Asti metodo classico: tre parole per evocare un prodotto particolare, espressione di qualità, di eleganza, di vocazione e di immagine, ma anche di difficoltà, incognite e problemi.
Nella classica coppa aromi intensi e sapori dolci invitanti, in cantina bottiglie che scoppiano e cantinieri preoccupati. E ‘ una scommessa l’Asti metodo classico – l’antico Asti champenoise, ovvero fatto fermentare in bottiglia. Non si usano autoclavi dove razionalizzi tutto, dove puoi inserire tecnologie che controllano il processo e bloccano la fermentazione anche il giorno di ferragosto. Per usare una definizione classicissima, “l’Asti metodo classico è un’utopia “.
Scriveva Renato Ratti. Le bottiglie usate erano speciali, denominate “ Asti pesanti” perché resistenti sino a 10 atm di pressione….Le cantine dove erano accatastate erano percorse da uomini protetti da grembiuli di cuoio e da maschere da scherma…..per proteggersi da vere e proprie esplosioni di bottiglie…
Erano veramente tempi eroici. (1 )
Poche cantine si misurano con questa utopia.
“…..Ho iniziato per gioco e per voglia di provare nel 1995… ma penso sia rimasto un gioco ancora adesso…….. “ così racconta l’enol. Walter Bosticardo della” Tenuta dei Fiori” in Calosso d’Asti.
Vediamola nei particolari questa utopia.
Iniziamo con un po’ di storia.
Il metodo della fermentazione in bottiglia ha visto le prime applicazioni in Inghilterra intorno al sec XVII, anche se comunemente l’invenzione viene attribuita al benedettino Dom Perignon. L’adozione della bottiglia in vetro pesante e la diffusione del tappo monopezzo in sughero ( sec.XVIII) furono le successive tappe di un processo industriale che ebbe tempi lunghi e numerose innovazioni. Almeno duecento anni.
A Canelli intorno al 1865 vennero prodotte le prime bottiglie di spumante italiano.
Si chiamavano” Moscato Champagne” dal nome del vitigno utilizzato.
Carlo Gancia e in seguito Giuseppe Gallese avevano imparato il mestiere nelle cave di Eperany, intorno alla metà del secolo diciannovesimo.
In realtà spumanti da vini ottenuti da uve a bacca nera -( nebbiolo- freisa –brachetto –malvasia erano già stati ottenuti in Piemonte nella prima metà dell’ottocento….
Scrivono Berta e Mainardi:” l nebieu d’Asti è un vino spumante abbastanza buono che si fabbrica in Piemonte nella patria dell’Alfieri” (2 )
Torniamo a Canelli: in che contesto vennero prodotte le prime bottiglie di moscato Champagne?
“………….da almeno dieci anni cercava di produrre uno spumante come facevano nello Champagne. Sulle colline, intorno a Canelli, erano diffusi vigneti di Moscato che fornivano un ottimo vino dolce e aromatico, si doveva trovare il modo di lavorarlo, farlo fermentare senza che scoppiassero le bottiglie, come in Francia .
Lo spumante doveva conservare ancora un residuo zuccherino , solo cosi restavano nel Moscato i profumi dell’uva, ma era molto difficile, non sapeva cosa fare,non c’erano esperienze.
Disse subito “uno di voi vuole andare in Francia per imparare il mestiere di champagnista.
Imparerà il lavoro, tutto il lavoro, come in Francia fanno gli spumanti, anche le cose che certamente non potrà vedere o non gli faranno fare. Anche io ho fatto così, anni fa ,sono andato a Reims, nello Champagne ; ho fatto tanti lavori, anche il cantiniere alla Piper –Heidsiek”…(3 )
Perché è un metodo cosi’ complesso ? Quali sono i problemi specifici per produrre l’Asti- metodo classico? Abbiamo raccolto due qualificati pareri.
Sentiamo Mauro Ferrero, capo cantina da molti anni della ditta Contratto di Canelli.
Sorta nel 1867 ha prodotto Asti con il metodo classico sin in dalla fine del sec XIX (4 )
Oggi è presente sul mercato con Asti De Miranda ottenuto con il metodo classico.
E’ ‘ un prodotto di elevata nicchia che ha un suo preciso mercato e una grande immagine.
