Storia – tradizioni – cultura del Moscato e dell’Asti
Le famose tre t: terra, tradizioni, territorio. Forse la ricetta per un vino che diventerà famoso? Certamente tradizioni e usanze del territorio di origine insieme ai ricordi e alla memoria dei suoi protagonisti sono un valore aggiunto a qualunque vino. Sono una ricchezza di tutti, unitamente ad una parte importante del “terroir ” con il quale si dovrebbe identificare ogni vino. Le tre t diventeranno in futuro parte imprescindibile della fama e del prestigio di tutti i vini.
Il Moscato è senza dubbio un vino correlato al massimo a quanto sopradetto: in particolare le sue tradizioni si perdono nel tempo, i romani lo chiamavano, forse, “apiciae” in quanto ben visitato delle api per la sua dolcezza.
Vediamo allora una sintesi delle grandi tradizioni del moscato:
La coperta
Operazione d’obbligo sino agli anni 70 la coperta (leggi pulizia del moscato) era l’incubo di intere generazioni di moscatisti. Allora, salvo eccezioni, non c’erano frigo, i flottatatori e gli enzimi arriveranno dopo, allora c’era solo la tua abilità.
Un errore comprometteva il lavoro, causava un forte danno.
Contava una cosa sola: la tua professionalità
Canelli 1917
“Una famiglia ha tutti i maschi sul fronte della prima guerra mondiale
Livia non sa come fare, ha paura, tanta paura, non riesce a prendere sonno.
E’ di nuovo salita su dalla vasca, ha ripercorso la stretta scala, non riesce a stare lontano da dove il moscato forma la coperta, deve controllarne la superficie, è ancora compatta, ma per quanto tempo ancora? Con le dita, delicatamente, sposta lo spesso strato superficiale, sotto il liquido per il momento è calmo, Livia sa che è questione di attimi, non deve assolutamente rischiare, guai se inizia a muoversi ed intorbidirsi, non si fermerebbe più. Torma sotto, prende la pesante sveglia in mano, cerca di regolare la suoneria, ma per quanto? Mezz’ora? Basterà? Ci ripensa, solo quindici minuti.
Si butta su un vecchio pagliericcio bucato, è troppo stanca, piena di pensieri, resta sveglia.
Sarà cosi per alcune notti, è il periodo delle coperte, ” il più brutto” diceva suo padre.
Ha imparato tutto, anni fa, la colla l’acquista a Canelli dallo speziale Drago, è in pacchetti bleu, non usa bisolfito, l’uva è sana. Le coperte vengono in 8-10 ore, qualche volta impiegano più tempo anche 14 o più, dipende dall’annata, ”se il moscato è più grasso” diceva suo padre.
Livia è di nuovo vicino alla vasca, osserva la coperta, lo spessore dello strato marrone sembra aumentato, anche il colore è uniforme. E’ il momento decisivo, il moscato va controllato a vista, appena iniziano a vedersi in superficie accenni di crepe o tagli, bisogna aprire il rubinetto in bronzo enologico e tirare il moscato nella vasca di sotto, altrimenti, fermenta e addio coperta”.
I sacchi olandesi e i molton
Quanti racconti dei vecchi moscatisti sulla filtrazione con i sacchi olandesi o, in certi casi, con i molton
Quando in gioco c’era tutto. I quintali del tuo moscato, quindi il suo valore, ovvero un anno di lavoro. E quando finivi, dovevi subito ricominciare perché un’altra vasca fermentava diventava “amara”, perdeva valore. Il lavaggio dei sacchi con acqua gelida seccava le mani
Ma era la tua vita, era il moscato.
Canelli 1917
“Livia è arrivata con i sacchi sulle spalle, sono pesanti, saranno almeno quaranta tele, servono per due cambi, la vasca ha venti rubinetti, è importante avere i cambi per non interrompere la filtrazione. Suo padre diceva: ” non lasciate che inizi a fermentare, filtrate prima”.
