Che cosa rende famoso un vino?
Anche le tradizioni e usanze del suo territorio insieme ai ricordi e alla memoria dei suoi protagonisti
Vanno innanzitutto conservate, mai disperse , peggio dimenticate e poi valorizzate in modo adeguato .
Sono una ricchezza di tutti, sono un parte importante del “terroir ” che dovrebbe identificare ogni vino. Per un doveroso rispetto del passato, per vivere meglio il presente, per essere ottimisti per il futuro . Perchè la cultura di un vino è parte imprescindibile della sua fama e del suo prestigio.
La brenta
IL trasporto del vino sino a 60 anni fa .Quando non c’erano c’erano le Manzini o le Regazzizini , quando non era ancora arrivata l’energia elettrica.Con le pompe a mano a pistone, un lavoro lungo e monotono oppure con le brente. In spalla.
Ma era difficile e faticoso..molto.
Calosso 1944
“Vieni Andrea”..Suo padre lo chiama, accanto c’è la brenta piena di moscato.
“Girati”. Afferra la brenta, la sistema sulle spalle di Andrea, tira le cinghie ,” vai dobbiamo caricare per Fassio di Serravalle d’Asti”. Davanti alla cantina c’è un tiro di cavalli con tre botti .
Andrea si incammina sale la scaletta, è sul carro. “Attento”fa suo padre, “non chinarti troppo, vedi di versare adagio”. Il Moscato finisce per terra, Andrea non sa regolarsi, non capisce se deve stare più lontano dalle botti, le spalle fanno male, suo padre impreca.
“Stai attento hai vent’anni e non carichi ancora con la brenta,che figura fai? devi imparare”.
Sulla piazza di Calosso qualcuno si ferma , guarda , Andrea continua a versare , del vino va fuori , suo padre gli dice di smettere . “Guarda”.
Andrea osserva suo padre, sta rasando le botti da solo , con maestria colma con un filo di Moscato che scende sull’imbuto , la brenta è quasi vuota. “Imparerai anche tu,stai tranquillo” dice ad Andrea.
I cavalli sono pronti per il peso. “Avete tribolato sulla salita”?
“Si” dice Fassio, ” abbiam messo il tiro di cavalli davanti ai buoi , per fortuna i cavalli si adattano e vanno adagio” “Voi non prendete l’appalto per caricare le botti”?,
“No,ci sono i brentatori di professione, noi abbiamo due brente e facciamo da noi , Garel ha sempre fatto cosi, Andrea oggi ha iniziato anche lui” .”Sono di Castagno le botti” ?
“No! di gaggia perchè è l’unico legno che tiene bene il Moscato dopo la filtrazione, noi abbiamo delle botti in gaggia perchè abbiamo molte piante, quest’inverno ne farò tagliare due di quarant’anni . Qualcuno usa il pesco”? ” Certo,anche noi ne abbiamo , ma soprattutto usiamo le foglie di pesco per la liscivia. In primavera andiamo dal farmacista di Santo Stefano , acquistiamo un chilo di soda Solvay, laviamo bene le botti con acqua calda e poi con foglie di pesco , qualcuno usa anche i rametti” .
La coperta
La coperta del moscato: l’incubo di intere generazioni di moscatisti. Quando non c’erano ne frigo, ne flottatatori , ne enzini. C’era solo la tua abilità.
Se la coperta non veniva, se scappava era un danno economico, era un pasticcio.
Era un attimo, era una lotta di nervi, occorreva guardare il moscato chiarificato con tannino Lepetit e colla di pesce Waliansky e capire il momento giusto. Prima no ! Il mosto era ancora torbido, dopo ..beh…… fermentava e addio lavoro . Una schiuma appena visibile ..ecco era il momento .. ..le gomme in azione .
Iniziava il salto. Ma se erravi compromettevi il lavoro e per … interi giorni
Un lavoro dove contavano l’occhio e il naso….solo quelli ..solo i tuoi..