La produzione annuale è sui 5000 bottiglie. “E‘ uno spumante difficile, con molte incognite a livello produttivo, occorre molta professionalità in tutte le fasi del processo.Iniziamo dall’uva, la ditta possiede vigneti di moscato in zone vocate. Il tiraggio avviene senza aggiunta di zucchero e con lieviti selezionati dotati di scarsa vitalità.Le bottiglie vengono sistemate orizzontali in gabbioni e portate in locali freddi – 10-12 gradi. La fermentazione si svolge naturalmente sino a 5 atm, poi il prodotto si porta in cella a 2-3 gradi perché arrivi sino a 8-9 atm. La fermentazione rallenta e cessa per eccesso di alcol-anidride carbonica. Anni fa per poter evitare eccessi di pressioni e conseguenti scoppi di bottiglie si portavano i gabbioni fuori in inverno – cosi’ raccontavano i vecchi cantinieri (anni ’40 – ‘50). Il remuage dell’Asti classico è più difficoltoso per diversa composizione delle fecce rispetto agli altri vini ( pinot noir e chardonnay ndr ). Restano più attaccate alla parete bottiglia per maggior presenza colloidi ed estratto. Occorre almeno un mese di lavoro, 7-8 giorni post coup de poigne e successivamente almeno 18 posizioni da un ottavo di giro d’orologio sempre in senso antiorario. Non uso sistema a barchetta ( Gallese –Gancia ). Il deorgement manuale lo effettuo ancora “ a la volèe” per evitare distacchi baga bottiglia causa pressione molto elevata “.
Un altro enologo –come detto- si misura con l’Asti metodo classico: Walter Bosticardo della “Tenuta dei Fiori in Calosso d’Asti. “Utilizzo solo uva Moscato bianco di Canelli di vigneti di proprietà in Colosso.La resa per ettaro deve essere bassa – di fatto è molto importante partire con un’uva ricca di zucchero e altre sostanze.Per questo la vendemmia è tardiva, si sfiora un complessivo di 15 gradi( diminuisce un po’ ‘azoto assimilabile nell’uva ndr). La pressatura è soffice, la decantazione del mosto a freddo è solo statica, seguono filtrazioni sgrossanti almeno quattro per arrivare a 5-6 gradi alcol svolto. La conservazione è in celle frigo. L’estate successiva alla vendemmia si pratica il tiraggio con bottiglie pesanti ( collaudare a 15 atm ) e con lieviti selvaggi espressione di terroir. Nel 1996 a seguito prove dott. Delfini -Asti- provai vari ceppi selezionati con modesti risultati. E’ importante avere nel vino poco azoto assimilabile onde inibire il lievito ( metodo Mensio-Garino Canina –1930 ndr ). Non metto assolutamente lieviti, bastano e avanzano i pochi che il Moscato ha conservato. Imbottiglio con circa 130-140 grammi di zuccheri residui senza aggiunta di nulla, ne additivi, né fosfati Mazure o altro. Lo stoccaggio avviene in locali molto freddi per rallentare fermentazione. Le bottiglie restano sempre in piedi. Le temperature di fermentazione sono molto basse, quando il vino arriva a 6 atm e a 8 di alcool si abbassa ancora la temperatura per evitare scoppi “.
Interessanti testimonianze dei colleghi, palese la passione per il lavoro e una grande professionalità. Ma due grossi problemi si pongono :
1- Non potendo controllare il processo, non si sa quando si fermeranno i lieviti,
La pressione in bottiglia andrà oltre le 6 atm ? Quante bottiglie scoppieranno ?
2- Qualè sarà il residuo zuccherino ?
Non ci sono certezze o procedure sicure ; l’Asti metodo classico resta un problema, forse è bene così, conserva un po’ di mistero e tutta la sua grande poesia. Ci sono solo avvertenze basate sulla lunga esperienza lavorativa : scarsità di azoto, bottiglie in vetro pesante, alcool elevato per un Asti, un buon residuo zuccherino finale –oltre 100 gr per lt –ma –come detto-. è necessario partire da un mosto base di almeno 14 complessivo, e infine lavorazione in locali freddi, sono condizioni utilissime per non dire indispensabili. La fermentazione è molto lunga – 6-8-mesi in media- e la durata di permanenza sulle fecce alta – anche 5 anni.
Continua Bosticardo
“Il remuage manuale su pupitres dura 40 giorni, invece per il degorgement mi servo del camion dell’ Enoservice di Erbusco. Aggiungo un po’ di passito di moscato come liqueurs.
Il prodotto ha un evoluzione incredibile, di fatto ho in vendita il millesimo 1991 con sboccatura 1996. Tutti quelli che lo assaggiano si stupiscono di questo moscato che dopo 13 anni mantiene una sua formidabile freschezza.
“Quale è la immagine dell’Asti metodo classico” ? chiedo.
“ In etichetta riporto il nome ” pensiero”: deriva dal fatto che mi ha fatto tanto pensare il primo anno che l’ho fatto quando senza cella e per gioco, l’ho fatto in un crotin che pensavo abbastanza fresco,ma, in un attimo il 40-50% di bottiglie sono scoppiate come tante bombe.
Le bottiglie salvate le ho degorgiate in freezzer e tappate a mano con tappo in plastica a fungo, quindi le ho fatte assaggiare a Guido di Costigliole che le ha comprate tutte e mi ha spinto a riprovare l’esperienza che altrimenti non avrei mai piu rifatto. Grazie alla sua spinta e’ nato” il pensiero” che soprattutto vuol dire ” regalo, un bel pensiero da bersi in ottima compagnia davanti ad un caminetto a fine giornata oppure da utilizzare come aperitivo abbinato ad una fresca robiola di Roccaverano”.
