Costigliole d’Asti-fraz.Boglietto -Stabilimenti Cora 1922.
Giungono dalla Francia le prime autoclavi, in ferro smaltato, per la produzione di spumante.
Decenni prima un Casalese, Federico Martinotti, ne aveva ideate di simili, ma purtroppo il progetto non aveva trovato nessuna applicazione pratica.
Cambia la tecnologia nella produzione dell’Asti. Nascono le prime bottiglie prodotte in autoclave. Ora è possibile il controllo totale del processo in cantina.
Per grandi volumi produttivi, per una qualità di alto profilo e sempre costante. Inizia il successo dell’“Asti” sui mercati di tutto il mondo.
Boglietto 1932. «.Pensavo di mandarla in laboratorio, anche io ho iniziato lì.». «.Per me va benissimo.» risponde Beppe Casella un po’ impacciato. Giorgio, l’anziano enologo sorride.
«Vedrà, si troverà bene qui alla Cora.». Da una settimana Casella lavora in laboratorio. Cerca di imparare qualcosa tra soluzioni di soda e reagenti Carlo Erba; ha riletto piu volte gli appunti di esercitazioni di chimica; indossa uno spolverino nero.
Alla sera, finito il lavoro, è solo: pensa alla fanciullezza a Strevi, a suo padre e alla cantina piena di Moscato. Ricorda spesso gli anni passati ad Alba, quanti amici alla scuola enologica. Ha preso il diploma quest’estate.
Il commendator Mario Cora è gentile e molto distinto. Siede dietro una grossa scrivania in noce. Saluta Beppe: «.Lei è il nuovo enologo, come va?.». Beppe non sa cosa rispondere.
«Vede – continua il Commendatore – tra tre anni è il nostro centenario, una grande occasione, unica. Vogliamo trovare dei nuovi prodotti, qualche idea per i mercati americani, recentemente abbiamo lanciato l’aperitivo Cora-Cora va benissimo. Chiedo anche la sua collaborazione, Casella.».
Quando non ha analisi urgenti, Beppe esce dal laboratorio, gira per la fabbrica, conosce i colleghi impiegati, ci sono tanti operai. Guarda incuriosito delle targhe di marmo, indicano l’anno di costruzione delle cantine: 1889-1895. La più vecchia è del 1835, ci sono ancora delle botti in rovere ovali.
«Vieni Beppe, andiamo a vedere le autoclavi.» dice Giorgio una mattina. Tramite un corridoio entrano in un altro locale. Beppe sente un rumore continuo. «.Questo – inizia Giorgio – è l’impianto originale Charmat, acquistato in Francia nel 1922. Oggi in Piemonte ce ne sono tre. Uno si trova a Pessione alla Martini & Rossi, l’altro è a Serralunga nelle cantine di Fontanafredda.».
Beppe guarda in giro, cerca di capire. «.Ci sono due tipi di autoclavi: le più grandi da 44 ettolitri servono per la fermentazione, le più piccole da 22 ettolitri si usano per refrigerare lo spumante. Sono in ghisa smaltata a fuoco, dentro sono color bianco, sono collaudate a 12 atmosfere, ma resistono molto di più. Ci sono tre rubinetti in bronzo enologico con attacco a vite, quello a sinistra è per il riempimento – vedi – non c’è il livello. Le autoclavi poggiano su un basamento in ferro, si vede la parte inferiore con il boccaporto.».
Beppe chiede qualche chiarimento. «.La soluzione refrigerante – precisa Giorgio – è di acqua e alcool metilico denaturato, si porta anche a venti gradi sotto zero. Intorno alle autoclavi c’è una parete, con delle liste di sughero, isola il tutto. Qui invece c’è la targhetta: “Sociètè Française pour la fabbrication industrielle des vins naturels”. È un sistema integrale per produrre spumanti: al posto della fermentazione in bottiglia, come da anni fanno a Canelli, utilizza l’autoclave come recipiente per la presa di spuma. È rapido e costa di
meno. Siamo stati tra i primi in Italia a produrre l’Asti Spumante in questo modo.».
1933. Il professor Mensio è venuto a trovare Giorgio, c’è anche Beppe. Il direttore degli stabilimenti Gancia di Canelli è conosciuto per la sua autorevolezza e competenza. «.Per anni ho studiato il Moscato, è un vino difficile: con delle filtrazioni ripetute, si riducono le sostanze azotate e in parte si inattivano i lieviti.».
«.Ma sapesse quanti fastidi con questo sistema! – continua il professore rivolgendosi a Beppe – ogni tanto le bottiglie scoppiano ancora.».
«.Possiamo farle assaggiare l’Asti in autoclave, professore.» dice Giorgio.
La schiuma bianca tarda a scomparire dai bicchieri, continuano a parlare. «.Il moscato è un vino aromatico – continua Giorgio – con la fermentazione in autoclave conserviamo gli aromi e la freschezza del prodotto.».
«.Sentite che profumo nel bicchiere.».
«.L’altro giorno ho incontrato Araspi, ha superato gli ottant’anni, è ancora in gamba. Era il nostro capo champagnista quando usavamo ancora il vecchio sistema. Il papà del commendator Mario lo aveva mandato in Francia ad Epernay per imparare il mestiere. Quante discussioni anni fa! Fino all’ultimo era convinto che il sistema migliore anche per l’Asti Spumante fosse quello tradizionale in bottiglia, non accettò mai le autoclavi. A settantacinque anni andò in pensione.».
