E’ un vino che si trova con difficoltà, da poco è in commercio e ne esiste pochissimo.
Eppure se ne parla.
Il passaparola ne ha fatto un vino unico, speciale, raro.
Lo hanno assaggiato alcuni albesi e casualmente alcuni fortunati onavisti in gita domenicale.
Ma lo trovi della carta dei vini di Alfonso Jaccarino nel suo celebre ristorante “Don Alfonso” a Sant’Agata dei due golfi (Na).
Questo vino ha un nome: Seren.
E ‘stata l’ultima fatica dell’enol. Andrea Viberti.
Prima che ci lasciasse, alcuni anni fa.
E’ stato anche un lavoro di equipe da parte di tutti gli amici di Andrea.
Gigi trovò il nome, Seren, una sera d’inverno nel silenzio che precede l’assaggio, nella serenità che può dare una cascina di Langa.
Piero disegnò subito le etichette, cercò dei colori particolari per quel tipo di vino.
E’ il suo lavoro abituale.
Tablo dissentiva… come sempre: “Ma che muffa nobile? Siamo mica a Sauternes, oppure che c’entra il freddo? Le vigne di Riesling della Mosella sono lontane”.
Poi lo ha assaggiato.
Seren esplode nei colori, nei profumi e nei sapori.
Non riesci neanche a descriverli.
Forse è un liquore, una concentrazione di uva, di acini, di tutto.
Chi produce Seren? Come è fatto?
Mario Sandri è l’artefice, è l’inventore di questo vino, la sua cascina è a Madonna di Como
sulle colline albesi, porta il nome di sua madre Metilde.
Lo vado trovare.
Siamo ambedue enologi, ma soprattutto amici, grandi amici di Andrea Viberti.
Di Seren dice poco o niente.
Il vigneto è situato in frazione Madonna di Como, un terroir dell’albese, da tutti considerato particolarmente vocato per la viticoltura.
Il vitigno è il moscato, da almeno tre secoli esiste nella tipologia passito.
Poi c’è la famiglia.
La mamma Metilde, il papa Giuseppe, lo zio Osvaldo.
È immediata la sensazione di un’autentica passione per la terra e per la vigna, per quanto rappresentano nella quotidiana esistenza.
Come tante altre famiglie di Madonna di Como.
Sandri sfrutta per questo vino la combinazione freddo di notte in sinergia con l’appassimento, assolutamente naturale, sulla pianta.
Roba, anche questa, vecchia di tremila anni.
Qualcosa comunque dice: “Non tutti gli anni faccio il Seren “
“Botritis”? Chiedo
“No! No ! deve fare freddo di notte“.
Sto per ridere!
Con tutti i concentratori a freddo, deumidificatori, impianti a osmosi che hanno invaso molte cantine di Langa?
Sandri non dice nulla.
Non gliene frega niente, in certi anni non faccio il Seren, punto e basta.
“Le uve le vendo“ aggiunge.
Dice soltanto che il processo nel vigneto e poi in cantina è molto lungo e difficile, ma non fa riferimento ai Sauternes, piuttosto ai Beeren-Auslese del Reno- Mosella.
“Fermenta per otto mesi e poi si conserva nell’inox per almeno un anno.
Poi sta in bottiglia per un altro anno.
Poi lo vendo.
Ora ho in cantina 1800 mezze bottiglie di Seren”.
Assaggiamo insieme il Seren.
Andrea è come fosse qui, è con noi, vicino al tavolo.
Capisco Gigi, quando ha ideato il nome.
Seren all’assaggio è serenità, è umanità, di cordialità, è amicizia.
È un vino che esprime la terra, la vigna, il lavoro, la fatica, il calore, la bellezza.
Profumi di elevata finezza ed eleganza: miele, albicocca matura, confettura, al gusto è solo una concentrazione di sapori, di calore, di souplesse.
Seren non avrà mai consulenti di grido, non vedrà mai biotecnologie di avanguardia, non avrà osanna sulle guide.
Seren è diverso, per questo è già un vino ricercato da pochi intenditori.
Cesare di Albaretto una sera ne aprì una bottiglia e lo fece assaggiare ad un tavolo, tra gli altri un noto personaggio torinese.
Rimasero entusiasti.