Vanno sempre a lavare i sacchi alla Fontanette, un sorgente della vallata, sono sei chilometri tra andata e ritorno. Livia inizia a legare i sacchi ai rubinetti, stringe bene, prima ha pulito bene la vasca ove scenderà il moscato filtrato, prende il sacco della filtrina, è una polvere bianca che acquista a Canelli dal solito speziale, ne scioglie un po’ nel mosto, agita bene, poi apre i rubinetti.
Spera che i sacchi non si intasino presto, ha solo un cambio, poi andranno di nuova alla sorgente delle Fontanette per lavarli. Nei prossimi giorni preparerà i Molton.
Molton, con le varie influenze dialettali, deriva certamente da mollettone ovvero” il panno pesante di cotone, ma anche lana e seta, usato per coperte e scialli ma soprattutto come sottotovaglia”.
E’ spesso 4-5 millimetri e sono i sacchi per l’ultima filtrazione, essendo molto compatti, il moscato esce brillante, non si filtra più. Suo nonno ha usato altri filtri, c’erano i sacchi quadrati in cotone, avevano una grondaia in rame ed erano appesi a dei ganci, la grondaia convogliava il filtrato dentro il mastello. Prima ancora si usavano dei sacchi appesi, fatti con una mammella di capra ed appesi con dei bastoni, ma si intasavano subito sentiva dire dai suoi nonni .”
L’uva appassita
Vendange tardive: tutti vorrebbero scriverlo, fa molta tendenza.
Una volta non si faceva l’appassimento limitato sulla pianta, ma lasciando l’uva sul pavimento della cascina.
Soprattutto a Sant’Antonio di Canelli
Guadagnavi in tutto.
Canelli – 1917
“Livia ha lo sguardo fisso sulle vigne davanti a casa sua, avverte il momento particolare fatto di fretta, di voglia di portare via i grappoli, di frasi ripetute chissà quante volte, chissà per quanti anni, ai parenti, agli amici; sullo sfondo si intravede la settecentesca chiesa dedicata a Sant’Antonio.
Hanno riempito le prime gorbe, Livia si è raccomandata ma le manovali sono pratiche, è la quarta vendemmia che fanno qui a Canelli, togliete il secco mi raccomando.
Per la raccolta dell’uva si fanno tre passaggi a Sant’ Antonio, l’uva deve essere assolutamente matura, volta per volta, si lasciano dietro i grappoli non ancora dorati.
Ormai l’aia si sta riempiendo d’ uva, Livia parla alle manovali ” bisogna iniziare a fare il mucchio sotto il portico, i gorbon vanno svuotati, bisogna avere uva sufficiente per riempire il torchio Gambino, almeno trecento miria. Ecco versate i grappoli per terra, piano non devono rompersi gli acini, fate uno strato, poi andate in la piano, piano “. E manovali sono attente, anche se un po’ perplesse.
,per terra, sembrano dire. Quanto restano?” chiedono
Una settimana, anche dieci giorni o più dice Livia, devono appassire bene, speriamo nel sereno e nel vento. “ Hanno sempre fatto cosi” dice Livia
“Il grado zuccherino aumenta un po’, inoltre si devono fare meno filtrazioni ed il vino è più profumato”. (1)
I metodi di produzione
L’Asti è un prodotto” unico e irrepetibile” come diceva, anni fa, una fortunata campagna promozionale. Ma produrlo non è facile: per questo motivo, in oltre un secolo, si sono affinate le tecniche produttive, una evoluzione continua in cui scienze come biologia, chimica, meccanica, fisica e altre discipline sono state eccellenti protagoniste.
La qualità del vino inizia nel vigneto, in cantina la razionale vinificazione ci porterà ad un eccellente vino base: il Moscato d’Asti.
In seguito con il processo di spumantizzazione si otterrà l’Asti, uno docg a base aromatica. Vi sono vari modi per produrre spumanti, quelli in uso sono riconducibili al metodo Martinotti-Charmat e al metodo Classico.
