Le incerte origini dello Champagne
E’ incerto dove e quando sia nato lo Champagne.
La storia, quella vera intendo, collima ben poco, spesso niente, con le abilissime e suadenti “invenzioni” degli abilissimi PR francesi che in tre secoli e oltre ci hanno propinato ”tante emozioni” correlate alle favolose bollicine made in France: Dom Perignon, guerre napoleoniche, favorite della reggia di Versailles, resa del terzo Reich.
Se spostiamo l’attenzione sulla nascita dei primi spumanti italiani la cosa si fa ancora più difficile.
Su molti testi, anche qualificati, troviamo un nome, Carlo Gancia, una piccola città, Canelli, una data incerta 1865 e una tipologia, Moscato Champagne.
Null’altro.
In vero l’inizio è ben diverso e in parte ancora da approfondire e forse scoprire.
Le piste di ricerca
Come soprascritto è incerta la data di produzione delle prime bottiglie di spumante in Italia. Anche perché la definizione ”spumante” nel passato era molto incerta.
Vino con bollicine? Vino vivace e frizzante? Non c’erano parametri tecnici certi come oggi: ovvero sovrapressione di almeno 3 bar.
D’altronde nella Bibbia si legge: Una coppa ove spumeggia un vin…” sostenuta dalle mani dell’Altissimo, da Javhé. Citiamo Andrea Bacci, nella sua grandiosa opera “De Naturali Vinorum Historia” di fine cinquecento, segnala vini spumosi che leniscono “dilettosamente mordenti”. Accenni a spumanti si trovano anche in Francesco Redi (1626-1698) e padre Rodolfo Acquaviva (1658-1729).
Utilizzarono Moscadello di Montalcino e Sangiovese. Negli scritti del religioso ci sono vari accenni a rifermentazioni, ma si tratta di vini vivaci, briosi, non fermi insomma. In vero in quegli anni mancavano del tutto bottiglie in vetro e chiusure adatte ai vini spumanti con pressione.
Occorre attendere la fine del secolo diciottesimo per i primi empirici tentativi di produzione delle prime bottiglie di spumante italiano, utilizzando vini base ottenuti da vitigni a bacca nera.
I motivi: la fama degli Champagne francesi iniziava a diffondersi tra l’aristocrazia sabauda
Ma occorre distinguere bene tra sperimentazione sulle prime bottiglie di spumante che scoppiavano in gran parte, oppure tra la produzione artigianale di qualche bottiglia magari per consumi diretti e la produzione industriale vera e propria, con relativa valorizzazione commerciale.
Qualche dato: il presidente americano Thomas Jefferson, in visita a Torino nel 1787, alloggiando all’hotel Angleterre beve vino rosso di nebbiolo, trovandolo vivace come lo Champagne.
Un certo Giovanni Antonio Giobert in una lettera cita il Nebbiolo utilizzato per spumanti, in tal caso raccomanda di farlo fermentare per soli 15 giorni, contro i 30 se si vuole ottenere vino rosso da invecchiare. In sostanza si otteneva un nebiolo dolce per trasformarlo in un vino spumante in seguito.
Nel 1839 il prof. Euclide Milano cita spumanti piemontesi, tra cui il nebiu d’Asti spumante. Accenna anche al pinnau e al gris dorè tra i vitigni usati.
Evidenzia difficoltà nella lavorazione in cantina, specie nelle fasi iniziali. Mancavano del tutto le informazioni tecniche sul processo di produzione, che solo nella seconda metà del sec XIX andava lentamente razionalizzandosi in Francia. Significativo il testo edito nel 1783 in Torino dal titolo: le vigneron piemontais.
Le vigneron piemontais
L’autore, un francese, residente nella città subalpina, accenna a consigli per vini bianchi e spumanti.
Ma sono del tutto banali o inutili, come le righe sulle fasi lunari oppure l’aggiunta di polvere di zucchero, in dose insignificante ovvero circa un grammo per litro.nota 1
Ricordiamo tra le cantine che si cimentarono nelle prime empiriche produzioni di spumanti piemontesi classici quella della marchesa Teresa Durazzo in Gabiano- Casale- e del sig. Arrigi di Saluzzo.Tra i tecnici non si può dimenticare Giovanni Boschiero, che nel 1884 otterrà un importante riconoscimento all’Esposizione Nazionale di Torino per lo Champagne italiano.nota 2
Il Re di Sardegna, Carlo Alberto di Savoia incentivò la sperimentazione sugli spumanti, in tal senso operò l’enologo generale Paolo Staglieno, nella tenuta reale di Pollenzo, intorno al 1840-45, con l’ausilio di tecnici francesi e tedeschi.
