Il nebbiolo è certamente uno dei vitigni più importanti d’Italia. Conosciuto sin dall’antichità, forse era la famosa vitis allobrogica, citata da autori romani, ovvero la vite coltivata nelle regioni fredde.
Oggi è diffuso in alcune regioni del nord dell’Italia: Piemonte, Lombardia e Val d’Aosta e in limitate zone della Sardegna.
L’origine etimologica forse deriva dalla proteina che ricopre gli acini; infatti sembrano ricoperti di nebbia. Oppure il nome deriva dall’epoca di maturazione tardiva, che coincide con le nebbie che invadono le colline nel tardo autunno.
Citato in un documento del 1268 a Rivoli nel torinese, presente in numerose citazioni ampelografiche del secolo XVII –XIX, il nebbiolo assume diverse dominazioni a secondo della zona in cui è coltivato: spanna del nord Piemonte, chiavennasca in Valtellina, picotender in Val d’Aosta .
Sono conosciuti tre biotipi di nebbiolo: lampia, roseè e michet. Gli ultimi due ormai in netto in declino.
Dal nebbiolo si ottengono in purezza, o in melange con altri vitigni, grandi vini doc – docg, apprezzati in tutto il mondo. Citiamo Barolo, Barbaresco, Gattinara, Boca, Bramaterra, Fara, Carema, Ghemme, Lesssona, Nebbiolo, d’Alba, Roero, Sizzano, Val d’Aosta, Valtellina, Terre di Franciacorta.
Ma dall’uva nebbiolo già nel passato si ottenevano diverse tipologie di vino: giovane, rosato, vivace, amabile, rosso austero, spumante.
Ci soffermiamo su quest’ultima tipologia, proprio dal vino rosso ottenuto dall’uva nebbiolo, sono stati ottenuti in Piemonte i primi spumanti a fermentazione in bottiglia. Verso la fine del XVIII secolo.
La storia degli spumanti a base nebbiolo
La storia dei vini spumanti a base nebbiolo è ancora poco conosciuta. Come d’altronde la nascita dei primi spumanti italiani. Su molti testi, anche qualificati, troviamo un nome, Carlo Gancia, una piccola città, Canelli, una data 1865 e una tipologia: Moscato Champagne.
Il vero da almeno quasi cent’anni era iniziata la produzione, empirica preciso, dei primi spumanti italiani. In molti casi proprio a base di vino Nebbiolo.
Il primo documento scritto in tema: un resoconto sulla visita a Torino nel 1787 del presidente americano Thomas Jefferson: “Alloggiando all’hotel Angleterre beve vino rosso di nebbiolo, trovandolo vivace come lo Champagne”.
Segue una lettera di un certo Giovanni Antonio Giobert in una lettera cita il Nebbiolo utilizzato per spumanti, nel 1839 il prof. Euclide Milano elenca spumanti piemontesi, tra cui il nebiù d’Asti spumante.
Ma occorre evidenziare le enormi difficoltà nella lavorazione in cantina, specie nelle fasi iniziali. Mancavano del tutto le informazioni tecniche sul processo di produzione degli spumanti.
Il Re di Sardegna, Carlo Alberto di Savoia incentivò la sperimentazione sugli spumanti, in tal senso operò l’enologo generale Paolo Staglieno, nella tenuta reale di Pollenzo, intorno al 1840-45, con l’ausilio di tecnici francesi e tedeschi. Ma non è certo il vitigno usato. Dubito fosse Nebbiolo.
Importanti invece le pagine di Lorenzo Fantini nell’importante ”Monografia agraria sul circondario d’Alba”, uscita nel 1883, cita in alcune pagine gli spumanti. La Società Enologica Astigiana tentò di produrre lo spumante nel castello della Volta di Barolo, con utilizzo del vino Nebbiolo. Pare con l’ausilio di enologi francesi, certamente più esperti.
Prosegue il Fantini citando il paese di Novello (Cn). Qui un certo Quarone iniziò a produrre spumanti. Anche qui si presume che il vitigno sia il nebbiolo.
Ma a quanto pare, le cantine citate smisero presto di produrre spumanti. Difficoltà di mercato? Qualità del prodotto scarsa e non omogenea?
Ambedue le cause direi. Mancavano oltretutto operai specializzati italiani. Non per nulla Carlo Gancia dovette andare in Champagne e soprattutto inviare anni dopo Giovanni Gallese, suo cantiniere, a specializzarsi nelle manualità del remuage e del degorgement. Grazie a queste due importanti figure il processo viene razionalizzato, soprattutto diviene patrimonio comune delle cantine. Ma siamo negli anni successivi al 1870.
In sostanza si arriva alla metà del secolo XIX, senza che alcuno dei numerosi tentativi di produzione degli spumanti metodo in bottiglia abbia trovato sblocco e seguito a livello di processo produttivo. Anche per quelli a base vino nebbiolo.
Occorre, in vero, distinguere tra la sperimentazione sulle prime bottiglie di spumante che scoppiavano in gran parte, oppure tra la produzione artigianale di qualche bottiglia magari per consumi diretti e la produzione industriale vera e propria, con relativa valorizzazione commerciale.
Di fatto occorre attendere il fondamentale di Carlo Gancia. Intorno al 1865 dà il via alla produzione a Canelli del Moscato Champagne.
Termina il periodo a della preistoria degli spumanti classici italiani.
Canelli diventerà l’importante polo produttivo degli spumanti, con le grandi maison note in tutto il mondo.
Lo spumante nebbiolo oggi
Da alcuni anni in Piemonte è ripresa la produzione di spumante classico, con utilizzo di uva nebbiolo. Dopo 200 anni possiamo dire.
Interessante la sperimentazione effettuata nel 2010, da un’idea dell’enologo Sergio Molino, presso le storiche cantine Rivetto di Serralunga d’Alba.
A differenza dei secoli passati sono usate solo le punte degli acini, ottenute in fase di diradamento dei nebbioli.
Il mosto ottenuto per pressatura soffice è stato iperossigenato, secondo la tecnica tedesca, per abbattere polifenoli, evitando di conseguenza l’utilizzo di carbone decolorante.
Sono state ottenute circa 2000 bottiglie che dopo una permanenza sui lieviti di almeno quaranta mesi, saranno messe in commercio, nel dicembre 2014, con il marchio registrato “Nebbione”. Ma nulla nasce per caso.
Ritorna l’amarcord nelle cantine Rivetto. Ascoltiamo il titolare:
Mio nonno, Ettore, nel 1912 a soli 14 anni, andò a Epernay, in Champagne, per apprendere mestiere di chanpagnista. Pagava 50 lire di pensione e ne prendeva 48 di salario. Arrotondava con vari lavori saltuari.
Rientrato in Italia dopo sei mesi di duro tirocinio, divenne esperto champagnista lavorando presso importanti ditte astigiane tra cui Zingari e Serafino.
Richiesto da altre cantine per la sua professionalità tra cui Bonardi e Marenco di Alba, si confrontò con i grandi spumantisti, le vere aristocrazie operaie, di quegli anni: Pierin Colla e Carlin Artusio. In seguito si dedicò esclusivamente alla produzione dei vini rossi albesi.