Quando i telegiornali della sera, venti anni fa, precisamente il 17 marzo del 1986, annunciarono i primi morti o ricoverati a causa di consumo di vino sospetto di adulterazione, nessuno poteva immaginare cosa sarebbe successo nei giorni seguenti e soprattutto la gravità e le conseguenze dell’evento appena annunciato.
Lo scandalo del vino al metanolo fu un fatto imprevedibile e insieme una grande tragedia: causo’ 19 morti e 15 feriti gravi, arresti, inchieste giudiziarie e relative condanne.
Immediatamente segnò un calo dei consumi e soprattutto una pericolosa caduta di immagine del vino italiano. Il settore iniziò a recitare un mea culpa: si parlava di controlli che non funzionavano, di prezzi troppo bassi, di legislazione carente, di informazione alimentare quasi inesistente.
Furono subito evidenti le responsabilità della GDO che imponeva a certe cantine prezzi troppo bassi, mantenendo di fatto in vita un settore, quello dei “bottiglionisti “, la cui filosofia produttiva, salvo eccezioni, era imperante: costi sempre più contenuti ed etichette sempre più generiche, il fattore qualità non era un’eccezione temporale, era inesistente.
In realtà lo scandalo al metanolo fu possibile perché si innesco’ in un mondo, particolare e marginale sin che si vuole, ma comunque reale.
Era il mondo dei grossisti o degli imbottigliatori che “muovevano” migliaia di ettolitri il giorno, dei mediatori con le veloci Alfa, dei camionisti con le cisterne color grigio-amaranto, dei lunghi viaggi da Manduria e da Pachino, dei documenti “cambiati sul peso” in Barbera-vino da tavola del Piemonte”.
Era il mondo del bottiglione (tappo corona) due litri, pratico, non costoso e pure da rendere vuoto, dei prezzi a ettogrado tirati all’eccesso, dei cestelli in disordine ai lati dei capannoni.
Era anche il mondo della sofisticazione, degli scioglitori e dei “blagheurs” in grigio doppio petto che vantavano, un po’ troppo, facili arricchimenti e inquietanti amicizie, il protagonista era sempre quel vino “bastonato” in tanti modi, ma che arrivava sempre da fuori, sempre di notte e con “ un giro senza bolla”.
Era il mondo della concorrenza spietata, dei prezzi imposti dagli acquirenti, sempre in ribasso, sempre più giù finchè “ti tagliano le gambe “.
Ad un certo punto saltarono le regole, arrivò la tragedia. Il metanolo segnò lo spartiacque. Si era caduti troppo in basso e come spesso succede inizio’subito la riscossa.
“Vinceranno gli onesti” è la frase più bella che ricordi di quei giorni insieme alle manifestazioni, in particolare quella di Alba. Il mondo del vino disse chiaramente “NO AL METANOLO ” ed a quanto esso rappresentava e il comparto cominciò a risalire la china: gli organismi di controllo vennero riformati, molte cantine innovarono metodi e processi, una nuova sensibilità cominciò a diffondersi.
Nacquero in quegli anni nuovi movimenti di consumatori, nel 1987 la prima guida dei vini italiani edita da Slow Food- Gambero Rosso iniziò a far capire agli appassionati come scegliere le bottiglie da portare in tavola.
Anni dopo tutto il Piemonte vitivinicolo cadeva sotto il cappello delle doc regionali.
Nasceva la cultura del vino che insegnava una cosa meravigliosa: bere meglio.
Venti anni dopo cosa è cambiato? Tutto.
Oggi siamo il primo paese esportatore di vino, in vigna e in cantina si sono fatti passi da gigante e il concetto di qualità è un fatto reale quotidiano, verificabile, pieno di significati concreti.
Restano, in vero, ancora alcune ombre: l’associazione vittime del metanolo nei fatti non ha ancora avuto il giusto risarcimento, qualcuno degli indagati di allora si è riciclato lontano da Narzole e raramente qualche “pasticcione “ prova a fare il furbo.
L’intera vicenda del metanolo, dopo venti anni, insegna soprattutto una cosa: i consumatori italiani hanno imparato a bere, non cercano nel bicchiere solamente del vino inteso come bevanda, cercano altre cose, tremendamente più importanti.
Cercano vitigno, territorio, tradizioni e cultura. Cose stupende che solo il vino, tra le bevande, può darci. E’ questa la bellissima lezione del metanolo, forse è l’unica sicura prevenzione verso le sofisticazioni.