Come scrive Giusy Mainardi in “ Pollenzo” – edito dai Cavalieri del Tartufo e dei Vini d’Alba -2004 “- Staglieno desiderava appagare il gusto di loro altezze reali con vino bianco spumeggiante come quello della sciampagna”.
Accenna tra le pratiche enologiche alla fermentazione in piccoli recipienti chiusi (bottiglie?), alla interruzione della medesima (come?).
Anche alla purificazione del vino (in realtà spumante rifermentato) e alla scoperta di quel prezioso accessorio che concorre mirabilmente ad accrescere la squisitezza del vino suddetto (immagino si riferisse al liquer d’expedition).
Si è ancora lontani dal conoscere a fondo il vero processo in uso nello Champagne
Ma abbiamo avuto notizie di spumanti prodotti a Vignale Monferrato nelle cantine del palazzo Callori di proprietà dei conti medesimi.
Il vitigno utilizzato era probabilmente il grignolino. Abbiamo trovato un’ etichetta originale.
Quanto mai interessante la scritta stampata “Vignale spumante 1880” antelitteram si riporta il comune e non il vitigno. La difesa del territorio, bene di assoluto valore. Non oggi, ma 130 anni fa.
Un’etichetta di questo spumante si trova esposta presso le cantine Gaudio in Vignale.nota 3
Anche a Torrazza Coste nel Pavese si effettuarono prove per spumantizzare i vini locali.
Lorenzo Fantini nell’importante ”Monografia agraria sul circondario d’Alba”, uscita nel 1883, cita in alcune pagine gli spumanti. Accenna che a Lesegno, un piccolo comune nel cebano (CN), il conte generale Emilio di Sambuy mette a dimora per primo in Italia viti di pinot.nota 4
La Società Enologica Astigiana tentò di produrre lo spumante nel castello della Volta di Barolo, con utilizzo del vino Nebbiolo per Barolo. Pare con l’ausilio di enologi francesi, certamente più esperti.nota 5
Prosegue il Fantini citando il paese di Novello (Cn). Ove un certo Quarone iniziò a produrre spumanti. Anche qui si presume che il vitigno sia il nebbiolo.nota 6
Ma lo stesso Fantini ammette la difficoltà nella produzione senza remumerazione, pertanto la produzione cessò dappertutto.
Un altro studioso, Gaetano Pirovano, di Lodi , scrisse alcune pagine in merito alla produzione degli spumanti.
Come zone cita la Toscana e l’astigiano.nota 7
In sostanza si arriva al 1865, senza che alcuno dei numerosi tentativi di produzione degli spumanti metodo in bottiglia abbia trovato sblocco e seguito a livello di processo produttivo. Per quelli in autoclave i tempi sono ancora lunghi: 1924 (stabilimenti Cora a Boglietto di Costigliole d’Asti).nota 8
L’importante ruolo di Carlo Gancia
Il futuro imprenditore fondatore della omonima ditta di Canelli era nato nel 1829, a Narzole, da una famiglia di commercianti di vino.
Intraprendente e attento alle novità che stavano emergendo nel mondo enologico piemontese si trasferì a Torino per lavorare come semplice cameriere dapprima, in seguito con mansioni diverse, sino a direttore presso il rinomato caffè Dettori in piazza Castello.
Qui conobbe sicuramente i primi Champagne. In quel periodo l’esportazione verso l’estero aveva toccato la rilevante cifra di ben 6 milioni di bottiglie su un totale di 11 prodotte. Ma in Italia era del tutto sconosciuto il processo di lavorazione.
Gancia è sempre più incuriosito, infatti nel 1848 abbandona il lavoro a Torino e si fa assumere da una rinomata casa di Champagne a Reims: la Peiper Heidsekkek.
Per ben 24 mesi sarà semplice cantiniere e in seguito esperto champagnista.
Torna in Italia, a Chivasso fonda la prima cantina per produrre Champagne, unitamente ai vermut.
Incerto sul vitigno: dapprima prova con il Moscato, vino più aromatico, più semplice. Inoltre non erano necessari i tre tagli di vini diversi.
Ma usando Moscato, vino dolce naturalmente, le bottiglie scoppiavano per eccesso di zucchero.