In autoclave
Fu l’ astigiano Francesco Martinotti a utilizzare, per primo, un‘autoclave, ovvero un recipiente chiuso ermeticamente, per la produzione di spumanti. Ma nel 1907 l’ingegner Eugenie Charmat brevettò il metodo e iniziò a diffonderlo dalla Francia nelle cantine di tutta Europa.
In Italia le prime autoclavi per produrre Asti arrivarono alla Cora di Costigliole d’Asti, in seguito alla Martini di Pessione (To) e alla Mirafiore- Fontanafredda di Serralunga d’Alba. Il vino base, opportunatamente chiarificato e filtrato, viene immesso in autoclave unitamente a zucchero, lieviti, sostanze nutrienti. L’autoclave, oggi, è un moderno recipiente di acciaio inox dotato di strumenti particolari: termometri manometri, doppie intercapedini, valvole, agitatori. Il processo di presa di spuma dura un genere 15 giorni, ma si può prolungare il contatto con le fecce per alcuni mesi, soprattutto gli spumanti non aromatici di qualità. Seguono la refrigerazione e stabilizzazione del prodotto che verrà filtrato sterile prima dell’imbottigliamento isobarico.
In certi casi ma sempre più raramente viene anche pastorizzato in bottiglia.
In certi casi, per spumanti di alto profilo, il contatto con la feccia dei lieviti dura anche nove mesi. Speciali agitatori periodicamente la tengono in sospensione per il massimo contatto vino-lievito. Si parla allora di Charmat lungo.
Metodo classico
Esistono piccole produzioni di Asti metodo classico: è il metodo della rifermentazione in bottiglia che ha visto le prime applicazioni in Inghilterra intorno al sec XVII anche se comunemente l’invenzione viene attribuita al benedettino Dom Perignon. L’adozione della bottiglia in vetro pesante e la diffusione del tappo monopezzo in sughero (sec.XVIII) furono le successive tappe di un processo industriale che ebbe tempi lunghi e numerose innovazioni. Almeno duecento anni.
“ A Canelli intorno al 1865, grazie a Carlo Gancia vennero prodotte le prime bottiglie di spumante italiano.
Si chiamavano” Moscato Champagne” dal nome del vitigno utilizzato.
Carlo Gancia e in seguito un suo collaboratore Giuseppe Gallese, avevano imparato il mestiere nelle cave di Eperany, intorno alla metà del secolo diciannovesimo.
Scriveva Renato Ratti. Le bottiglie usate erano speciali, denominate “ Asti pesanti” perché resistenti sino a 10 atm di pressione….Le cantine dove erano accatastate erano percorse da uomini protetti da grembiuli di cuoio e da maschere da scherma…..per proteggersi da vere e proprie esplosioni di bottiglie…
Erano veramente tempi eroici. (1 )
Perché piccoli produttori ricorrono ancora a questo antico metodo?
Perche è una scommessa: se il prodotto esitato sul mercato evoca qualità, eleganza, vocazione, immagine, il processo produttivo è a rischio: anche bottiglie che scoppiano, fermentazione incontrollata, cantinieri preoccupati.
Perché non si usano autoclavi dove razionalizzi il tutto, dove puoi inserire tecnologie che controllano il processo e bloccano la fermentazione anche il giorno di ferragosto. Per usare una definizione classicissima, “l’Asti metodo classico è un’utopia “
Poche cantine, oggi, si misurano con questa utopia.
Abbiamo raccolto due qualificati pareri.
Sentiamo Mauro Ferrero, capocantina da molti anni della ditta Contratto di Canelli.