1 -Il metodo classico
La produzione del spumante con il metodo classico prevede la formazione della couvèe.
Ovvero l’assemblaggio di diverse partite di vino onde ottenere un prodotto costante nelle annate. Si utilizzano vari vini: Pinot nero, bianco e grigio, Chardonnay, in purezza o mescolati. I migliori risultati? Pinot nero, senza alcun dubbio. In seguito si passa al tirage. Nella pesante bottiglia vengono aggiunti : vino base, zucchero in dose di 24 grammi per litro, sali nutritivi e lieviti selezionati. Si chiude con un tappo metallico provvisorio. La rifermentazione avviene in locali adatti a temperatura controllata di 14-15 gradi circa e dura 2-3 mesi.
La bottiglia è conservata in posizione orizzontale in cataste o contenitori. In seguito il lievito muore e forma un deposito al fondo della bottiglia. Grazie al contatto prolungato nel tempo tra il vino e il deposito di lieviti si formano bouquet e sapore caratteristici. La conservazione sul lievito dura da un minimo di 9 mesi e a un massimo di 5 anni per i grandi”millesimè”. In seguito si passa alla operazioni di “remuage” –ovvero portare il deposito sul tappo e “degorgement”- ovvero eliminazione del deposito stesso. In passato la bottiglia si metteva dalla catasta in appositi cavalletti forati e inclinati detti “pupitres” ove subiva rotazioni e scuotimenti vari (vedi frammenti di memoria). In trenta giorni la bottiglia si portava gradualmente in posizione verticale con il deposito a contatto con il tappo. Oggi si fa tutto a macchina. Il degorgement consisteva nella stappatura della bottiglia in posizione inclinata verso il basso , la pressione interna dello spumante trascinava via il deposito.
La bottiglia veniva subito rialzata onde non perdere pressione e spumante. Da molti anni si ricorre al degorgement a la glace, un apposito impianto “ gela “ il deposito di lieviti facilitando il tutto Esistono pure impianti automatici. La bottiglia stappata subisce- se necessario la ricolmatura e l’aggiunta del liqueurs d’expetition. Le ricette segrete sono …. poesia, in realtà si aggiunge cognac vecchio, zucchero e additivi. La tappatura definitiva con una bella confezione concludono il lungo processo.
2 – Asti fresco o invecchiato?
Titolo provocatorio, ma non troppo. Per decenni abbiamo detto che il pregio dell’Asti è in gran parte la freschezza legata al quadro aromatico incredibile dell’uva : linaiolo, geraniolo, diolo, nerolo ovvero tiglio, miele,acacia,albicocca, ect. Ogni zona, ogni terroir ha i suoi eccellenti profumi. Si! Ma che c’entra con la conservazione del Moscato sulle fecce di lievito? ovvero ai profumi che il lievito cederà al vino nella lunga permanenza in bottiglia. Querelle vecchia, direi infinita. Chi non ricorda il famoso convegno di Asti in cui Usseglio Tomasset -direttore della locale stazione sperimentale di enologia -evidenzò –a suo parere – la scarsa influenza della feccia di lievito nella formazione dei caratteri organolettici dello spumante metodo classico.
In occasione della stesura del presente articolo abbiamo cercato di capirne qualcosa di più di in merito all’Asti metodo classico. Lasciando per un attimo da parte poesia e immagine, focalizziamo alcuni aspetti tecnici : esempio sarebbe utile conoscere quanto a.p.a. c’è all’inizio della fermentazione in bottiglia e come evolve il linaiolo al termine del processo. Abbiamo chiesto alcuni pareri a tecnici e chimici qualificati, ma non c’è letteratura scientifica specifica per quanto di nostra conoscenza. Interessante comunque un assaggio effettuato ad Acqui la sera del 3 dicembre scorso. A margine di un incontro sugli spumanti, enologi, imprenditori, ristoratori, sommelier sono intorno ad un tavolo con due bottiglie di Asti. Ambedue millesimate ma prodotte con metodi diversi : classico 2000 e Charmat- Martinotti 2004. I due produttori hanno scritto la storia della spumantistica piemontese. Il giudizio era informale, a ruota libera, ma comunque professionale. L’Asti Charmat era molto fruttato- fiorale, con ottimo equilibrio zuccheri –alcol –acidità. L’Asti metodo classico presentava aromi intensi ma diversi, con note sensoriali più tendenti all ‘erbaceo. Non c’era profumo di lievito oppure la classica crosta di pane o di formaggio, classico degli spumanti ottenuti con pino noir e senza zuccheri residui. Inoltre la presenza di zucchero era molto elevata –stimati oltre 110 gr per litro. Lo stato evolutivo dei due Asti è praticamente eguale, nonostante quello classico fosse di quattro vendemmie fa—ma senza data di sboccatura-, l’altro-Charmat –era recentissimo. Due prodotti eccellenti, una battuta finale forse aiuta a capire l’essenza dei due prodotti : “inizierei dal metodo classico ma dopo un bicchiere continuerei con quello Charmat “.