento di letame di buona qualità, gli allevamenti intensivi non danno garanzie.
Rocca Giovanni vignaiolo in Monforte d’Alba ha trovato una stalla famigliare a Venasca ai piedi delle vali alpine Cuneesi . Acquista tutto il letame prodotto. “E’ maturato il tempo per le Istituzioni di fare il punto sulla situazione andando ad attingere a vecchie tecniche e nuove sperimentazioni ben sapendo che un calice di vino nasce dalla vigna e dalla sua coltivazione” ha così concluso il convegno di Barolo il Presidente Enoteca Regionale del Barolo, prof. Luigi Cabutto. Il comune di Diano d’Alba( Cn) ha in progetto a tale scopo una stalla comunale
consortile.