Sorta nel 1867 ha prodotto Asti con il metodo classico sin in dalla fine del sec XIX (
Il tiraggio avviene senza aggiunta di zucchero e con lieviti selezionati. Le bottiglie vengono sistemate orizzontali in gabbioni e portate in locali freddi – 10-12 gradi. La fermentazione si svolge naturalmente sino a cinque atm, poi il prodotto si porta in cella a 2-3 gradi perché arrivi sino a 8-9 atm. Anni fa per evitare eccessi di pressioni e conseguenti scoppi di bottiglie si portavano i gabbioni fuori in inverno – così raccontavano i vecchi cantinieri (anni ’40 – ‘50). Il remuage dell’Asti classico è più difficoltoso per diversa composizione delle fecce rispetto agli altri vini ( Pinot noir e Chardonnay ndr ). Restano più attaccate alla parete bottiglia per maggior presenza colloidi ed estratto. Occorre almeno un mese di lavoro, 7-8 giorni” post coup de poigne” e successivamente almeno 18 posizioni da un ottavo di giro d’orologio sempre in senso antiorario. Il degorgement manuale lo effettuo ancora “ a la volèe” per evitare distacchi della baga della bottiglia causa pressione molto elevata “.
Un altro enologo –come detto- si misura con l’Asti metodo classico: Walter Bosticardo della “Tenuta dei Fiori in Calosso d’Asti. “Utilizzo solo uva Moscato bianco di Canelli di vigneti di proprietà in Calosso d’Asti .
La vendemmia è tardiva, si sfiora un complessivo di 15 gradi. La pressatura è soffice, la decantazione del mosto a freddo è solo statica, seguono filtrazioni sgrossanti almeno quattro per arrivare a 5-6 gradi alcol svolto. La conservazione è in celle frigo. L’estate successiva alla vendemmia si pratica il tiraggio con bottiglie pesanti ( collaudare a 15 atm ) e con lieviti selvaggi espressione di terroir. E’ importante avere nel vino poco azoto assimilabile onde inibire il lievito ( metodo Mensio-Garino Canina –1930 ndr ). Non metto assolutamente lieviti, bastano e avanzano i pochi che il Moscato ha conservato. Imbottiglio con circa 130-140 grammi di zuccheri residui senza aggiunta di nulla e lo stoccaggio avviene in locali molto freddi per rallentare fermentazione”.
Consigli e avvertenze per un consumo intelligente
Innanzi tutto l’Asti , come gli altri spumanti ha una durata variabile, in ogni caso limitata; per non correre il rischio di acquistare un prodotto vecchio e quindi ossidato, rivolgersi ad un’ enoteca di fiducia.
Alcune aziende in vero ormai millesimano anche l’Asti, pertanto il prodotto andrà consumato entro due anni dalla vendemmia indicata.
Importanti le condizioni di magazzino: la bottiglia va sempre conservata coricata in cantina a temperatura non superiore a 14 gradi, onde non far seccare il tappo.
Si serve a 6-8 gradi in flutes alti ma consiglio di usare la classica coppa.
Fa più verve , oltretutto si tratta di uno spumante ad alta carica aromatica per cui gli aromi non sui disperdono .
L’Asti lo abbiniamo al classico panettone natalizio e a tutti i dolci.
Invece Il Moscato d’Asti lo abbiniamo a crostate di frutta, mousse, pasticceria fine “ e perché no , ad una macedonia di frutta.
Ma ormai vi sono molte tipologie di Moscato d’Asti, seppur con etichette diverse :
Il moscato passito si sposa egregiamente o con formaggi erborinati o molto stagionati o piccanti o fermentati. Meglio di tutto il foie gras e derivati.. alcuni consigliano: robiole caprine molto stagionate, gorgonzola naturale, raschera e il bitto stravecchio. Tutti abbinamenti di contrasto. Qualcuno lo trova adatto con i dolci base di mandorla. Il moscato o secco si abbina a salumi non troppo stagionati , antipasti a base di verdura , formaggi freschi.
Aggiungiamo che oggi le classiche regole del servizio a tavola forse sono un po’ superate: si studiano e si sperimentano , con fantasia e creatività , nuovi e arditi abbinamenti , solo dieci anni fa impensabili.