Canelli 1917
Una famiglia ha tutti i maschi sul fronte della prima guerra mondiale
Livia non sa come fare, ha paura, tanta paura, non riesce a prendere sonno .
E’ di nuovo salita su dalla vasca, ha ripercorso la stretta scala, non riesce a stare lontano da dove il moscato forma la coperta, deve controllarne la superficie , è ancora compatta, ma per quanto tempo ancora? Con le dita, delicatamente, sposta lo spesso strato superficiale, sotto il liquido per il momento è calmo, Livia sa che è questione di attimi, non deve assolutamente rischiare, guai se inizia a muoversi ed intorbidirsi, non si fermerebbe più. Torma sotto, prende la pesante sveglia in mano, cerca di regolare la suoneria, ma per quanto? mezz’ora? basterà? Ci ripensa, solo quindici minuti .
Si butta su un vecchio pagliericcio bucato, è troppo stanca, piena di pensieri, resta sveglia .
Sarà cosi per alcune notti, è il periodo delle coperte ,” il più brutto” diceva suo padre.
Ha imparato tutto, anni fa, la colla l’acquista a Canelli dallo speziale Drago, è in pacchetti bleu, non usa bisolfito, l’uva è sana. Le coperte vengono in 8-10 ore, qualche volta impiegano più tempo anche 14 o più, dipende dall’annata ,”se il moscato è più grasso” diceva suo padre .
Livia è di nuovo vicino alla vasca, osserva la coperta, lo spessore dello strato marrone sembra aumentato, anche il colore è uniforme. E’ il momento decisivo, il moscato va controllato a vista, appena iniziano a vedersi in superficie accenni di crepe o tagli, bisogna aprire il rubinetto in bronzo enologico e tirare il moscato nella vasca di sotto, altrimenti, fermenta e addio coperta .
I SACCHI OLANDESI E I MOLTON
La filtrazione con i sacchi olandesi o in certi casi con i molton
Quando in gioco c’era tutto . I quintali del tuo moscato, quindi il suo valore, ovvero un anno di lavoro. E quando finivi dovevi subito ricominciare , una altra vasca fermentava diventava “amara”, perdeva valore. Prima dovevi lavare i sacchi, l’acqua gelida del Belbo, in dicembre, seccava le mani
Ma era la tua vita, era il moscato .
Canelli 1917
“Livia è arrivata con i sacchi sulle spalle, sono pesanti , saranno almeno quaranta tele, servono per due cambi, la vasca ha venti rubinetti, è importante avere i cambi per non interrompere la filtrazione . Suo padre diceva :” non lasciate che inizi a fermentare, filtrate prima” .
Vanno sempre a lavare i sacchi alla Fontanette, un sorgente della vallata , sono sei chilometri tra andata e ritorno . Livia inizia a legare i sacchi ai rubinetti, stringe bene, prima ha pulito bene la vasca ove scenderà il moscato filtrato, prende il sacco della filtrina, è una polvere bianca che acquista a Canelli dal solito speziale, ne scioglie un po’ nel mosto, agita bene, poi apre i rubinetti .
Spera che i sacchi non si intasino presto, ha solo un cambio, poi andranno di nuova alla sorgente delle Fontanette per lavarli. Nei prossimi giorni preparerà i Molton .
Molton, con le varie influenze dialetali, deriva certamente da mollettone ovvero” il panno pesante di cotone , ma anche lana e seta , usato per coperte e scialli ma soprattutto come sottotovaglia”.
E’ spesso 4-5 millimetri e sono i sacchi per l’ultima filtrazione, essendo molto compatti, il moscato esce brillante, non si filtra più . Suo nonno ha usato altri filtri, c’erano i sacchi quadrati in cotone, avevano una grondaia in rame ed erano appesi a dei ganci, la grondaia convogliava il filtrato dentro il mastello. Prima ancora si usavano dei sacchi appesi, fatti con una mammella di capra ed appesi con dei bastoni , ma si intasavano subito sentiva dire dai suoi nonni .”