1934. Beppe ormai è pratico del mestiere. Sta controllando la fermentazione di alcune autoclavi. Sono ormai a quattro atmosfere, tra quindici giorni la fermentazione sarà finita.
Un’altra autoclave viene travasata utilizzando l’azoto della Rivoira; per la filtrazione si usa il filtro charmat a candele. Alcuni operai lo stanno montando, è un grosso cilindro con tre tubi forellati che contengono rondelle di panno di cotone. Si prende pressione dall’autoclave dopo aver imbullonato il tutto.
Beppe ha preso dei campioni e in laboratorio controlla i complessivi. Ogni tanto assaggia lo spumante. Il profumo gli ricorda l’uva che ha raccolto lo scorso settembre a Strevi da un suo amico.
1935. Beppe è preoccupato. «.Abbiamo qualche problema con la stabilità dell’Asti.».
«.Normale – risponde Giorgio – l’Asti è un prodotto difficile. Qui alla Cora abbiamo ideato un sistema artigianale: in un angolo dello stabilimento abbiamo ricavato una camera, dentro sistemiamo le bottiglie d’Asti in pignoni.
Ce ne stanno 4 mila bottiglie per volta. Scaldiamo l’ambiente a 42-43 gradi per un giorno. Qualche bottiglia scoppia. Lasciamo raffreddare le bottiglie e poi le portiamo in un altro locale.».
Quante grane con le vetrerie.
«.Dottore, si è rotta la Jaghemberg.». Maria attende ordini.
«.Confezionate un po’ di Asti, chiamo subito il meccanico.». Beppe è vicino alla linea dello spumante, sono quasi tutte macchine francesi e tedesche. C’è la tireuse dei Fratelli Colombo di Torino, ha sei becchi, si riempie una bottiglia per volta dopo averla coperta con una protezione in lamiera, può scoppiare in viso.
La bottiglia passa al tourniquet. Vicino ci sono le altre macchine, il tappatore a corda, la gabbiettatrice della Lemaire, i trapezi e le etichette si mettono ancora a mano. Beppe guarda un mucchio di coni di paglia che si usano per proteggere le bottiglie prima di metterle nelle casse in legno.
Ha scritto Villa Banfi, l’importatore americano; le autorita doganali non accettano più i coni di paglia. Hanno timore di malattie per il bestiame.
Il meccanico finalmente ha riparato la confezionatrice, le operaie tornano alla linea del vermouth, molte sono anziane. Oggi per la prima volta hanno usato i nuovi tappi a vite. Quante grane con le vetrerie.
1940. La principessa Maria Josè di Sassonia-Coburgo è attenta alle spiegazioni di Beppe. Oggi pomeriggio è in visita alla Cora. Ha la divisa della crocerossa; l’accompagnano alcune dame di compagnia, intorno alti ufficiali dell’esercito con le uniformi grigioverdi tirate.
La carrozza reale da alcune settimane è ferma alla stazione del Boglietto. I giorni passano veloci, visite ad asili ed istituti di beneficienza, ad ospedali da campo.
Il marito, principe Umberto di Savoia, è in ispezione sul fronte occidentale.
La galleria principale degli Stabilimenti Cora, dove si faceva il Moscato Champagne, ospita il Comando supremo del gruppo armate Ovest. C’è confusione, arrivano ordini, contrordini, attendenti e generali di Stato Maggiore. Qualche volta è venuto anche Badoglio.
La guerra è stata un disastro. Morti e feriti, per pochi chilometri di frontiera, con la Francia ormai in ginocchio e i panzer tedeschi allineati sugli Champs-Elysées.
La principessa si rivolge a Beppe, chiede spiegazioni su una marca di liquore. Beppe spiega che usano caffè vero per fare l’infuso che verrà in seguito allungato con alcool, acqua e zucchero. Porta un bicchierino di liquore-caffè alla principessa: è gradito.
La visita sta terminando, Beppe riceve una foto ritratto di Maria Josè con dedica. Agli operai sono state distribuite delle sigarette.
1944. Beppe con l’amico meccanico è andato a Castiglione Tinella a cercare il pane. Torna al Boglietto a mani vuote.
Alla Cora la situazione è critica. Di giorno arrivano i tedeschi, prendono vermouth, liquori, pagano sempre. Di notte arrivano i partigiani, quelli di Rocca, con il fazzoletto rosso e quelli di Poli, con il fazzoletto azzurro. Prendono liquori e zucchero. Non pagano.
Lo zucchero qualche volta lo vendono a borsa nera, Beppe lo trova nei negozi al Boglietto o a Calosso. Hanno anche preso dell’alcool lo usano al posto della benzina, sinora hanno spaccato i motori.
L’altra sera i partigiani sono rimasti male. Hanno svegliato Beppe che dorme dentro la fabbrica. Volevano le chiavi del granaio. Dentro hanno trovato i sacchi della Ulrich con le erbe aromatiche.
Lo scorso anno è morto il commendator Mario Cora, aveva ottantadue anni. C’era tutto il paese ai funerali.
1945. È mattino. Beppe attraversa piazza Roma a Canelli, va al lavoro, ha cambiato ditta.
È finita la guerra. C’è voglia di tutto, di riprendere il lavoro, di darsi da fare, di novità. Le idee non mancano.
Culasso, ex autista di Contratto, in due stanzette cerca di costruire la prima riempitrice isobarica. L’ingegner Boggione ha ideato il primo filtro a cartoni. Gianazza sta montando le prime autoclavi made in Italy, per Spumanti
Charmat.
Beppe cammina svelto. È la mattina del 1o luglio 1945, oltrepassa un cancello. Entra alla Luigi Bosca.