Moscato e gelato fa tendenza : l’ intensità aromatica del Moscato , unitamente alla sua dolcezza e pienezza legata all’alcol e allo zucchero ben si armonizza con la cremosità e morbidezza del gelato in un piacere unico e suadente , valorizzato nella stagione estiva dalla freschezza dei due prodotti in assaggio.
Il territorio del Moscato e i suoi crus
Tre province (At – Cn -Al) e 52 comuni, oltre9000 ettari caratterizzano la zona d’origine del Moscato.
Un vasto territorio in cui si possono individuare quattro sottozone particolari (Renato Ratti 1975):
– Santo Stefano Belbo con Castiglione Tinella, Camo , parte di Mango , e di Cossano Belbo con un Moscato dotato di un aroma di eccellente finezza e intensità ( fiorale e fruttato)e di corpo medio
– Canelli con Colosso e San Marzano con un vino Moscato di ottimo corpo e di intenso aroma
fruttato -agrumato)
– Calamandrana con ben 11 comuni limitrofi forma un quadrilatero con un Moscato di grande struttura e corposità . Il profumo presenta note olfattive che ricordano la frutta matura
– Cassine con Strevi e Acqui in parte con un moscato equilibrato nel corpo nell’aroma. ( note fruttato – dolci)
Invece per definire i crus del moscato il discorso è più difficile.
La prima domanda da porsi è: perché un vigneto o una parte di una sottozona o di una frazione comunale nel tempo diventano famosi?
Se il principe di Conti non avesse fatto una guerra per donare alla sua favorita quel terreno nel comune di Vosne Romanèe la vigna denominata “Romanèe Conti” non sarebbe oggi così celeberrima, forse sarebbe un normale vigneto, come se al cancelliere Metternik non avessero regalato Scloss Jhoannisberg per i servizi resi al congresso di Vienna, quella collina non avrebbe rappresentato per anni l’eccellenza del Reno.
Lo stesso in Italia: Cannubi nella zona del Barolo è famoso sin dal 1700, Rabaja a Barbaresco, Rovereto nella zona del Gavi da almeno un secolo, per limitarmi a quelli che ben conosco.
Anche nella zona del Moscato, alcun vigneti sono famosi d tempo: Sant’ Antonio di Canelli è il cru storico, noto almeno dal 1700, da molti anni sono apprezzati Moncucco a Santo Stefano e valle Bagnario a Strevi , ect .
Ma una domanda viene logica: I veri motivi per cui sono diventati celebri ?
Se gli enologi della Martini e Rossi negli anni quaranta non fossero andati a Moncucco ad acquistare uve Moscato , se il direttore di Fontanafredda non avesse scelto le uve moscato di San Siro di Calosso nel 1955, oggi quei terroir sarebbero cosi noti e ricercati?
E aggiungo: dove trovi i valori massimi di linaiolo? Oppure i 13,5 baume’ allo scarico dell’uva nei torchi?
Hai mai certezze , nelle annate siccitose e molto soleggiate, come il 2003, tutto va a farsi benedire, scopri perplesso che le esposizioni a nord – est non sono poi così male.
Una regola per capire potrebbe essere questa: dove hanno acquistato nel tempo le uve i mediatori e i produttori? Dove si spuntano i prezzi sono più elevati?
In vero per il moscato, l’accordo interprofessionale fissa un prezzo unico per tutta la zona d’origine riparametrato comunque su alcuni parametri qualitativi, es. grado densimetrico e aspetto visivo e qui entra in gioco sia la posizione del vigneto, sia la sua razionale conduzione.
Ecco allora un tentativo di classificazione piramidale delle migliori posizioni o sottozone del Moscato d’Asti.
E’ parziale finché si vuole , ma è basato su quarant’anni di lavoro, di contatti e di esperienze in tutta la zona.