L’uva appassita
Vendemmia tardiva : oggi è di moda sulle etichette. Ma è pratica antica lasciare appassire le uve.
Magari con diversi passaggi nella vigna, magari lasciandola un po’ sul pavimento.
Guadagnavi in tutto.
Canelli – 1917
“Livia ha lo sguardo fisso sulle vigne davanti a casa sua, avverte il momento particolare fatto di fretta , di voglia di portare via i grappoli , di frasi ripetute chissà quante volte , chissà per quanti anni, ai parenti, agli amici ;sullo sfondo si intravede la settecentesca chiesa dedicata a Sant’Antonio .
Hanno riempito le prime gorbe, Livia si è raccomandata ma le manovali sono pratiche, è la quarta vendemmia che fanno qui a Canelli, togliete il secco mi raccomando .
Per la raccolta dell’uva si fanno tre passaggi a Sant’ Antonio, l’uva deve essere assolutamente matura , volta per volta, si lasciano dietro i grappoli non ancora dorati.
Ormai l’aia si sta riempendo d’ uva, Livia parla alle manovali ” bisogna iniziare a fare il mucchio sotto l portico , i gorbon vanno svuotati, bisogna avere uva sufficiente per riempire il torchio Gambino , almeno trecento miria. Ecco versate i grappoli per terra, piano non devono rompersi gli acini, fate uno strato, poi andate in la , piano, piano “. e manovali sono attente , anche se un po’ perplesse.
,per terra, sembrano dire. Quanto restano?” chiedono
Una settimana, anche dieci giorni o più dice Livia, devono appassire bene, speriamo nel sereno e nel vento. “ Hanno sempre fatto cosi” dice Livia
“Il grado zuccherino aumenta un po’, inoltre si devono fare meno filtrazioni ed il vino è più profumato .
IL PRIMO ASTI CHARMAT
Quando nacque il primo Asti i autoclave ovvero col metodo Charmat –Martinotti?
Alla Cora nel 1930 ma subito dopo vennero Martini e Rossi e Fontanafredda.
Gli impianti erano originali CHARMAT e arrivavano dalla Francia.
Le prime autoclavi italiane ? a Mondovì nel 1943 e poi a Canelli nel 1945.
Erano le Giannazza.
Fontanafredda 1934
“Si dovevano mettere in funzione le nuove autoclavi degli spumanti. Era il 1935.
L’impianto originale Charmat giunse dalla Francia a Fontanafredda
nel 1926 e fu smaltato internamente con vernice arancione da una ditta di Verona .
Era composto da cinque autoclavi per la fermentazione, cinque per la refrigerazione e una per la pastorizzazione, in tutto undici autoclavi da ventidue hl caduna.
Ogni autoclave aveva tre rubinetti da 25 mm in bronzo con volantino e attacco a vite a passo enologico, l’intercapedine interessava tutta l’autoclave ,anche se in cima non era riunita alla parete , dentro circolava una salamoia di cloruro di sodio.
Il freddo era dato da un compressore Orion enorme, anche la torre di raffreddamento posta all’esterno era grande . Le autoclavi erano rivestite con del sughero catramato, all’esterno colorato con calce ed erano alzate da terra in modo che un operaio potesse lavorare sotto , il boccaporto era circolare a passo d’uomo , lo spessore della lamiera di mm 10 per la parete e 5 mm per l’intercapedine.
La pressione nelle autoclavi vuote si otteneva con uso di azoto in bombole.
Ben evidente la targhetta su ogni autoclave :2 Societè francaise pour la fabbrication industrielle des vins naturels”. Fu il secondo impianto in Piemonte dopo quello installato presso la ditta Cora di Costigliole d’Asti. Il primo anno di lavoro vennero prodotte centomila bottiglie ,