Riprova con i pinot, ma c’è un problema di territori: sono piu’ adatte a coltivare i pinot le colline dell’Oltrepò Pavese che non quelle Piemontesi.
In Liguria prova con il vino bianco: il Coronata. Anzi fonda una cantina a Cornigliano, vicino a Genova.nota 9
Ma non è facile, i primi 15 anni sono poco fruttuosi.
La svolta del 1865
Gancia va a Canelli ove costruisce la prima cantina e riprende la produzione del Moscato Champagne.
Le difficoltà non sono poche. Gancia intuisce due cose importanti: occorreva manodopera specializzata come aveva conosciuto in Francia. Assume un operaio, ma lo invia in Champagne ad imparare il mestiere, come aveva fatto lui. Giovanni Gallese è una figura importante, in quanto capostipite di quelle figure professionali chiamati champagnisti.nota 10
Mancano anche i tecnici, le scuole enologiche verranno anni dopo.
Gancia conosce Armando Strucchi, un tecnico di Asti che darà un contributo notevole per impostare anni dopo il processo del metodo champagne, anzi Gancia entra a fare parte per un certo periodo della società Enofila di Asti che aveva uno stabilimento enologico alla periferia della città.
Ma non può ancora parlare sino al 1875 di un vero e proprio processo industriale.
Patrizia Cirio nel fondamentale “Carlo e Camillo Gancia” accenna a poche centinaia di bottiglie annuali.
Ma è l’inizio: la prima conferma importantissima si ha nel 1873 all’Esposizione Internazionale di Vienna.Oltre al Barolo, che sta iniziando a emergere a livello commerciale, gli spumanti Gancia sono premiati con un diploma. Seguirà
Parigi nel 1878. Scrive un cronista: “Gancia è l’unico produttore italiano di Champagne, mentre nel 1874 il ministero dell’agricoltura loda gli spumanti Gancia esportati in Damimarca”.
In vero la cantina di Canelli è un’eccezione nel panorama piemontese. Ma ormai la strada è iniziata e a Carlo Gancia va il merito di esserne stato il pioniere almeno per quanto riguarda il processo industriale.
Negli ultimi decenni del secolo XIX si assiste ad un vero e proprio progresso scientifico e tecnologico in tema spumanti in bottiglia.
Se nel 1875 il Moscato era usato a Canelli soprattutto per produrre vermut, venti anni dopo il suo utilizzo era in prevalenza per il Moscato Champagne.
Nel 1888 Ottavio Ottavi inizia una serie di articoli tecnici in tema spumanti dalle pagine del “Giornale vinicolo italiano” di Casale Monferrato.
Nel 1898, ad Asti, all’esposizione enologica sono in mostra le prime macchine italiane per la nascente industria spumantistica: per mettere agrafess, tourniqet, colmatrici, tappatori.
Interessante una macchina legatrici con spago. In vero le prime rudimentali gabbiette in metallo sono usate in Francia dal 1868. Ma qui non sono ancora arrivate. Altra data importante: a Canelli nel 1902 nasce la Lega degli operai cantinieri.nota 11
E’ terminato il periodo della preistoria degli spumanti classici italiani.
Canelli diventerà l’importante polo produttivo degli spumanti con le grandi maison note in tutto il mondo.nota 12
Il metodo classico: le fasi del processo
La produzione dello spumante con il metodo classico prevede innanzitutto la formazione della couvèe.
Ovvero l’assemblaggio di diverse partite di vino onde ottenere un prodotto costante nelle annate.
Si utilizzano vari vini: Pinot nero, bianco e grigio, Chardonnay, in purezza o mescolati. I migliori risultati? Pinot nero, senza alcun dubbio. In seguito si passa al tirage. Nella pesante bottiglia vengono aggiunti: vino base, zucchero in dose di 24 grammi per litro, sali nutritivi e lieviti selezionati. Si chiude con un tappo metallico provvisorio.
La rifermentazione avviene in locali adatti a temperatura controllata di 14-15 gradi circa e dura 2-3 mesi.
La bottiglia è conservata in posizione orizzontale in cataste o contenitori. In seguito il lievito muore e forma un deposito al fondo della bottiglia. Grazie al contatto prolungato nel tempo tra il vino e il deposito di lieviti si formano bouquet e sapore caratteristici.
La conservazione sul lievito dura da un minimo di 9 mesi e a un massimo di 5 anni per i grandi “millesimè”.
In seguito si passa alla operazioni di “remuage” –ovvero portare il deposito sul tappo e “degorgement”, ovvero eliminazione del deposito stesso.
