Finale a sorpresa ai festeggiamenti dei 65 anni dell’Onav ad Asti il 29 ottobre scorso.
Al termine del piacevole incontro conviviale, mentre i partecipanti, ancora immersi nei ricordi del bellissimo spettacolo al teatro Alfieri, defluivano verso l’uscita, veniva stappato un raro Barolo 1958 “Fontanafredda” conservato in un antico vetro da lt 2,4.
Un Barolo degli anni ’50 del sec. scorso per ricordare “il tempo e la memoria” in cui è nata l’ONAV.
In vero c’erano alcune perplessità, consuete quando si apre una vecchia bottiglia. Oltre mezzo secolo di vita sono un’enormità per qualsiasi vino; le sorprese non mancano, sia in senso positivo, che negativo.
Abbiamo comunque corso il rischio, tolta la protettiva ceralacca, il tappo si è comportato bene, anzi ha conservato una seppur minima elasticità.
Decantato con tutte le precauzioni il vecchio Barolo, sono iniziate le piacevoli sorprese.
Il Barolo, oltre essere limpido – era stato conservato in piedi per alcuni giorni, insomma coccolato come meritava – presentava un colore rubino – granato. Senza le temute nuance aranciate, classiche dei vini molto vecchi.
Al profumo le note speziali erano intense e di grande finezza, unite ai classici descrittori dei Barolo di lunga data, ma non decrepiti.
Al gusto vellutatezza e strutturalità si mescolavano ad un’acidità fissa ancora percepibile e all’assenza di astringenza.
Giudizi positivi da parte di tutti gli assaggiatori, se non altro per l’emozione di degustare un Barolo nato nel 1958, con quasi sessant’anni di vita.
Alcuni colleghi presenti hanno evidenziato l’intensità e tonalità del colore, non certo in linea con i parametri di un Barolo invecchiato oltre 50 anni. Non mi ha sorpreso più di tanto.
In altre occasioni ho potuto aprire Barolo molto vecchi con un colore di tutto rispetto. Ma comprendo bene le perplessità e le domande degli amici onavisti presenti.
Provo ad approfondire sul piano tecnico: di fatto non sempre è facile conservare il colore del Barolo durante l’evoluzione nel vetro. Un trucco conosciuto sin dai primi anni della mia attività di enologo a Fontanafredda: imbottigliare il Barolo ancora giovane e soprattutto limitare al minimo la permanenza nel legno.
In sostanza ridurre al massimo l’apporto di ossigeno dopo la svinatura. Inoltre conservare il vino in vetro, meglio in grande formato e al riparo della luce. Ovviamente si utilizza la migliore chiusura.
Il Barolo 1958 “Fontanafredda” aperto ad Asti era correlato ad una grande vendemmia. Ricorda il 2016: alti gradi zuccherini e ottima acidità fissa.
La vinificazione è avvenuta a cappello sommerso, con lunga macerazione, secondo lo stile dei barolisti anni ‘50.
Dopo la svinatura è stato conservato qualche mese in cemento e poi in grandi botti di rovere, ma nell’estate successiva è stato messo in damigiane da 54 lt sino al 1973. Anno in cui, per festeggiare a Fontanafredda l’uscita del vecchio direttore, ne sono stati imbottigliati circa 200 contenitori da lt 2,4.
Ne ho conservati tre nella mia cantina in sempre in piedi e soprattutto con la ceralacca. L’ultimo l’ho aperto volentieri, coadiuvato dal direttore Michele Alessandria, ai festeggiamenti citati.
Il colore era ancora intenso, avendo avuto il Barolo scarso legno e poco ossigeno.
Controprova: al presidente Vito Intini, sempre a ricordo della bellissima giornata, ho donato una normale bottiglia da 750 cc etichettata Barolo 1954 “Fontanafredda”.
Il vino è stato conservato per tre anni in bellissime e grandi botti di rovere Slavonia, in seguito filtrato, chiarificato, stabilizzato e con le aggiunte finali all’imbottigliamento.
Secondo i normali processi di cantina in uso negli anni ‘50. Tutto perfetto, peccato che il Barolo – visto controluce – presenti un colore appena aranciato. La materia colorante, leggi tannini-antociani uniti, c’è tutta, da anni preferisce riposare al fondo della bottiglia.