Altissimo livello:
Moncucco – San Maurizio di Santo Stefano Belbo
Sant.Antonio di Canelli
San Siro di Calosso
Eccellente vocazione :
S. Stefano Belbo, Castiglione Tinella (San Carlo – Caudrina – San Bovo – Manzotti), Canelli , Calosso, Castagnole Lanze (Annunziata), Strevi (Marchesa -Casarito- Pineto- Scrapona -Vallerizza)
Ottima vocazione:
Neviglie, San Marzano, Mango (Martini -Terre Bianche – Riforno – Avene), Ricaldone , Maranzana, (Tagliata -Vezzano), Cassine (Sant ‘ Andrea), Nizza Monferrrato (Bazzana –San Michele), Castagnole Lanze, Cossano (Rovere), Camo (Brunetti- Dronere -Solito ), Ricaldone (Val Porcile – Vallarenza ), Strevi .
Buona vocazione :
Tutti i rimanenti comuni compresi nella zona docg
Valle Bagnario a Strevi: un territorio unico.
Uno studioso Arnaldo Strucchi, in un’importante monografia di oltre un secolo fa parla del moscato di Strevi. . In questo comune ( provincia di Al) tutta la storia del vino si perde nel tempo e il primo documento che parla di moscato è del 1589.
Un piccolo produttore, Ivaldi , conserva alcun preziosissime bottiglie di moscato passito , l’annata verniciata sul vetro è del 1868.
Le colline di Strevi hanno un terreno speciale: tufo bianco, mescolato con strati di sabbioni; sono terre aride, le famose “ terre bianche “ che donano all’uva molte sostanze speciali, in particolare terpeni che danno al vino profumi e sapori eccellenti.
In particolare Valle Bagnario nel comune di Strevi è una delle zone più interessanti , ben conosciuta da tutti i mediatori e i commercianti. Per questi motivi nel 2000 a Strevi è ’ nato il presidio Slow Food, a tutela e valorizzazione del Moscato passito della valle Bagnario.
In vero molti passiti sono ormai ottenuti con ausilio di moderne tecnologie , in particolare l’utilizzo di camere di deumificazione e appassimento è molto diffuso , viceversa per produrre il moscato passito della valle Bagnario si usa ancora oggi una tecnica antichissima che consiste nello sfruttare il sole e il calore per concentrare naturalmente il succo di uva. Alcuni giorni prima della vendemmia si raccolgono i grappoli migliori, quelli con acini piccoli e spargoli, debbono essere assolutamente sani. Arrivi anche a 28-30 Babo.Si utilizzano solo ceste di vimini o “ gerbe” di castagna e si porta subito l’uva in cascina. Si stende su graticci fatti con assi di legno fissati, in genere, contro il muro più soleggiato, si spera che il sole, il vento, l’umidità della notte siano quelli giusti. Ogni tanto si passa a togliere gli acini brutti o marci, si perde in due mesi il sessanta per cento di peso. Si procede alla torchiatura dell’uva appassita .
La resa infatti è molto ridotta, al massimo sia arriva al 40 per cento. A Strevi piccoli produttori (es. Mario Mangiarotti) procedono ancora alla diraspatura ovviamente manuale. Ma è un operazione molto complessa. La pulizia del mosto in genere è statica e difficoltosa per l’elevata densità. . L’appassimento ha variato le composizione del mosto per cui la fermentazione dura a lungo, anche 6- 8 mesi. Si arresta , in genere a 13,5 –14 gradi per elevato grado alcolico, stanchezza lieviti e altri motivi. In genere 12 gradi alcol, zuccheri sui 100 grammiper litro e ph oltre 3,4 garantiscono un buon equilibrio in bocca. Il passito resta in serbatoi inox oppure in piccole botti di legno per circa sei mesi. Infine si imbottiglia , utilizzando quasi sempre piccoli formati per valorizzare il prodotto e per il prezzo comunque elevato: 500 oppure 375 cc. E’ sempre consigliabile un affinamento ulteriore per almeno sei mesi prima della spedizione. Il passito è un vino di lunghissima evoluzione, praticamente illimitata, grazie al forte grado alcolico.