In passato la bottiglia si metteva dalla catasta in appositi cavalletti forati e inclinati detti “pupitres” ove subiva rotazioni e scuotimenti vari (vedi frammenti di memoria). In trenta giorni la bottiglia si portava gradualmente in posizione verticale con il deposito a contatto con il tappo.
Oggi si fa tutto a macchina.
Il degorgement consisteva nella stappatura della bottiglia in posizione inclinata verso il basso, la pressione interna dello spumante trascinava via il deposito.
La bottiglia veniva subito rialzata onde non perdere pressione e spumante.
Da molti anni si ricorre al degorgement a la glace, un apposito impianto “gela“ il deposito di lieviti facilitando il tutto Esistono pure impianti automatici. La bottiglia stappata subisce- se necessario la ricolmatura e l’aggiunta eventuale del liqueurs d’expetition.
Le ricette segrete sono …. poesia, in realtà si aggiunge cognac vecchio, zucchero e additivi.
La tappatura definitiva con una bella confezione concludono il lungo processo.
Il ritorno del Nebbiolo
Da alcuni anni in Piemonte è ripresa la produzione di spumante classico con utilizzo di uva nebbiolo.
Dopo 150 anni possiamo dire.
Interessante la sperimentazione effettuata nel 2010 da un’idea dell’enol. Sergio Molino, presso le storiche Cantine Rivetto di Serralunga d’Alba.
A differenza dei secoli passati sono usate solo le punte degli acini ottenute in fase di diradamento dei nebbioli.
Il mosto ottenuto per pressatura soffice è stato iperossigenato, secondo la tecnica tedesca, per abbattere polifenoli, evitando di conseguenza l’utilizzo di carbone decolorante.
Sono state ottenute circa 2000 bottiglie che dopo una permanenza sui lieviti di almeno quaranta mesi saranno messe in commercio nel dicembre 2014 con il marchio registrato “Nebbione”. Ma nulla nasce per caso.
Ritorna l’amarcord nelle cantine Rivetto. Ascoltiamo il titolare: “Mio padre, Ettore detto Fulvio ….?-…. nel 1912 a soli 14 anni, andò a Epernay, in Champagne, per apprendere mestiere di chanpagnista. Pagava 50 lire di pensione e ne prendeva 48 di salario. Arrotondava con vari lavori saltuari”.
Rientrato in Italia dopo sei mesi di duro tirocinio, divenne esperto champagnista lavorando presso importanti ditte astigiane tra cui Zingari e Serafino.
Richiesto da altre cantine per la sua professionalità tra cui Bonardi e Marenco di Alba, si confrontò con i grandi spumantisti, le vere aristocrazie operaie, di quegli anni: Giuseppe Colla e Carlin Artusio. In seguito si dedicò esclusivamente alla produzione dei vini rossi albesi.
Note
1 Oicee “Il vino piemontese nell’ottocento“ Atti convegno Oicee 2002-2003
2 P.Berta –G Mainardi -Piemonte- ediz. Unione Italiana Vini -1997.
3 L’importante etichetta è stata ritrovata e salvata da Mauro Gaudio durante i lavori di ristrutturazione di palazzo Callori a Vignale Monferrato. Insieme con altre vecchie etichette. Chi scrive ben ricorda un patriarca del vino Amilcare Gaudio, padre di Mauro, cercare le migliori partite di uva Grignolino, tra Vignale e i paesi vicini per la cantina Fontanafredda. Certamente avrebbe saputo fornirci maggiori informazioni sugli spumanti di Vignale Monferrato. Oggi il Grignolino Spumante metodo classico è stato riproposto dalla nipote Beatrice. Come detto, probabilmente fu usato Grignolino per produrre il Vignale spumante, ma non si può escludere l’utilizzo di pinot. Infatti La contessa Carlotta Gabriella dei conti di Sambuy andò in sposa al conte Federico Callori di Vignale.
Come già detto i conti di Sambuy misero a dimora barbatelle di pinot nero nella loro tenuta a Lesegno. Qui nasce un altro dubbio: Se l’uva era pinot nero, il mosto fu decolorato? E con quale tecnica?
4 Balbo Bertone di Sambuy Emilio. 1800 Torino,1872 Lesegno.
Maggior generale dell’esercito sabaudo, aiutante di campo di Re Carlo Alberto durante la campagna del 1848. Esperto agronomo, fu fondatore e presidente di vari istituti di agricoltura, e collaborò in riviste agricole.
5 Del tutto da approfondire il vero ruolo dei tecnici-consulenti francesi e tedeschi che operarono in Piemonte tra il 1820 e il 1860.
Ne parlano due studiosi: Fantine e Pirovano- op. cit. Ma a quanto pare le cantine ove operarono smisero presto di produrre spumanti. Difficoltà di mercato? Qualità del prodotto scarsa e non omogenea? Ambedue le cause direi. Ma la cosa più interessante è un’altra: non risulta che i tecnici esteri abbiamo formato operai specializzati italiani. Non per nulla Carlo Gancia dovette andare in Champagne e soprattutto inviare anni dopo Giovanni Gallese -suo cantiniere-a specializzarsi nelle manualità del remuage e degorgement. Grazie a questo due importanti figure il processo viene razionalizzato e soprattutto diviene patrimonio comune delle cantine. Ma siamo negli anni successivi al 1870.
6 novello quadrone
7 L. Paronetto Gli spumanti classici nei secoli. Atti convegno Istituto di Enologia – Piacenza- 1987 – Chirotti editori. La fonte originale è: Gaetano Pirovano -Trattato di vinificazione-Mlano-G. Brigola-1862.
Ho potuto consultarlo grazie alla disponibilità della Biblioteca civica di Casale Monferrato. In cinque pagine spunti interessanti sul metodo di produzione degli spumanti con molti rimandi allo Sciampagna.
Ma molte cose sono ancora molto generiche: gabbiette, remuage sono appena accennati. Invece i dati sullo zucchero, da aggiungere al vino la tiraggio, sono piu’ precisi. E’ indicato in libre di zucaro candito. La scoperta, in vero, del farmacista Francois di Chalon sr Marne è del 1836. E’stata una pietra miliare per il processo di cantina dello Champagne.
8 L.Tablino- “Le prime bottiglie di Asti Cora”- in “I racconti del vino” – Barolo & co -1990 -Sagittario editore.
9 Oggi il vino Coronata rientra nella doc Valpolcevera. Ottenuto da uve provenienti da rare e piccole vigne nella località Coronata alla periferia di Genova.
10 L.Tablino – “I fratelli Gallese” in “ i Racconti del vino” – Barolo & co- 1998 – Sagittario editore
Ancora negli anni cinquanta, a Canelli, venivano chiamati champagnisti. Un’élite nel mon¬do del vino, in possesso di una grande profes¬sionalità nella lavorazione degli spumanti, soprattutto nelle operazioni di remuage e di dégorgement, di una vera passione per il proprio lavoro, non disgiunta da un certo orgoglio. Il tutto acquisito tramite un duro tirocinio, nel rispetto di antiche usanze e di severi comportamenti in fabbrica, spesso tramandati di pa¬dre in figlio. Con il tempo era inevitabile il formarsi nell’indu¬stria spumantistica di una vera e pro¬pria “aristocrazia operaia”, in pos¬ses¬so di un’enorme professionalità, non disgiunta da un grande orgoglio per il loro lavoro. Il tirocinio nelle cantine produttrici di spumati era molto faticoso: molti anni fa intervistai il figlio di Paolo Gallese capospumantista negli anni trenta-quaranta alla Cinzano. Così ricordava: «per im¬parare il mestiere all’inizio biso¬gnava muovere per ore bottiglie piene di acqua sistemate su pupi¬tres, in Francia era peggio, si do¬vevano tirare o schiacciare molle d’acciaio. I primi tempi facevano male i polsi e le braccia soprattutto se lo spumantista era di statura medio-bassa. Occor¬reva abituarsi ad un lavoro complesso, veloce e comunque faticoso; ve¬ni¬vano usate ambedue le mani e un buon spumantista non differenziava i ri¬sultati a seconda della mano de¬stra o sinistra».
Queste figure professionali erano ricercate sul mercato del lavoro: Fece scalpore ad inizio novecento il caso di due champagnisti: memorabili i fratelli Gallese, inviati a Reims ad ap¬prendere la tecnica manuale dello Champagne dalla ditta Gancia, passato un fratello appunto dai Gancia ai Cinzano.
11 Oicee “Il vino piemontese nell’ottocento“ Atti convegno Oicee 2002-2003.
12 Patrizia Cirio -Carlo e Camillo Gancia- Artistica editrice -1990.
Crediti Foto: Eole Wind, Terre dei Savoia, Aurelio Candido. Fabrizio Sciami